Gli studiosi più recenti poggiano sull’intento prettamente spirituale della Sacra Scrittura, sganciando la Bibbia dalla scienza. Seguendo una tesi, già insegnata da Agostino e da Tommaso, accolta in seguito dal Galileo, i teologi più moderni insistono sulla necessità di guardare all’intento dello scrittore. Una nuova realtà può essere vista sotto aspetti e angolature diverse e conseguentemente presentata in forme differenti. Si consideri l’arcobaleno: per lo scienziato è frutto di rifrazione dei raggi di diverse lunghezze d’onda, per cui la luce viene così scomposta nei suoi elementi. Se lo scienziato sbaglia in questa valutazione compie un errore. L’artista e il romanziere descrivono invece la bellezza incomparabile di tanti colori ed esprimono la piacevole sensazione che ne ricevono. Anche se la loro descrizione non si accorda con la scienza, non vi è alcun errore, perché essi non intendono presentare un’opera scientifica, ma solo le proprie sensazioni estetiche. L’errore ci sarebbe solo se sbagliassero nel comunicare le loro sensazioni di gioia o di tristezza suscitate da quei colori. Il teologo non ammira nell’arcobaleno né il lato scientifico, né il lato estetico, bensì la bellezza di Dio che l’ha creato. Egli vi vede un segno di pace tra Dio e l’uomo; vi rinviene come una promessa di non voler più mandare un diluvio devastatore. Vi vede la misericordia divina dopo il pericolo di un tremendo temporale. Se sbaglia nella descrizione scientifica non compie un errore. L’errore vi sarebbe solo se errasse nel suo campo specifico, se la presentazione dell’amore misericordioso di Dio non fosse vera. Solo questa valutazione è garantita dall’ispirazione divina.

   Giobbe può descrivere goffamente l’ippopotamo:

“Guarda l’ippopotamo [il testo ebraico ha Beemòt, non ippopotamo]

che ho fatto al pari di te;

esso mangia l’erba come il bue.

Ecco la sua forza è nei suoi lombi,

il suo vigore nei muscoli del ventre.

Stende rigida come un cedro la coda;

i nervi delle sue cosce sono intrecciati insieme.

Le sue ossa sono tubi di bronzo;

le sue membra, sbarre di ferro.

Esso è il capolavoro di Dio;

colui che lo fece l’ha fornito di falce,

perché i monti gli producono la pastura;

là tutte le bestie dei campi gli scherzano intorno.

Si sdraia sotto i loti,

nel folto dei canneti, in mezzo alle paludi.

I loti lo coprono della loro ombra,

i salici del torrente lo circondano.

Straripi pure il fiume, esso non trema;

rimane calmo, anche se avesse un Giordano alla gola.

Potrebbe qualcuno impadronirsene assalendolo di fronte,

o prenderlo con le reti per forargli il naso?”. – Gb 40:15-24.

   Giobbe però non errò scientificamente, poiché da tale descrizione popolare egli voleva trarre lo spunto per esprimere la grandiosa potenza di Dio sapiente. – Gb 38.

   L’insegnamento spirituale della Bibbia non è presentato in forma astratta, come talora facciamo noi oggi (maniera occidentale), ma è inquadrato nella vita e nel mondo, che vengono descritti come appaiono ai sensi in funzione di una didattica spirituale. Il sole sembra sorgere e tramontare, spostarsi nel cielo, mentre la terra pare starsene immobile. Se l’acqua scende dal cielo deve ben esserci – nel pensiero degli ebrei del tempo – un deposito delle acque al disopra del cielo. Questi dati non sono però ciò che la Bibbia vuole insegnarci, ma costituiscono solo la cornice entro cui il dato spirituale s’inquadra. Quel che importa è il quadro, non la cornice. Per donare un messaggio spirituale comprensibile, Dio non poteva fare altrimenti. Doveva ben parlare secondo il linguaggio dell’epoca, secondo le conoscenze scientifiche del tempo, altrimenti non sarebbe stato capito. Il rivelare cognizioni scientifiche moderne, in quell’epoca sarebbe equivalso a screditare lo stesso messaggio spirituale. C’è da riflettere su questo paradosso, ma è la verità. Immaginiamo di trovare, nel testo citato di Gb (in cui Dio dà una lezione della sua superiorità all’umano Giobbe) una descrizione scientifica in linea con le conoscenze attuali. Immaginiamo che invece di usare il linguaggio goffo ma comprensibile dell’epoca, il testo dicesse più o meno così:

