Vari sono i torti che si possono attribuire ai teologi nel loro comportamento con Galileo Galilei. Eccone i principali:

  1. Agire contro la coscienza. Si deve anzitutto biasimare il fatto che la Chiesa obbligò Galileo ad andare contro coscienza. Il Santo Uffizio lo costrinse a sottoscrivere un’abiura in cui egli condannò una teoria che intimamente riteneva vera. Lo obbligò quindi al controsenso di biasimare all’esterno un’idea che nel suo intimo considerava scientificamente dimostrata. Dice la leggenda che il Galileo, subito dopo aver abiurata la dottrina copernicana, asserisse della terra: “Eppur si muove!”. Si tratta di pura leggenda, ma ha il merito di mettere a fuoco il dissidio interiore di questo scienziato costretto a condannare come erronea una teoria che per lui era vera. Si tratta quindi di uno dei molti casi di violazione di coscienza e di costrizione mentale, propria dei governi assoluti (solo con il Concilio Vaticano II si ristabilì il diritto alla propria libertà anche su questo punto). Questo tipo di grave colpa è tuttora presente presso diverse sette “cristiane” che, più di tutto, temono e puniscono severamente le libertà di pensiero, da esse definite “apostasia”.
  2. Intralcio al progresso scientifico. Si deve biasimare anche il fatto che la condanna di Galileo fu per lungo tempo un intralcio al progresso scientifico. I teologi forse risponderebbero che il Galileo e gli altri scienziati furono pur sempre liberi di dedicarsi ad altri problemi scientifici. Ma è pur vero che la decisione romana pesò a lungo sulle ricerche dei dotti nel campo specifico del movimento della terra.
  3. Un laico ha ragione sui dotti del tempo. A rigor di logica va ammesso che la cosiddetta infallibilità della Chiesa e del Papa oggi non è in questione. Si trattava in realtà di una condanna compiuta dal Santo Uffizio, la quale, pur essendo approvata dal Papa, non è mai infallibile. Il Papa nel caso specifico non intervenne ex cathedra, ossia con tutto il peso della sua autorità quale capo della Chiesa intera. Gli interventi personali dei papi Paolo V e Urbano VIII furono solo dei decreti disciplinari e non dogmatici: nel 1616 fu imposto a Galileo di tacere e nel 1633 di subire una pena e di abiurare ritirando dalla circolazione la sua opera, Il Dialogo. Non è quindi il caso di parlare di decisioni infallibili. È tuttavia insostenibile la scusa cattolica che si trattasse di un problema scientifico e non teologico. La condanna non verteva tanto sul fatto scientifico se sia il sole o la terra a muoversi, ma sul dato teologico, in altre parole se tale questione fosse “in armonia o in contrasto con la Bibbia”. La dottrina copernicana era quindi considerata eretica, perché combattuta dalla Bibbia. Si pensava quindi che la Bibbia dovesse intendersi in senso tolemaico. Pur ammettendo che la scienza non aveva ancora dimostrato il movimento della terra, si deve tuttavia riconoscere che l’uomo di scienza (Galileo) ne seppe più degli specialisti di teologia nel campo specifico dell’interpretazione biblica. Ciò anche se Keplero, contemporaneo del Galileo, aveva già trovato nel 1604 e nel 1618 le sue note leggi. Infatti, occorreva attendere la loro maturazione da parte di Newton, nella seconda metà del 17° secolo, perché la nuova astronomia copernicana apparisse una sintesi coerente e decisiva della realtà. Fu nel 1687 che Newton pubblicò i suoi Principi matematici e filosofici, nei quali diede la dimostrazione più completa ed esauriente del sistema copernicano.

   Quei teologi cattolici erano di fronte ad un problema esegetico e non scientifico: La Bibbia difende il sistema tolemaico oppure no? La Bibbia si può accordare anche con il movimento della terra? La Bibbia proibisce di sostenere che il sole si muove oppure no? I teologi, in base alla loro interpretazione Bibbia, sostenevano l’obbligo di aderire al sistema tolemaico (il sistema copernicano nel 24 febbraio 1616 fu dichiarato dai teologi romani “assurdo, falso in filosofia, formalmente eretico perché contraddicente espressamente più testi della Sacra Scrittura secondo il loro senso proprio e la interpretazione dei Padri e dei Dottori”). Galileo al contrario propugnava il sistema copernicano. I teologi asserivano che nel caso presente la Bibbia andava intesa alla lettera, mentre Galileo diceva che nel campo scientifico la parola di Dio si adegua alle apparenze e parla secondo il modo con cui le cose esteriori appaiono agli occhi del comune uomo della strada, senza affatto insegnare la realtà scientifica. Galileo aveva ragione, i teologi al contrario sbagliarono, papa compreso.

   Non è forse tale fatto una dimostrazione convincente che anche un semplice fedele può capire la Bibbia meglio di teologi qualificati? Per quale motivo ciò che si è attuato nel caso di Galileo non potrebbe avverarsi anche oggi? Perché dei semplici credenti e studiosi della parola di Dio non potrebbero avere ragione contro forzate interpretazioni, spesso dovute al desiderio di difendere posizioni dottrinali acquisite dalla classe religiosa dirigente? Ecco perché, allora, molte religioni “cristiane” incoraggiano a studiare la Bibbia, purché ci si lasci guidare dalle spiegazioni di un comitato o corpo direttivo ritenuto l’unico canale divino capace di interpretare la Bibbia.