Sl 16 – La resurrezione o felicità in Dio (NR)

1 1 Inno di Davide.

Proteggimi, o Dio, 2 perché io confido in te.

2 Ho detto 3 a Dio: «Tu sei il mio Signore;

non ho bene alcuno all’infuori di te».

3 Quanto ai santi che son sulla terra,

essi sono la gente onorata in cui ripongo tutto il mio affetto. 4

4 5 I dolori di quelli che corrono dietro ad altri dèi saran moltiplicati;

io non offrirò le loro libazioni di sangue,

né le mie labbra proferiranno i loro nomi.

5 6 Il Signore è la mia parte di eredità e il mio calice;

tu sostieni quel che mi è toccato in sorte.

6 La sorte 7 mi ha assegnato luoghi deliziosi;

una bella eredità mi è toccata!

7 8 Benedirò il Signore che mi consiglia;

anche il mio cuore 9 mi istruisce di notte. 10

8 11 Io ho sempre posto il Signore davanti agli occhi miei;

poich’egli è alla mia destra, io non sarò affatto smosso. 12

9 Perciò il mio cuore 13 si rallegra,

l’anima mia esulta; 14

anche la mia carne dimorerà al sicuro;

10 poiché tu non abbandonerai l’anima mia in potere della morte, 15

né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione. 16

11 Tu m’insegni la via della vita;

ci sono gioie a sazietà in tua presenza;

alla tua destra vi son delizie in eterno.

 

Note:

Il salmo risulta da un’introduzione (v. 1) seguita dal corpo ripartito in tre strofe e seguito da una conclusione. – V. 11.

1 L’ebraico ha una parola iniziale che NR omette: מִכְתָּם (michtàm). Cosa significa? Nel dubbio, TNM non traduce ma traslittera: “Mictam di Davide”, ma commette l’errore di unire la parola a “di Davide”. Non sarebbe stato più prudente dire: ‘Mictam. Di Davide’? Il termine tecnico di מִכְתָּם (michtàm) riappare nei titoli dei Salmi 56-60 (in questi TNM ha: “Di Davide. Mictam” o “Mictam. Di Davide”. Perspicacia nello studio delle Scritture azzarda questa ipotesi: “Termine ebraico che si trova nella soprascritta di sei salmi attribuiti a Davide. (Sl 16, 56-60) Questo termine potrebbe semplicemente indicare che questi salmi sono degli epigrammi” (vol. 2, pag. 280). Ora, l’epigramma è una celebrazione funeraria, e non si vede cosa c’entri con questi salmi che hanno tutt’altro contenuto:

 

Sl 16: La felicità è in Dio

Sl 56: Supplica e lode di un perseguitato

Sl 57: Richiesta di aiuto: fiducia nella protezione divina

Sl 58: Preghiera a Dio perché faccia giustizia sulla terra

Sl 59: Richiesta di difesa dagli assassini

Sl 60: Preghiera a Dio nella sconfitta

 

   Comunque, il termine מִכְתָּם (michtàm) deriva dall’assiro katàmu che significa “copiare” ed è usato pure nel senso di “chiudere le labbra”. Si può quindi supporre che il salmo si dovesse cantare a mezza voce o a labbra socchiuse.

2 Dio viene chiamato con l’appellativo di אֵל (el; “Dio”), come in Sl 10:12:17:6.

3 “Ho detto”. Così traduce NR e anche TNM. E fanno bene, anche se il Testo Masoretico ha אָמַרְתְּ (amàrt): “dicesti”, seconda persona singolare femminile. Il testo appare corrotto. LXX, Sy, Vg e alcuni manoscritti ebraici hanno però “ho detto”.

