Oltre a quelli già esaminati nei precedenti studi, vediamo ora altri raggruppamenti di Salmi.

   Salmi storici. Sono delle recitazioni di episodi della tradizione israelitica. “Ascolta, popolo mio . . . esporrò i misteri dei tempi antichi. Quel che abbiamo udito e conosciuto, e che i nostri padri ci hanno raccontato” (Sl 78:1-3). “I nostri padri in Egitto . . . “ (Sl 106:7). Sono salmi in cui si narra come il Dio di Israele mostrò la sua potenza al di sopra di tutti gli idoli dei popoli stranieri.

   Salmi sapienziali. Costituiscono delle meditazioni sui problemi discussi tra i saggi. Rientrano in questa categoria i Sl 1, 37, 49, 73. Tra questi si può annoverare il lunghissimo Sl 119, il salmo della Legge, che costituisce una delle composizioni più tardive del Salterio, risultante di strofe acrostiche.

   Salmi imprecatori. Questi salmi contengono delle imprecazioni e sembrano dettati da un crudele spirito di vendetta. Citiamo un esempio: “Gli occhi loro si offuschino e più non vedano; indebolisci per sempre i loro fianchi. Riversa su di loro il tuo furore, li raggiunga l’ardore della tua ira. Sia desolata la loro dimora, nessuno abiti le loro tende, poiché perseguitano colui che hai percosso, e godono a raccontarsi i dolori di chi hai ferito. Aggiungi questo peccato ai loro peccati e non abbian parte alcuna nella tua giustizia. Siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti fra i giusti” (Sl 69:23-28). Un altro esempio è il Sl 109, in cui ci si augura che la maledizione divina colpisca il colpevole e tutta la sua discendenza, si diffonda e penetri come acqua e olio: “Quando sarà giudicato, esca condannato, e la sua preghiera gli sia imputata come peccato. Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo posto. I suoi figli diventino orfani e sua moglie vedova. I suoi figli siano vagabondi e mendicanti e cerchino il pane lontano dalle loro case in rovina. L’usuraio divori tutto il suo patrimonio ed estranei lo spoglino del frutto delle sue fatiche. Nessuno sia misericordioso con lui e nessuno abbia pietà dei suoi orfani. La sua discendenza sia distrutta; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome! L’iniquità dei suoi padri sia ricordata dal Signore e il peccato di sua madre non sia cancellato. Siano quei peccati sempre davanti al Signore, e faccia egli sparire dalla terra il ricordo di lui. Infatti non si è ricordato di fare il bene, ma ha perseguitato il misero, il povero, e chi ha il cuore spezzato, per farlo morire. Egli ha amato la maledizione: essa ricada su di lui! Non si è compiaciuto nella benedizione: questa se ne stia lontana da lui! Si è coperto di maledizione come se fosse il suo vestito; essa è penetrata come acqua dentro di lui, e come olio nelle sue ossa. Sia per lui come vestito che lo ricopre, come cintura che lo lega per sempre!” (vv. 7-19). Si veda anche Sl 35:4-8;58:6-10;137:8,9. Erano ispirati questi salmisti? Certo che lo erano. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio” (2Tm 3:16). Che dire allora di espressioni che ci sembrano orrende?

“O Dio, fracassa loro i denti in bocca”. – Sl 58:6, TNM.

“Felice sarà chi afferrerà e in effetti frantumerà

I tuoi fanciulli contro la rupe”. – Sl 137:9, TNM.

