Gv 1:6-8,19-28

   La predicazione del battezzatore era rivolta a tutta Israele. Tuttavia, da Gv appare che un gruppo di persone gli si strinse attorno come suoi discepoli, attuando alcuni usi e pratiche speciali: “I discepoli di Giovanni […] erano soliti digiunare” (Mr 2:18); “Giovanni era di nuovo là con due dei suoi discepoli” (Gv 1:35); “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e pregano”, “Anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Lc 5:33;11:1). Anche se il battezzatore aveva un compito provvisorio, per cui egli si ritirò dopo la comparsa di Yeshùa (“Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca” – Gv 3:33), di fatto nelle Scritture Greche si ha l’impressione che il movimento battista continuasse parallelamente a quello della chiesa o congregazione originaria. Apollo di Alessandria e altri discepoli di Efeso conoscevano soltanto il battesimo di Giovanni: “Ora un ebreo di nome Apollo, oriundo di Alessandria, uomo eloquente e versato nelle Scritture, arrivò a Efeso. Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, annunziava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni”, “Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso; e vi trovò alcuni discepoli” (At 18:24,25;19:1). La presenza di seguaci del battezzatore ad Alessandria e ad Efeso documenta l’espansione del movimento battista. Secondo la letteratura mandea, sembra che costoro ritenessero addirittura che Giovanni fosse il Messia e Yeshùa uno pseudo-profeta (R. Bultmann, Die Bedentung der neugeschlossenen mandäischen Quelle für das Werstandniss der Johannes Evangelium, in Zeitschr, 1925, pag. 100). Sembra che tali idee si diffondessero in modo particolare in Siria, per cui riguardo a tale movimento sorse la letteratura clementina, un’opera giudeo-cristiana che ridusse il battezzatore a falso profeta. Il Vangelo di Giovanni, scritto forse ad Efeso (dove il movimento battista era vigoroso) mette in risalto il fatto che lo stesso battezzatore aveva negato di essere il messia. Tale reazione si rinviene in due passi del Vangelo: 1. Nel prologo; 2. Nel dialogo svoltosi con i sacerdoti e i leviti giunti appositamente da Gerusalemme per interrogare il battezzatore.

  1. Nel prologo (1:6-8). Di fronte alla parola divina che “era” sin dal principio (Gv 1:1), Giovanni oppone un dato realizzatosi nella storia: “Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni” (1:6). La missione ufficiale di quest’uomo, ricevuta da Dio e non scelta di propria iniziativa, era quella di “rendere testimonianza alla luce” (1:7). Sorgerebbe una domanda: Ma questa testimonianza è necessaria, dato che la “luce” si manifesta essa stessa da sola? Sì! Perché qui si tratta di una luce incarnatasi in un uomo: “la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi” (1:14). Quest’uomo in cui era scesa la parola creatrice di Dio, era ignoto e doveva essere presentato al pubblico dal precursore: “La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo […], ma il mondo non l’ha conosciuto (1:9,10). Il battezzatore era colui che sapeva dove si trovava questa luce personificata, “affinché tutti credessero [πιστεύσωσιν, pistèusosin; aoristo ingressivo: “iniziassero a credere”]” (1:7). Il battezzatore è quindi un “testimone” (1:7) che di presenza può indicare chi sia il vero Messia: “’Appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua’. Giovanni rese testimonianza”. – 1:31,32.

   Qualche esegeta ha pensato che questi versetti siano un’aggiunta ad un inno originale, dato che il testo è prosaico e presenta una forma stereotipa al suo inizio (“Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni” – 1:6), redatta su passi delle Scritture Ebraiche: “C’era un uomo […]” (1Sam 1:1), e rompe la successione del pensiero (il v. 5 – “La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta” – è continuato dal v. 9: “La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo”). Quest’aggiunta sarebbe stata attuata da alcuni discepoli, sempre ispirati. Se poi non si tratta di un’aggiunta, forse si tratta di uno spostamento. Quei versetti sarebbero stati trasferiti lì dal v. 19 a cui originariamente sarebbero appartenuti. Tuttavia, è possibile accogliere anche un’altra soluzione: la parte poetica era un inno antecedente a Yeshùa, forse liturgico, in lode alla Parola di Dio; esso sarebbe stato poi adattato da Giovanni evangelista che v’introdusse i versetti riguardanti il battezzatore.