4 Vv. 2 e 3. Testo corrotto, variamente presentato sia nell’ebraico che nel greco. Eccone le versioni:

 

Ebraico (Testo Masoretico)

אָמַרְתְּ לַיהוָה אֲדֹנָי אָתָּה טֹובָתִי בַּל־עָלֶיךָ׃ 2

amàrt layhvh adonày atàh tovatìy bal-alècha

tu [donna] dicesti a yhvh signore di me: tu mio bene no-oltre-te

לִקְדֹושִׁים אֲשֶׁר־בָּאָרֶץ הֵמָּה וְאַדִּירֵי כָּל־חֶפְצִי־בָם׃ 3

liqdoshìm ashèr-baàretz hèmah veadirè kol-kheftzy-vàm

per santi che-nella-terra loro e potenti tutto-piacere-mio-per-loro

 

Traduzione di F. Salvoni:

2 Tu dici: Tu sei il mio Signore,

tu sei tutto il mio bene!

3 Se non a te, ai santi che sono nel paese [dico]:

Essi gli illustri, sono tutto il mio piacere!

 

Il senso sarebbe:

1 Tutto il mio bene è in Dio

2 Sulla terra la mia compiacenza sono i santi

 

Greco (LXX)

2 εἶπα τῷ κυρίῳ Κύριός μου εἶ σύ, ὅτι τῶν ἀγαθῶν μου οὐ χρείαν ἔχεις

èipa to kürìo Kǘriòs mu èi sü òti ton agathòn mu u chrèian ècheis

ho detto al signore: Signore di me sei tu, perché dei beni di me non bisogno hai

3 τοῖς ἁγίοις τοῖς ἐν τῇ γῇ αὐτοῦ ἐθαυμάστωσεν πάντα τὰ θελήματα αὐτοῦ ἐν αὐτοῖς

tòis aghìois tòis en te ghe autù ethaumàstosen pànta ta thelèmata autù en autòis

per i santi che in la terra di lui ha reso meravigliosi tutti i  desideri di lui in loro

 

Traduzione di F. Salvoni:

2 Dico al Signore: Tu sei il mio Dio!

Tu non abbisogni dei beni miei.

3 Ai santi che son sulla terra

ha rese grandi le mie (o sue) volontà tra loro!

 

   Va osservato che i LXX avevano davanti un testo ebraico già incomprensibile e lo tradussero letteralmente come poterono. Vediamo ora come i traduttori moderni lo hanno reso:

 

NR

2 Ho detto a Dio: «Tu sei il mio Signore;

non ho bene alcuno all’infuori di te».

3 Quanto ai santi che son sulla terra,

essi sono la gente onorata in cui ripongo tutto il mio affetto.

 

Diodati

2 Io ho detto all’Eterno: Tu sei il mio Signore; Io non ho bene all’infuori di te.

3 Tutta la mia affezione è inverso i santi che sono in terra, E inverso gli uomini onorati.

 

CEI

2 Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore,

senza di te non ho alcun bene».

3 Per i santi, che sono sulla terra,

uomini nobili, è tutto il mio amore.

 

TNM

2 Ho detto a Geova: “Tu sei Geova; la mia bontà non è per il bene tuo,

3 [Ma] per i santi che sono sulla terra.

Essi, sì, i maestosi, sono quelli nei quali è tutto il mio diletto”.

 

PdS

2 Ho detto al Signore: Sei tu il mio Dio:

fuori di te non ho altro bene.

3 Un tempo adoravo gli dèi del paese,

confidavo nel loro potere.

 

   Osservando queste versioni si nota che NR, Diodati e CEI si attengono ai testi ebraico e greco. PdS propone al v. 3 una traduzione diversa. TNM rasenta il blasfemo facendo dire al salmista che la sua bontà non è per Dio ma per i santi! E, come se non bastasse, conferma: “Essi [i santi], sì [loro sì; sottinteso: tu, Dio, no], i maestosi, sono quelli nei quali è tutto il mio diletto”! Non abbiamo parole. Davvero, rimaniamo a bocca aperta e l’indignazione cresce.

   Il grande studioso R. Kittel – uno dei più grandi biblisti a livello mondiale – propone una sostituzione che lascia intatto il testo ebraico nel miglior modo possibile e muta solo alcune vocali, congiungendo diversamente le consonanti. Vediamo.   