   Per l’occidentale sono parole inaccettabili. Ma occorre capire tre aspetti per comprendere bene. Primo, il linguaggio ebraico è concreto; noi diremmo semplicemente: Sia Dio ad occuparsi dei nemici; ma questa è un’astrazione che all’ebreo dice poco; il linguaggio concreto rendeva invece l’idea. Secondo, quelle dure parole erano rivolte a nemici che avevano a loro volta fatto così; le parole di Sl 137:9 sono rivolte alla “figlia di Babilonia” (v. 8); i babilonesi avevano davvero fatto quello che il salmista augura loro; l’occidentale direbbe: Dio, ripagali per quello che hanno fatto: l’ebreo, concretamente, menziona quello che avevano fatto e glielo augura. Terzo, se le parole appaiono eccessive in ogni caso, dobbiamo anche pensare che a quei salmisti si possano applicare le parole che Yeshùa rivolse a due suoi discepoli: “Voi non sapete di quale spirito siete animati” (Lc 9:55). Questi due discepoli erano Giacomo e Giovanni. Il rimprovero di Yeshùa fu dovuto al pensiero che essi ebbero dopo che i samaritani non avevano accolto il loro maestro, e se ne erano venuti fuori dicendo: “Signore, vuoi che diciamo al fuoco di scendere dal cielo e annientarli?” (v. 54, TNM). Va ricordato anche che questi due ricevettero da Yeshùa “il soprannome di Boanerges, che significa Figli del Tuono” (Mr 3:17, TNM), soprannome che la dice lunga sul loro caratterino.

   Ma l’ispirazione della Scrittura può conciliarsi con tali idee? L’ispirazione garantisce soltanto che tale fu il sentimento dello scrittore, ma non è detto che esso sia sempre stato accolto e fatto proprio da Dio. È ispirato anche il detto “Non c’è Dio!” (Sl 10:4), ma è attribuito allo stolto e quindi non è vero.

   Anche nei salmi imprecatori apparirebbero delle idee non del tutto eccelse. Lo scrittore ispirato non è un automa, ma una persona che risponde alla mozione divina secondo le possibilità e le capacità della sua natura umana. È per questo motivo che l’autore ispirato si mostra ora dolce, ora irato, ora caritatevole e zelante, ora scoraggiato e stanco. Niente di strano perciò che mostri anche dell’ira verso i nemici suoi e del suo popolo.

   Ad ogni modo, per meglio comprendere tali sentimenti vendicativi in persone profondamente devote e spirituali – quali erano i salmisti – occorre riflettere su quanto segue:

  1. Non bisogna pensare che tutto quanto c’è nelle Scritture Ebraiche sia all’altezza morale di Yeshùa. Il Messia nel proclamare la sua legge d’amore sottolinea la profonda differenza tra il modo antico di vivere la Legge e il nuovo.

“Voi avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’.

Ma io vi dico: amate i vostri nemici”. – Mt 5:43,44.

 Ma attenzione: Yeshùa dice che “fu detto”, ma non era la Bibbia ad averlo detto. La Scrittura, anzi, diceva il contrario (Es 23:4). Erano certi ebrei che dicevano così. Ciò, ad esempio, era richiesto dalla dottrina di Qumràn, il cui Manuale di Disciplina inculca l’odio verso i nemici e verso tutti coloro che non seguono le norme qumraniche e non si preparano alla venuta del messia.

  1. Va poi considerato che la radice del verbo ebraico “odiare” ha un senso meno rigido che non nella nostra lingua. In ebraico indica un amore minore, un non preferire (si veda Lc 14:26). Mai le Scritture Ebraiche inculcano l’odio per i nemici. Anzi, esse – al contrario – presentano delle norme che sono proprio all’opposto dell’odio. Così:

“Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di ricondurglielo. Se vedi l’asino di colui che ti odia caduto a terra sotto il carico, guardati bene dall’abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo”. – Es 23:4,5.

              Questo non è odio per i nemici!

“Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso”. – Lv 19:17,18.