  1. Nel dialogo con il battezzatore (1:19-28). Questo brano non può essere considerato parallelo a quello dei sinottici giacché non parla direttamente del battesimo di Giovanni e della sua predicazione alle folle, ma contiene una testimonianza del modo con cui il battezzatore discusse con i leviti e i sacerdoti venuti da Gerusalemme per interrogarlo: “Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei Leviti per domandargli: ‘Tu chi sei?’” (1:19). Da Gv conosciamo il particolare circa il luogo dove il battezzatore svolgeva la sua attività: “Queste cose avvennero in Betania di là dal Giordano, dove Giovanni stava battezzando” (1:28). I codici sono tra loro in contrasto: alcuni hanno “Betania” (“Casa della barca”), altri hanno “Betabara” (“Casa di passaggio”). Secondo Origène la prima sarebbe stata la lezione più comune nei codici, anche se egli accettava la seconda perché il nome di Betania era inesistente a oriente del Giordano (si conosceva una Betania presso Gerusalemme). Qualche esegeta pretende di trovare un simbolismo nel significato del nome “Betabara” (“Casa del passaggio”): il precursore non avrebbe così operato in Terra Santa, ma nello stesso luogo da cui gli ebrei entrarono nella Terra Promessa; Yeshùa sarebbe stato battezzato in quel luogo quasi per indicare che è solo attraverso di lui che si entra nella vera Terra Santa (Boismard, Du baptême à Cana, Paris 1953, pag. 39). Tale simbolismo, però, non risulta dal testo sacro. È quindi meglio attendere nuove scoperte future per identificare meglio questa Betania, tanto più che tutte le altre indicazioni geografiche di Gv – prima considerate discutibili – sono state confermate dall’archeologia come molto accurate. Gv dice che i sacerdoti e i leviti che si presentano al battezzatore sono inviati dai giudei di Gerusalemme: “I Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei Leviti i Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei Leviti” (1:19). Chi sono questi “giudei”? In Gv il significato della parola “giudei” varia. Può indicare i giudei in generale: “C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei”, “La Pasqua dei Giudei era vicina”, “I Giudei non hanno relazioni con i Samaritani” (2:6,13;2:9). Costoro non sono ostili a Yeshùa, anzi – quando non sono succubi di altri -, gli sono favorevoli e lo considerano come un uomo eccellente (10:19-21); molti credevano in lui: “Molti Giudei andavano e credevano in Gesù”, “Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui […]” (12:11;8:31). In Gv “giudei” può anche indicare (per lo più è così) i rappresentanti della parte giudaica più ostile a Yeshùa, composta specialmente dai capi del popolo, gerosolimitani, corrispondenti spesso agli scribi (giuristi) e ai farisei. Sono questo tipo di giudei che si oppongono a Yeshùa che purifica il Tempio (2:18) e si scandalizzano nel vedere che compie miracoli di sabato (5:16); essi chiudono così i loro occhi alla luce: “I Giudei dunque gli si fecero attorno e gli dissero: ‘Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente’” (10:24). Cercano anzi di farlo morire perché Yeshùa si proclama vicinissimo a Dio: “Per questo i Giudei più che mai cercavano d’ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre”, “Allora essi presero delle pietre per tirargliele”, “I Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo” (5:18;8:59;10:31). A causa loro Yeshùa deve abbandonare la Giudea: “Gesù se ne andava per la Galilea, non volendo fare altrettanto in Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo” (7:1) e ritirarsi a Efraim presso il deserto: “Gesù quindi non andava più apertamente tra i Giudei, ma si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim” (11:54). Questo tipo di giudei sono rivestiti di autorità e ispirano paura nel popolo: “Nessuno però parlava di lui apertamente, per paura dei Giudei”, “Avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno riconoscesse Gesù come Cristo, fosse espulso dalla sinagoga”, “in segreto per timore dei Giudei”, “Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei” (7:13;9:22;19:38;20:19). Sono sempre questi giudei che inviano le guardie per catturare Yeshùa: “La coorte, dunque, il tribuno e le guardie dei Giudei, presero Gesù e lo legarono” (18:12); si riuniscono sotto la presidenza di Caiafa: “Caiafa era quello che aveva consigliato ai Giudei esser cosa utile che un uomo solo morisse per il popolo”, “I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, riunirono il sinedrio e dicevano: ‘Che facciamo?’”, “Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote quell’anno” (18:14:11:47,49); decidono la morte di Yeshùa (11:47,sgg.); lo fanno mettere al palo: “I Giudei gridavano”, “Essi gridarono: ‘Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!’” (19:12,15).