 

Ebraico – Testo ricostruito

אמרתי לַיהוָה אֲדֹנָי אָתָּה טֹובָתִי בליעל׃ 2

amàrty layhvh adonày atàh tovàtiy belyàl

ho detto a Yhvh signore di me: tu mio bene, nullità

קְדֹושִׁים אֲשֶׁר־בָּאָרֶץ הֵמָּה וְאַדִּירֵי כָּל־חֶפְצִי־בָם׃ 3

qedoshìm ashèr-baàretz hèmah veadirè kol-kheftziy-vàm

idoli che-nella-terra loro e potenti tutto-piacere-mio-per-loro [nullità]

 

Italiano

2 Io ho detto a Yhvh: Tu, mio Signore,

sei tutto il mio bene!

3 Nullità [sono] gli idoli esistenti e potenti sulla terra e [nullità è]

tutto il mio piacere per loro.

 

   La parola בליעל (belyàl) significa “nullità” (1Sam 25:25). La parola קדושים (qedoshìm) indica anche gli “esseri celesti” (Zc 14:5), che qui sono visti non come angeli ma come falsi dèi o idoli. Ciò è confermato dal contesto. – V. 4.

5 Qui al v. 4 si oppone il culto pagano a quello ebraico. Anche qui la corruzione del testo richiede qualche correzione. Si veda, infatti, quanto è confusa la traduzione della prima parte del versetto in TNM: “Le pene divengono molte per quelli [che], quando c’è qualcun altro, si affrettano [dietro a lui]”; nonostante le aggiunte tra parentesi quadre e nonostante gli aggiustamenti che gonfiano le poche parole ebraiche, il senso rimane confuso. La frase attuale del Testo Masoretico è:

 

יִרְבּוּ עַצְּבֹותָם אַחֵר מָהָרוּ

yrbù atzvutàm akhèr mahàru

divengono molte pene di loro altro si affrettano

 

   Anziché יִרְבּוּ (yrbù), “divengono molte”, l’originale doveva essere letto yàrbu (scritto sempre ירבו) ovvero “si moltiplicheranno”. La parola עצב (tzv), qui al plurale con l’aggiunta del suffisso –m (ם-) che indica “i loro”, può essere letta atzèv (“pena”) oppure atzàv (“idolo”). Quest’ultima lettura appare più appropriata al contesto, per cui avremmo: “Si moltiplicheranno i loro idoli”. Infine, la parola אחר (khr) può essere letta akhèr, “altro”, oppure akhàr, “dietro”. Quest’ultimo significato completa il senso di tutta la frase che diventa:

 

“Moltiplicheranno i loro idoli, dietro vi si affretteranno”.

 

In tal modo tutto il v. 4 ritorna comprensibile:

 

“Moltiplicheranno i loro idoli, dietro vi si affretteranno.

Io non verso la loro libagione di sangue

Né porto i loro nomi sulle mie labbra”.

 

   Il testo sta dicendo che il poeta si guardava bene dal prendere parte ai peccati dell’idolatria, evitando le libagioni eseguite da mani dedite alla violenza (o – come diremmo noi, in modo simile all’ebraico – sporche di sangue) che hanno versato il sangue dei giudei, e che mai userà i nomi degli idoli per una devozione superstiziosa. Si confrontino questi passi: “Voi, che v’infiammate fra i terebinti sotto ogni albero verdeggiante, che scannate i figli nelle valli sotto i crepacci delle rocce” (Is 57:5), “Lascerete il vostro nome come una imprecazione fra i miei eletti: ‘Il Signore, Dio, ti faccia morire!’ Ma egli darà ai suoi servi un altro nome”. – Is 65:15.

