Abbiamo trattato, nel precedente studio, delle azioni e delle parole di Dio. Nelle Scritture Ebraiche sono descritti gli interventi di Dio. Ci sono momenti in cui Dio parla e ci sono momenti in cui Dio agisce. Questi due modi in cui Dio si rivela sono diversi tra loro. Possiamo allora parlare di:

  • Epifania (dal verbo greco ἐπιφαίνω, epifàino, che significa “rendersi manifesti” e dal discendente sostantivo femminile ἐπιφάνεια, epifàineia, che può significare “manifestazione / apparizione / venuta / presenza divina). Le azioni salvifiche del Dio d’Israele sono le sue epifanie.
  • Teofania (dal greco theofàneia, parola composta da θεός, theòs, “Dio”, e dal verbo φαίνω, fàino, “manifestarsi”). Quando Dio parla si ha la sua teofania.

   Il Dio che salva è il Dio che viene. L’epifania o venuta di Dio è cantata da Debora descrivendo lo sconquassamento del cosmo: “O Signore, quando uscisti dal Seir, quando venisti dai campi di Edom, la terra tremò, e anche i cieli si sciolsero, anche le nubi si sciolsero in acqua. I monti furono scossi per la presenza del Signore, anche il Sinai, là, fu scosso davanti al Signore, al Dio d’Israele!” (Gdc 5:4,5). Dio viene poi anche a giudicare il mondo. C’è anche una venuta di Dio per il singolo, come invoca il salmista: “Vieni in mio aiuto” (Sl 35:2), “Vieni a salvarci!” (Sl 80:2). Dio che salva è Dio che viene.

   Il Dio che parla è il Dio della teofania, come al Sinày. Nella teofania lo scopo di Dio non è l’azione (come nell’epifania), ma il suo dire. Solo con la teofania il luogo della rivelazione di Dio è considerato sacro. Così fu nella teofania di Dio al Sinày, tanto che Dio impose a Mosè: “Tu fisserai tutto intorno dei limiti al popolo, e dirai: ‘Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne i fianchi. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte’” (Es 19:12); “Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire sul monte Sinai, poiché tu ce lo hai vietato dicendo: ‘Fissa dei limiti intorno al monte, e santificalo’»” (v. 23). Così fu nella prima teofania di Dio a Mosè: “Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro»”. – Es 3:5.

La risposta umana

   Dio opera con azioni e parole. Qual è la risposta umana all’operare divino? Anch’essa è data con azioni e parole. La preghiera, la lode nel culto e quella privata sono esempi di risposta a parole. Ubbidire a Dio e fare come ci è comandato è rispondere con le azioni. Un piccolo gesto, fatto in silenzio, vale più mille parole ad alta voce. La parola è però richiesta per pregare e lodare Dio, finanche per esprimergli tutto il nostro disagio.

“Il Signore ha detto: ‘Poiché questo popolo si avvicina a me

con la bocca e mi onora con le labbra,

mentre il suo cuore è lontano da me’”. – Is 29:13.

   Il Dio d’Israele lamenta qui un culto solo a parole, parole che sono vuote; nella Bibbia il cuore è la sede dei pensieri, la nostra mente. A parole, con le labbra, onoravano Dio, ma senza testa, anzi, con la mente lontana da Dio.

   La risposta umana a Dio deve essere data soprattutto con le azioni, mettendo in pratica ogni giorno ciò che ci viene comandato. Dio richiede qualcosa e questo qualcosa è possibile attuarlo. Il primo grande uomo di fede, Abraamo, ubbidì a Dio agendo. “Il Signore disse ad Abramo: ‘Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò’” (Gn 12:1) … “Abramo partì, come il Signore gli aveva detto” (v. 4). E Giacomo commenta: “Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa”. – Gc 2:22.

   I comandamenti di Dio sono adeguati alla capacità umana di eseguirli:

“Questo comandamento che oggi ti do, non è troppo difficile per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: ‘Chi salirà per noi nel cielo e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?’. Non è di là dal mare, perché tu dica: ‘Chi passerà per noi di là dal mare e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?’. Invece, questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. – Dt 30:11-14.

   Se non fosse possibile ubbidire a Dio, non potremmo neppure parlare di ubbidienza o disubbidienza. Invece, in tutta la storia biblica si passa dall’una all’altra, segno che era possibile ubbidire e che la disubbidienza non era una scelta obbligata. La richiesta divina di ubbidienza presuppone proprio che ubbidire a Dio è possibile.

   Anticamente, prima del sacerdozio spirituale e definitivo di Yeshùa (cfr. Eb 6:19;7:26,27), erano richiesti i sacrifici animali. Anche questa era un’azione di ubbidienza, tuttavia la Scrittura mette in risalto una più vera ubbidienza a Dio affermando che “l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni”. – 1Sam 15:22.

Conclusione

   Nella Bibbia ebraica ciò che si dice su Dio riguarda la storia tra Dio e l’uomo. Questa vicenda si svolge da ambedue le parti, divina e umana, con azione e reazione, con parola e risposta. Le azioni e le parole di Dio suscitano reazioni e risposte da parte dell’umanità. È la vicenda di Dio con il suo popolo.

   Non si tratta semplicemente di alterne vicende, come avviene in ogni storia umana. Nella storia tra Dio e il suo popolo c’è un elemento che la rende significativa, con un inizio e una fine: è l’unicità di Dio. È in ciò che sta la grande differenza tra la storia d’Israele e quella delle nazioni attorno alla nazione ebraica. Le altre nazioni hanno tanti dèi e ciò che accade tra di loro crea conseguenze agli uomini, che subiscono i loro capricci. In Israele c’è un solo Dio, e tutto ciò che avviene si verifica tra lui e il suo popolo. Dio è uno solo, uno e unico. E Israele risponde con fede: “Il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore” (Dt 6:4). È solo Dio che rende possibile una storia tra lui e l’umanità. Questa storia inizia con Dio e finisce in Dio: “Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non c’è Dio”. – Is 44:6.