   I “giudei” del passo in discussione (i mandanti dei sacerdoti e dei leviti a interrogare il battezzatore) costituiscono la classe dirigente giudaica, il sinedrio (composto da sacerdoti e da farisei, che ne erano gli istigatori). Secondo la Mishnà sarebbe stato di competenza dei 71 membri del sinedrio investigare e conoscere quello che si riferiva ad un profeta (Sanhedrin 1,5). Era appropriato che i leviti, specialisti nella purificazione, stessero accanto ai sacerdoti per giudicare il battesimo di Giovanni.

   Alla domanda dei leviti e dei sacerdoti (“Tu chi sei?” – 1:19), il battezzatore “confessò e non negò; confessò dicendo: ‘Io non sono il Cristo’” (1:20). Si noti la costruzione semitica amante del parallelismo che scinde la frase in modo da ottenere una risposta bilanciata in due parti: (1ª) “Confessò e non negò”, (2ª) “confessò dicendo: ‘Io non sono il Cristo’”.

   Si sa da Luca che il popolo era in agitazione e si domandava se il battezzatore fosse il messia: “Il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro se Giovanni fosse il Cristo”, “Che cosa pensate voi che io sia? Io non sono il Messia” (Lc 3:15; At 13:25). Evidentemente, nel fatto che Gv riferisce in modo tanto enfatico la risposta del battezzatore, c’è una punta polemica contro quei discepoli che lo ritenevano il Messia. Di tali discepoli si ha ancora traccia in At 19:1-7: “Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso; e vi trovò alcuni discepoli, ai quali disse: ‘Riceveste lo Spirito Santo quando credeste?’. Gli risposero: ‘Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo’. Egli disse loro: ‘Con quale battesimo siete dunque stati battezzati?’. Essi risposero: ‘Con il battesimo di Giovanni’. Paolo disse: ‘Giovanni battezzò con il battesimo di ravvedimento, dicendo al popolo di credere in colui che veniva dopo di lui, cioè, in Gesù’. Udito questo, furono battezzati nel nome del Signore Gesù; e, avendo Paolo imposto loro le mani, lo Spirito Santo scese su di loro ed essi parlavano in lingue e profetizzavano. Erano in tutto circa dodici uomini”.

   “Chi sei dunque? Sei Elia?” (1:21). L’abito caratteristico e l’annuncio del regno ormai imminente possono aver indotto molti a ritenerlo Elia tornato di persona sulla terra: “Giovanni aveva un vestito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi” (Mt 3:4), “Era un uomo [Elia] vestito di pelo, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi” (2Re 1:8; cfr. Zc 13:4). Malachia, l’ultimo profeta minore, aveva scritto: “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, perché io non debba venire a colpire il paese di sterminio” (Mal 4:5,6). Anche se il suo compito era quello di rinsaldare l’unità familiare, l’opinione popolare e l’indagine rabbinica gli avevano attribuito diversi compiti messianici. Egli avrebbe dovuto rimproverare Israele per e sue infedeltà affinché si convertisse (Pesahin 70b), avrebbe risolto le questioni più intricate (Baba Messia 1,8;11,8), avrebbe continuato i suoi miracoli e svolto una missione relativa al culto. Nella concezione del popolo, il ritornato Elia avrebbe anche annunciato la venuta del messia presentandolo al popolo (Giustino, Dialogo contro Trifone 8). Yeshùa mostrò che la funzione premessianica di Elia (senza però l’identificazione con la persona), era stata in realtà svolta da Giovanni il battezzatore: “I discepoli gli domandarono: ‘Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?’. Egli rispose: ‘Certo, Elia deve venire e ristabilire ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto; così anche il Figlio dell’uomo deve soffrire da parte loro’. Allora i discepoli capirono che egli aveva parlato loro di Giovanni il battista”. – Mt 17:10-13.