6 I vv. 5-7 costituiscono la seconda strofa: i doni del Signore.

7 Il v. 5 richiede delle correzioni, dato il testo corrotto.

 

Testo Masoretico

יְהוָה מְנָת־חֶלְקִי וְכֹוסִי אַתָּה תֹּומִיךְ גֹּורָלִי׃

yhvh mnat-khelqìy vechosìy atàh tomìch goralìy

Yhvh parte di eredità di me e calice di me tu custodente sorte me

 

NR

“Il Signore è la mia parte di eredità e il mio calice;

tu sostieni quel che mi è toccato in sorte”

 

TNM

“Geova è la porzione della mia parte assegnata e del mio calice.

Tu tieni saldamente la mia sorte”

 

Testo meglio tradotto

יְהוָה מְנָת־חַלֵּק וְכֹוסִי אַתָּה תֹּומִיךְ גֹּורָלִי׃

yhvh mnat-khàleq vechosìy atàh tomìch goralìy

Yhvh, tu distribuisci calice di me, tu assegni sorte me

 

   È stata modificata la terza persona in seconda persona (tu), come sempre si ha in questo salmo. Inoltre, il verbo è stato inteso in senso attivo anziché passivo: “Tu distribuisci” anziché “tu sei la mia porzione”. Si noti che dopo questi ripristini riappare il parallelismo! “Yhvh, tu distribuisci la mia coppa, tu assegni la mia sorte”. La metafora è presa dall’uso domestico: il capofamiglia distribuiva a ciascuno la sua parte di vino. “Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca” (Sl 23:5). “Egli farà piovere sull’empio carboni accesi; zolfo e vento infocato sarà il contenuto del loro calice” (Sl 11:6). Vi è anche un’allusione al trarre le sorti dal calice. La “sorte” è propriamente la pietruzza con cui la sorte era decisa. – Cfr. Lv 16:8; Nm 26:55,56;33:54;36:2; 1Sam 10:20;14:42; 1Cron 6:65.

7 “La sorte” di NR sono in TNM “le stesse corde per misurare”. Mentre NR interpreta per facilitare la comprensione al lettore, TNM sta sul letterale, aggiungendo un inutile “stesse” che crea solo confusione (le stesse di quali?). L’ebraico ha חֲבָלִים (khavalìm): “corde”. Il testo dice letteralmente: “Corde caddero per me tra le delizie, davvero eredità fu bella per me”. Con le corde si segnava il terreno che spettava ad ognuno (cfr., come esempio, Gs 17). La “sorte” del salmista cadde sul terreno migliore.

8 V. 7: è doveroso, date le benedizioni ricevute, il ringraziamento a Dio.

9 “Il mio cuore”. TNM ha “i miei reni”. Contraddittorio? Forse no, ma va spiegato. La Bibbia ha “reni di me” (chilyotày); i reni sono nella Bibbia accanto al cuore e sono di solito la sede della coscienza morale. Perché allora NR traduce con “cuore”? Perché NR è rivolta a lettori occidentali. Per gli ebrei la sede degli affetti aveva a che fare con i reni, per gli occidentali è il cuore. Per gli ebrei il cuore era la sede del pensiero.

 

Reni

Sede della coscienza morale posta accanto al cuore che è la sede degli affetti

Cuore

sede del pensiero

sede degli affetti

Mente

sede del pensiero

Note: Organo – Bibbia (pensiero ebraico)Pensiero occidentale (non biblico)

 

   Dice Sl 7:9: “Fa’ che cessi la malvagità degli empi, ma sostieni il giusto; poiché sei il Dio giusto che conosce i cuori e i reni”; Dio conosce i nostri pensieri e i nostri più intimi sentimenti. Per approfondimenti si veda lo studio L’interno del corpo umano nella categoria  Antropologia biblica nella sezione La Bibbia.

10 “Di notte”. L’ebraico ha לֵילֹות יִסְּרוּנִי כִלְיֹותָי (leylòt ysrùny chilyotày): “notti istruiscono-me [esortano-me] reni-me; “Durante le notti i miei reni mi istruiscono”. La coscienza di notte avverte l’uomo che Dio lo benedice.

11 Inizia la terza strofa (vv. 8-10): la speranza del salmista.

12 “Io non sarò affatto smosso”. Il salmista sta sicuro senza vacillare. “Non sarò mai smosso; d’età in età non m’accadrà male alcuno”. – Sl 10:6.