   Come si vede, siamo ben lontani dall’inculcare l’odio per i nemici. Di certo le Scritture non sono ancora ben compiute come lo saranno con Yeshùa. Ad esempio, il divorzio era concesso, ma proprio questo esempio mostra come Dio avesse a che fare con gente ancora rozza. Tenuto conto di come era la popolazione mediorientale di più di tremila anni fa, è stupefacente vedere il progresso etico che gli ebrei avevano in paragone alle nazioni da cui erano accerchiati. “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè [ispirato] vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19:8,9). Così anche l’amore, nelle Scritture Ebraiche, è ancora imperfetto e in esse l’amore speciale è riservato agli amici, ai connazionali e non agli oppressori. E pensare che ci sono oggi cosiddetti “cristiani” che affermano – secondo i dettami dei loro apparati dirigenti – che Yeshùa avrebbe abolito la Legge e i comandamenti di Dio! Yeshùa, invece, diede un giro di vite, rendendo la Legge più stringente e indicando come viverla davvero. Dio stesso aveva predetto che la Legge sarebbe stata scritta nei cuori dei veri adoratori: “Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuori”. – Ger 31:33.

  1. Le imprecazioni sono spesso delle preghiere rivolte a Dio in cui si vuol lasciare a Dio la giustizia anziché esercitarla personalmente. Davide avrebbe potuto con un solo colpo di lancia uccidere Saul che lo cercava per metterlo a morte; così si sarebbe liberato da ogni pericolo. Ma Davide si accontenta di prendergli un lembo del mantello come dimostrazione che lo aveva risparmiato e, rispettoso del re, grida al suo persecutore: “Il Signore sia giudice fra me e te e il Signore mi vendichi di te; ma io non ti metterò le mani addosso” (1Sam 24:13). Un’altra volta, dopo un fatto simile, dice: “Se è il Signore colui che ti spinge contro di me, accetti egli un’oblazione! Ma se sono gli uomini, siano maledetti davanti al Signore” (Ibidem 26:19). Si tratta della stessa attitudine che compare in altri salmi:

“O Signore, contendi contro i miei avversari, combatti contro quelli che mi combattono. Prendi il piccolo scudo e il grande scudo, e vieni in mio aiuto. Tira fuori la lancia e chiudi la via ai miei persecutori”. – Sl 35:1-3.

 E, poco dopo:

“Mi rendono male per bene; desolata è l’anima mia. Eppure, io, quand’erano malati, vestivo il cilicio, affliggevo l’anima mia con il digiuno, e pregavo con il capo chino sul petto. Camminavo triste come per la perdita d’un amico, d’un fratello, andavo chino e oscuro in volto, come uno che pianga sua madre”. –  Vv. 12-14.

 È proprio in un salmo imprecatore che si legge:

“In cambio della mia amicizia, mi accusano, e io non faccio che pregare”. – 109:4.

Abbiamo qui un cuore sensibile ai più elevati sentimenti. Quindi, non vendetta ma sentimento di giustizia contro gli ingiusti oppressori. Nella mentalità di allora, quando la punizione o il premio ultraterreno non facevano parte della dottrina di Israele, si pensava che la giustizia era cosa da attuarsi su questa terra. In tutto ciò influiva anche il concetto di solidarietà, per cui la colpa del padre si supponeva partecipata da tutti i membri della famiglia (legge di corporativismo). Dal momento che, a quel tempo, fede e sorte nazionale si ritenevano intimamente legate tra loro, doveva essere ritenuta cosa zelante auspicare – secondo gli usi del tempo – la punizione dei dominatori colpevoli (compresi i bambini, anch’essi responsabili in solido!). Questo era ritenuto un mezzo per far sussistere la fede. “Condannali, o Dio! Non riescano nei loro propositi! Scacciali per tutti i loro misfatti, poiché si son ribellati a te” (Sl 5:10). “Signore, non odio forse quelli che ti odiano? E non detesto quelli che insorgono contro di te?” (Sl 139:21). “Siano delusi e confusi per sempre, siano svergognati e periscano! E conoscano che tu, il cui nome è il Signore, tu solo sei l’Altissimo su tutta la terra”. – Sl 83:17,18.

 Ma se ciò era comprensibile per quel tempo e per quella gente, non lo fu più dopo la predicazione dell’ebreo Yeshùa.