   I giudei attendevano anche la venuta di un “profeta” pari a Mosè, il cui esame era di competenza del sinedrio (Sinhedrin 1,5). Tale attesa poggiava sul passo di Dt 18:15: “Per te il Signore, il tuo Dio, farà sorgere in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta come me [Mosè]; a lui darete ascolto!”. La tradizione giudaica spiegava in vari modi questo passo. Lo applicava al messia: “La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: ‘Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo’” (Gv 6:14); “Mosè, infatti, disse: ‘Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà’” (At 3:22); “Questi è il Mosè che disse ai figli d’Israele: ‘Dio vi susciterà, tra i vostri fratelli, un profeta come me’” (At 7:37). Ma lo applicava anche al precursore. E lo aveva applicato già a diversi profeti antichi come Samuele, Isaia, Geremia. Anche la comunità di Qumràn attendeva questo profeta (Regola della comunità 9,11). È a questo profeta che si riferisce il passo giovanneo qui considerato, tanto più se si accoglie la lezione del papiro Bodmer II che premette l’articolo al sostantivo: “Sei tu il profeta?” (1:21). Nei papiri Bodmer XIV e Bodmer XV vi sarebbe una lacuna prima del vocabolo “profeta”, anche se secondo il Metzger sarebbe insufficiente per inserirvi l’articolo. Tuttavia, è lecito ammettere l’ipotesi che ne suppone la presenza. Il testo biblico conferma questa ipotesi, dato che alla domanda il battezzatore risponde: “No” (1:21). Ora, il battezzatore era davvero un profeta: “Tu [Giovanni], bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo” (Lc 1:76); quando Yeshùa afferma: “Io vi dico: fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni” (Lc 7:28), si comprende che egli intendeva parlare del “profeta” per eccellenza atteso dai giudei. Dato, quindi, che Giovanni era effettivamente profeta, non avrebbe risposto di no alla semplice domanda: ‘Sei tu profeta?”, ma effettivamente rispose di no alla domanda: “Sei tu il profeta?”. La tradizione giudaica circa l’attesa del profeta aveva assunto un valore incerto nella concezione popolare, tanto che si attendeva ora un profeta, ora un profeta precursore del messia, ora il profeta (messia). Quando, in una circostanza, gli ebrei erano convinti che Yeshùa era il profeta, volevano farlo re: “La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: ‘Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo’. Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo”. – Gv 6:14,15.

   Giovanni il battezzatore applica a se stesso una profezia isaiana riportata anche dai sinottici: “Io sono la voce di uno che grida: ‘Nel deserto raddrizzate la via del Signore’, come ha detto il profeta Isaia” (Gv 1:23, traduzione conforme al testo biblico; “Che grida: ‘Attraverso il (Nel) deserto preparate la via”, nota in calce a Is 40:3, TNM). Tuttavia, Gv mette più in risalto il fatto che si tratta di una preparazione spirituale: il verbo usato dalla LXX (ἑτοιμάσατε, etoimàsate, “preparate”), viene infatti sostituito con εὐθύνατε (euthΰnate), “raddrizzate”; questo verbo si usa anche per il pilota che governa la nave (pilota = εὐθυνῶν, euthünòn); in italiano corrente si potrebbe tradurre: “Mettetevi in riga”.

   Gv osserva che gli inviati erano farisei: “Quelli che erano stati mandati da lui erano del gruppo dei farisei” (1:24). Il testo greco ha ἐκ τῶν Φαρισαίων (ek ton farisàion), “dei farisei”, con l’articolo. Se l’articolo mancasse si potrebbe pensare che solo alcuni di loro erano farisei, ma l’articolo indica che tutti loro erano farisei. Questo ci fa supporre che essi fossero stati inviati per istigazione farisaica, e quindi scelti tra i sacerdoti e i leviti farisei che costituivano la minoranza, dato che la maggioranza dei sacerdoti e dei leviti erano sadducei. Oppure, qui Gv congiunge assieme due tradizioni: “Mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei Leviti” (v. 19), “Erano del gruppo dei farisei” (v. 24). Questi inviati domandano a Giovanni con quale autorità egli immergesse. Il battezzatore risponde che la sua è un’immersione in acqua. Qui, in questo passo, il battezzatore non oppone questo battesimo a quello in spirito del Messia, come si farà presso Luca: “Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo” (At 1:5). Qui Giovanni oppone la propria persona a quella del Messia. Il Messia è già in mezzo a loro, anche se non è ancora conosciuto; verrà dopo di lui e sarà così grande che il battezzatore non è degno neppure di scioglierne i calzari. Il fatto che il messia fosse ignoto si ricollega alla credenza popolare (Giustino, Dialogo contro Trifone 8,3) che prima della sua comparsa sarebbe rimasto nascosto in un luogo occulto; questo gli ebrei credevano leggendo la profezia: “Egli è colui del quale è scritto: ‘Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero, che preparerà la tua via davanti a te’” (Gv 7:27). Il battezzatore non rimprovera i giudei perché non lo conoscono, ma segnala di avere la missione di presentarlo: “Appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua” (1:31). Giovanni battezza in acqua per poter manifestare Yeshùa ai suoi contemporanei che lo ignorano: “Io battezzo in acqua; tra di voi è presente uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me”, “Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua” (1:26,27,31). Il contrapposto tra il battesimo in acqua (Giovanni) e quello in spirito (Yeshùa) si rinviene invece in Gv 1:33 e 3:5: “Colui che mi ha mandato a battezzare in acqua, mi ha detto: ‘Colui sul quale vedrai […]’”, “Se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio”.