13 “Il mio cuore”. L’occidentale legga “la mia mente”. Il salmista ha appena detto: “Tengo presente il Signore davanti a me sempre” (v. 8, traduzione di F. Salvoni) e conclude “Perciò il mio cuore si rallegra” (v. 9, TNM). Un occidentale direbbe: Ho sempre presente Dio, perciò nella mia mente mi esulto e mi rallegro.

14 “L’anima mia esulta”. Con questa traduzione NR si allontana troppo dal testo ebraico. TNM – per essere troppo letterale – se ne allontana ancora di più, creando una frase assurda: “La mia gloria è incline a gioire”, quasi la “gloria” avesse un’inclinazione propria (e poi, cosa c’entra qui la “gloria”?). Il lettore occidentale che non conosce bene la Scrittura rimarrà di certo sorpreso, ma il testo ebraico dice letteralmente כְּבֹודִי (kevodìy): “il mio fegato”. Il fegato è nella Scrittura sinonimo di cuore, che – lo ricordiamo – biblicamente è la sede del pensiero. Si noti il parallelismo in 9a: “Il mio cuore si rallegra, il mio fegato esulta” (traduzione letterale). Detta all’occidentale: La mia mente si rallegra, il mio pensiero esulta.

15 “L’anima mia in potere della morte”. TNM traduce più letteralmente: “La mia anima nello Sceol!”. L’“anima” (nèfesh; qui nafshì, “anima di me”) è la persona stessa. Lo sheòl è la tomba.

16 “La decomposizione”. TNM ha: “La fossa”. La relativa parola ebraica è שָׁחַת (shàkhat). Questa potrebbe derivare dal verbo shùach che significa “scendere”, e in tal caso indicherebbe la fossa, la tomba o sheòl; ma potrebbe anche derivare dal verbo shakhàt che significa “corrompere”, e in questo caso indicherebbe la “corruzione”. Si potrebbe obiettare che il parallelismo sheòl-fossa (tomba-fossa) sembrerebbe più indicato. Ma non è detto. La Bibbia presenta altrove il parallelismo tomba-corruzione. Il significato di “corruzione” è richiesto da Gb 17:14: “Al sepolcro dico: ‘Tu sei mio padre’, e ai vermi: ‘Siete mia madre e mia sorella’”, dove è presente proprio il parallelo tomba-corruzione. Si noti anche Sl 49:9: “Viva in eterno ed eviti di vedere la שָׁחַת [shàkhat]”, tradotta in genere “tomba”, ma dove sarebbe più appropriato “corruzione” poiché contrapposta al vivere per sempre. Comunque, traducendo questa parola, la LXX greca accoglie per שָׁחַת (shàkhat) il significato di “corruzione”: διαφθοράν (diafthoràn). Inoltre, si noti che qui nel salmo la parola שָׁחַת (shàkhat) è congiunta con il verbo “vedere”: “Non permetterai che il tuo leale veda שָׁחַת [shàkhat]” (TNM con inserimento della parola ebraica). Sembra quindi preferibile, come fa la LXX, attribuire il senso di “corruzione”. Se si trattasse di “tomba” il verbo usato sarebbe “scendere”. Ma l’ebraico usa proprio לִרְאֹות (liròt), “vedere”. Obiettare che quando uno è morto non può davvero vedere la corruzione è una sciocchezza. Se è per questo, un morto non vede neppure la tomba. I morti non vedono. La Bibbia usa il verbo “vedere” (liròt) anche riguardo al vedere la morte (Sl 89:48), il male (Sl 90:15), il dolore (Ger 20:18), la fame (Ger 44:17), la miseria (Lam 3:1); fa parte del linguaggio concreto ebraico. Gli apostoli Pietro e Paolo intendono שָׁחַת (shàkhat) come “corruzione”. Pietro, citando il salmo, dice: “Davide dice di lui: ‘Avevo di continuo Geova dinanzi agli occhi; poiché egli è alla mia destra, affinché io non sia mai scosso. Per questo il mio cuore si è rallegrato e la mia lingua ha giubilato. Inoltre, anche la mia carne risiederà nella speranza; poiché non lascerai la mia anima nell’Ades, né permetterai che il tuo leale veda la corruzione” (At 2:25-27, TNM). E Paolo conferma: “In un altro salmo dice: ‘Non permetterai che il tuo leale veda la corruzione” (At 13:35, TNM). Ciò che il salmista intende dire – usando uno stile da poeta – è che già si vede morto e pone in Dio la sua fiducia perché sia liberato dalla morte che inevitabilmente gli procurerà la corruzione del corpo. Egli ha fede nella resurrezione. Lo stesso libro di Atti intende così perché vede preannunciata nel salmo la resurrezione di Yeshùa e la sua liberazione dalla tomba e dalla corruzione. La via della vita, cui il poeta aspira, è la vita imperitura e incorruttibile. “Il sentiero della vita è diretto verso l’alto per chi agisce con perspicacia, per allontanare dallo Sceol di sotto”. – Pr 15:24, TNM.