  1. Sotto l’ispirazione divina le imprecazioni diventano delle profezie preannuncianti i decreti divini. Così si possono spiegare i molti passi di Geremia (11:20;17:18). Anche l’ebreo Pietro vi vide delle profezie sulla sorte di Giuda, cosa che dimostra che non dovette prendere i brani troppo alla lettera. Dice Pietro: “Sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta e più nessuno abiti in essa e Il suo incarico lo prenda un altro” (At 1:20), e qui cita due imprecazioni tratte da Sl 69:25 e da Sl 109:8. Tali maledizioni dovevano impressionare gli uditori nel culto, allontanarli dalla colpa e impedire loro di solidarizzare con i nemici di Israele facendo crescere il pericolo dell’idolatria. – Cfr. Lv 26:1-26; Dt 28:15-68.
  2. Le imprecazioni, poste nel loro ambiente naturale (e non giudicate da occidentali del 21° secolo tremila anni dopo) si possono comprendere abbastanza facilmente, perché non fanno altro che descrivere in modo poetico gli usi e i costumi del tempo. Si veda il Sl 136, specialmente verso la fine: non è che una descrizione impressionante degli eccidi che si facevano durante la conquista di una città. Così accadeva. Noi oggi possiamo leggere di quegli eccidi nel salmo, ma possiamo anche vederli raffigurati in maniera impressionante in alcune sculture assire (e gli assiri erano famosi per la loro ferocia più che crudele). Di certo nessuno si appellava allora alla Convenzione di Ginevra. Eppure, proprio in quel campo gli ebrei ebbero fama di bontà.
  3. Ma le imprecazioni possono insegnarci qualcosa? La domanda è lecita, perché non solo “ogni Scrittura è ispirata da Dio”, ma è “utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3:16,17). Occorre leggere senza sentimentalismo. Alcuni sono urtati da questi salmi ma non lo sono affatto nel leggere il raccapricciante saccheggio di Gerico. Occorre vedere in questi salmi tutta la durezza del male. Usualmente si dice: Ama il peccatore, ma odia il peccato. Bel detto, e tutti annuiscono soddisfatti approvando. Ma è gente che non sa pensare, che rimane alla superficialità e ragiona solo per sentito dire. Si dovrebbe invece rispondere a questa domanda: Dove si trova in realtà il peccato? Il peccato non è una cosa astratta che se ne sta da qualche parte mentre il peccatore, poverino, ne è estraneo. Il peccato sta nella persona che pecca. Odiare il peccato – se davvero lo si odia – significa considerare odioso anche il peccatore. Se così non fosse, non ci sarebbe più distinzione tra il buono e il cattivo. Yeshùa non ha mai affermato la bontà degli esseri umani, non ha mai simpatizzato con i peccatori; ha piuttosto cercato di conferire loro la bontà di cui avevano bisogno. È però un fatto che questi salmi non chiedono mai la conversione dei peccatori come faceva Ezechiele (cfr. Ez 18 ed Ez 3:17 sulla sentinella che avvisa). Ciò è dovuto alla divisione dicotomica dell’umanità, che è difesa dai libri sapienziali e che sembra non ammettere la possibilità di un passaggio da una classe all’altra. Lo vedremo nel libro di Proverbi: l’umanità è divisa tra stolti e giusti. In questa visuale il colpevole non può ravvedersi. Questo è ciò che normalmente avviene nelle persone che respingono il dono di Dio. Così è. Vero è che ci sono persone che si convertono, ma queste – con la loro conversione – dimostrano di essere della classe dei potenziali giusti. Altra cosa per la classe degli irriducibili. Non c’è speranza. Paolo stesso mantiene la stessa visione biblica di questi salmi: “Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere” (2Tm 4:14). Chi respinge in modo convinto il dono di Dio deve essere necessariamente punito. I salmi descrivono questa verità con il cliché del tempo.