   Acqua e spirito nella Bibbia sono spesso ricollegati. L’effusione dello spirito è paragonata alla pioggia fecondatrice della terra: “Su di noi sia sparso lo Spirito dall’alto e il deserto divenga un frutteto, e il frutteto sia considerato come una foresta” (Is 32:15). L’acqua non serve solo da immagine, ma concorre – con lo spirito – come segno concreto dell’azione purificatrice degli animi imbrattati dal male, specialmente dall’idolatria: “Vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli” (Ez 36:25). La connessione acqua-spirito è dunque tradizionale nella tradizione profetica e fu accolta anche da Yeshùa. – Gv 3:5.

   Il messia viene dopo il precursore. Gv 1:27 (“Colui che viene dopo di me”) si ricollega a Mal 3:1: “’Ecco, io vi mando il mio messaggero, che spianerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene’, dice il Signore degli eserciti”. “Colui che viene”: questo verbo (“viene”) è diventato sinonimo del messia. Il battezzatore, infatti, manda a domandare: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11:3). Sarà così anche nell’Apocalisse (Rivelazione): “Sì, vengo presto!”. – 22:20.

   “Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me” (1:30). Il “dopo di me” indica il tempo: successivamente, dopo il battezzatore. Tuttavia, non necessariamente il “prima di me” indica una successione cronologica. Può essere inteso in senso di dignità. Così può essere compresa anche l’affermazione di Gv 8:58: “Prima che Abraamo fosse nato, io sono”. “Io non lo conoscevo” (1:31) non indica necessariamente conoscenza fisica di Yeshùa: il battezzatore era parente di Yeshùa (Lc 1:36); indica piuttosto ignoranza della sua dignità messianica, da lui saputa solo nel vedere lo spirito scendere su di lui e rimanervi: “Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare in acqua, mi ha detto: ‘Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello’”. – 1:33.

   Il battezzatore presenta Yeshùa come “l’agnello di Dio “ (1:36). Il simbolo dell’agnello evoca molti particolari biblici:

  1.  L’agnello “senza macchia”, vale a dire senza peccato, che veniva quotidianamente offerto per i peccati: “Il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia” (1Pt 1:19), “Or questo è ciò che offrirai sull’altare: due agnelli di un anno, ogni giorno, sempre” (Es 29:38); si trattava di una offerta continua che doveva essere offerta ogni giorno, un agnello al mattino e uno al pomeriggio: “Due al giorno, di continuo. E offrirai un giovane montone [nota in calce: O, “un agnello”] la mattina, e offrirai l’altro giovane montone fra le due sere” (Es 29:38,39 TNM). L’agnello era anche il sacrificio pasquale, il cui sangue aveva salvato i primogeniti ebrei in Egitto dalla distruzione durante il primo intervento salvifico divino (Es 12:3-28). “La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata”. – 1Cor 5:7.
  2. L’agnello o giovane pecora evocava anche il “servo di Dio” che senza lamenti s’incamminava verso la morte: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca” (Is 53:7). Va ricordato che in aramaico la parola ebraica טלה (talè), “agnello”, è talyà e significa sia “servo” che “agnello”.