‘Guarda Beemòt. Voi lo chiamate così, ma che nome è? Forse una derivazione del termine egiziano per “bue d’acqua”? O forse un termine d’origine assira che significa “mostro”? O sarà mica un plurale intensivo del vostro termine ebraico behemàh  che gli studiosi ritengono significhi “bestia grossa” o “bestia enorme”? Il suo nome scientifico è  “ippopotamo” e sarà chiamato hippopotamus amphibius. Ecco, guarda l’hippopotamus amphibius … è un mammifero enorme, dalla pelle spessa, quasi senza pelo, che frequenta fiumi, laghi e acquitrini. Ha gambe corte, mascelle enormi e testa grossa, che si calcola possa pesare fino a una tonnellata. Le mascelle e l’apparato dentario sono così potenti che con un morso solo può trapassare la corazza di un coccodrillo. Un ippopotamo adulto può essere lungo 4-5 m e pesare 36 q. Essendo un anfibio, nonostante la sua prodigiosa mole può muoversi con relativa rapidità sia nell’acqua sia fuori. Si nutre di piante d’acqua dolce, erba, canne e cespugli, ingerendo ogni giorno oltre 90 kg di vegetazione per riempire il suo stomaco, che ha una capienza di 150-190 litri. La pelle, specie quella del ventre, è estremamente spessa, quindi in grado di resistere a urti e scorticature mentre l’ippopotamo si muove su stecchi e sassi nel letto dei fiumi. Le narici situate strategicamente alla sommità del muso, e gli occhi in alto sulla fronte, permettono all’hippopotamus amphibius di respirare e di vedere anche quando è quasi completamente sommerso. Quando s’immerge, le orecchie e le narici si chiudono completamente. Anche mentre dorme, quando nel sangue l’anidride carbonica raggiunge un certo livello, l’animale emerge automaticamente in cerca d’aria fresca e poi s’immerge di nuovo. Ecco, guarda l’hippopotamus amphibius’.

   Che dire? Sarebbe stato preso sul serio il messaggio biblico? Etologi, biologi, glottologi e critici forse gioirebbero. Giobbe e gli ebrei del tempo sarebbero rimasti perplessi. Resa inverosimile la cornice scientifica contestabile, sarebbe divenuto incredibile anche l’insegnamento spirituale incontestabile.

   È tutto ispirato nella Bibbia? Anche l’espressione scientifica? Ma sì. Ma solo indirettamente. Se scegliamo un pittore che ha a disposizione certi colori, certi mezzi espressivi, accettiamo pure questi suoi colori e questi suoi mezzi, altrimenti ne ricercheremmo un altro più conforme ai nostri gusti. Così Dio, ispirando l’autore di quell’epoca, ne accolse pure tutti i mezzi espressivi e tutte le sue cognizioni scientifiche che usa come strumento per un più efficace insegnamento spirituale. Se Dio avesse voluto esprimersi scientificamente, non sarebbe stato capito! Di più, egli non avrebbe potuto esprimersi nemmeno con i dati della scienza attuale, poiché anche questa sarà rettificata da scoperte future. Già. Quindi Dio doveva o accettare l’espressione popolare sempre vera, o parlare in modo da non poter essere mai inteso, poiché la scienza è sempre in continuo sviluppo. Anche noi oggi siamo obbligati a esprimerci secondo le apparenze: s’incontra uno che sembra povero e gli si dà l’elemosina, e si tratta forse di un milionario che occulta il suo denaro per avarizia. Ci si sente più tranquilli perché ci cammina accanto sulla strada, in divisa, un appartenente alle forze dell’ordine; e magari si tratta di un ladro, così travestito per meglio truffare.

   Credeva lo scrittore a questa presentazione della scienza? Certamente! Ma non è rivelato ciò che l’Autore pensa al riguardo, ma solo ciò che egli insegna. Ora egli non ha insegnato l’astronomia o la scienza, bensì solo il messaggio spirituale che vi sta racchiuso.

   La Bibbia, descrivendo le realtà come appaiono, non presenta degli errori scientifici, ma solo delle convinzioni arcaiche sorte in un’epoca pseudoscientifica, usate come mezzo espressivo per insegnare verità spirituali ispirate da Dio. “Guardiamoci dunque” – scrive il Courtade – “dal voler confrontare le assunzioni dei libri sacri con quelle dell’astronomia, della geologia, della biologia. Non vi può essere questione né di opporle né di armonizzarle. A volte esse coincidono materialmente, ma non coincidono sempre e non sono mai dello stesso ordine. Gli scienziati di oggi che si scandalizzassero della Sacra Scrittura sarebbero vittime della stessa illusione dei loro antenati del Medio Evo, che speravano di trovare in esse un aiuto”. – Courtade , Ispiration DB S IV, pagg. 520-528, la citazione è a col. 543.