Epoca di composizione:

   In genere i critici, basandosi sull’analisi interna, attribuiscono il salmo all’epoca esilica, quando Israele trovò nell’idolatria un pericolo mortale per la propria fede. Ciò verrebbe confermato dagli aramaicismi presenti nel salmo che, a detta di tali critici, ne renderebbero impossibile l’origine davidica.

   Altri critici continuano invece a ritenere questo salmo di Davide. Se apriamo la Bibbia in 1Sam 26 vi leggiamo che Davide errava per i monti della Giudea stando a un passo dalla morte. Saul lo braccava: “Saul si levò e scese nel deserto di Zif. Aveva con sé tremila uomini scelti d’Israele, per cercare Davide nel deserto di Zif” (26:2). E lo braccava “come si va dietro a una pernice su per i monti” (26:20). Davide, una mattina all’alba, dopo che di notte aveva avuto l’ardire di togliere al re Saul la sua lancia risparmiando nel contempo la vita a colui che lo teneva in pugno, portandosi a prudente distanza grida a Saul: “Si degni il re, mio signore, di ascoltare le parole del suo servo. Se è il Signore colui che ti spinge contro di me, accetti egli un’oblazione! Ma se sono gli uomini, siano maledetti davanti al Signore, poiché mi hanno oggi scacciato per separarmi dall’eredità del Signore, dicendomi: ‘Va’ a servire dèi stranieri!’” (26:19). In quei tempi remoti (più di tremila anni fa) era convinzione popolare che una divinità non avesse poteri oltre i confini del dominio nazionale in cui regnava il sovrano. I nemici o falsi amici di Davide lo spingevano ad emigrare dal territorio ebraico sottomesso a Saul. Di fatto lo provocavano all’idolatria: “Va’ a servire dèi stranieri!”. Davide, indignato, respinge la provocazione e chiama quei malvagi consiglieri “maledetti davanti al Signore”. Questa è storia. Così accadde nella storia. Nella poesia, invece, la risposta a quella provocazione è appunto il salmo. Ora lo si rilegga con questo in mente, ripristinando le parole ebraiche giuste, e lo si potrà gustare in tutto il suo splendore. Non ci sono dubbi: Davide ne è l’autore.

 

Sl 16:1

“Inno di Davide

At 2:25

Davide dice . . .”

 

Messianismo:

   Dalle applicazioni fatte dagli apostoli Pietro e Paolo dobbiamo attribuire al salmo un valore messianico. Ma in che forma? Dobbiamo qui ricordare i quattro modi in cui un salmo può riferirsi al Messia:

  • In senso letterale:  (1) esclusivamente al messia, (2) parte al messia e parte al salmista, (3) sia al messia che al salmista.
  • In senso tipico.

   Con questo schema come riferimento, vediamo ora di inquadrare il Sl 16, vagliandone tutte e quattro le possibilità.

   Riferito esclusivamente al messia? Questa ipotesi presenta la difficoltà della prima parte (vv. 1-6) che meglio si applica ad un re terreno diverso dal messia. Il salmista non vuole cadere nell’idolatria. Come abbiamo visto, era Davide che correva questo rischio – essendo spinto ad andarsene da Israele. Atanasio, che era un sostenitore del senso letterale esclusivamente messianico di questo salmo, fu costretto – per superare questa obiezione – ad inventarsi che qui Yeshùa si rivolgeva a Dio non per se stesso ma per l’umanità (PG 27,100 D). Agellio conviene che le parole del v. 4 relative ai falsi dèi (“Io non offrirò le loro libazioni di sangue, né le mie labbra proferiranno i loro nomi”) si addicono di più a Davide che a Yeshùa.

   Riferito in parte a Davide e in parte a Yeshùa? Questa ipotesi ha visto una rapida diminuzione dei suoi sostenitori, dato che il salmo ci appare come una preghiera continua senza indizio di passaggio da una persona ad un’altra. Che sia Davide o che sia il messia, è sempre uno solo che parla dall’inizio alla fine del salmo.

   Riferito simultaneamente a Davide e a Yeshùa? È ciò che sostiene il Vaccari. Secondo questa ipotesi non vi è alcuna duplicità di senso letterale, ma il salmo riguarderebbe un duplice oggetto. Con la mente rivolta a Davide, lo si potrebbe leggere come riferito a lui. Se si mette a fuoco la figura del messia, lo si potrebbe leggere riferito a Yeshùa. L’idea appare suggestiva, ma ci sono due difficoltà:

  1. La prima parte (vv. 1-6), come abbiamo già esaminato sopra, si addice di più a Davide. Anzi, possiamo ben dire che non ha nulla a che fare con Yeshùa. Sembra quindi logico e naturale che l’autore di questa parte sia anche quello che nella seconda parte parla di sé.
  2. Che il salmo possa dirsi letterale va dimostrato. Riferito a Yeshùa, esso può anche realizzarsi in senso tipico.

   Riferito a Yeshùa in senso tipico. Il salmista, in ogni parte del salmo parla solo a suo proprio nome. È Davide e solo lui che parla. È Davide che pone il suo unico bene in Dio e si allontana da coloro che offrono i loro omaggi alle false divinità. È sempre Davide che, esultante di gioia per il possesso della sua terra, gode di una profonda pace che si ripercuote nel suo stesso corpo che vive in sicurezza. Quello che desidera è che la sua felicità non finisca mai e ha fiducia che Dio non lo abbandonerà nella tomba in preda alla corruzione. Come farà Dio a realizzare questo suo desiderio? Il salmista non si turba pensando a come ciò potrebbe avvenire. Non manifesta neppure alcun presentimento di resurrezione. Ma sa e dice che il suo Dio saprà ben mostrargli il cammino della vita, di quella vita in cui le delizie della compagnia del Signore non avranno mai fine. Se non pensava alla resurrezione come unico mezzo perché gli fosse assicurata la felicità eterna, è tuttavia certo che essa era necessaria per realizzare il suo desiderio. Ma la fede del salmista va oltre: saprà Dio come fare. Nella Scrittura si trovano non pochi esempi di questo stato d’animo in cui il credente tocca una realtà che egli attende con certezza di fede anche se ignora in che modo si potrà attuare.

   I sentimenti del salmista sono, sotto questo aspetto, tipo dei sentimenti simili del messia. E la resurrezione? Anche se il salmista non ne parla, essa si imponeva per la realizzazione dei suoi desideri. Il concetto di resurrezione era implicitamente e oscuramente incluso nel salmo. Gli apostoli di Yeshùa fecero di questo tratto appena accennato una dottrina rilevante. Il fatto è che il desiderio di Davide si realizzerà in futuro. Questo è certo. E come certezza di ciò la resurrezione di Yeshùa è una “caparra”.