Alcuni critici pensano che l’autore di Gv fosse un ellenista, e quindi ben distinto dall’apostolo Giovanni. All’inizio del 20° secolo alcuni studiosi (come A. Deissmann e J. H. Moulton) sostennero che la lingua di Gv era semplicemente il greco parlato, proprio della koinè o lingua comune; secondo loro lo stile giovanneo non era affatto semitico. Occorre quindi esaminare la lingua di quello che oggi compare come quarto Vangelo nelle nostre Bibbie. L’esame potrebbe risultare forse tedioso, ma è un esame indispensabile se si vuole accertare la personalità dell’autore di Gv.

   Studi molto approfonditi hanno dimostrato che non solo Gv, ma anche gli altri tre Vangeli furono di origine ebraica-aramaica e poi tradotti in greco. Esaminiamo dunque le ragioni che dimostrano l’origine aramaica di Gv.

   1. Asindeto. L’asindeto è la mancanza di collegamento. In Gv non si trovano affatto le usuali congiunzioni greche come γάρ (gar, “infatti”), οὖν (un, “dunque”), δή (, “allora”). Queste sono congiunzioni comunissime nel greco parlato o koinè, eppure Gv non le usa. Come mai? Nella lingua aramaica esse sono del tutto mancanti.

   2. Parole aramaiche traslitterate in greco. In Gv si trovano molte parole aramaiche/ebraiche ma scritte in caratteri greci. Esempi (caratteri greci; caratteri aramaici; caratteri latini):

  • Gabbatà (Gv 19:13). ΓαββαθάגבתאGabbathà.
  • Golgota (Gv 19:17). Γολγοθά גלגתאGolgothà.
  • Messia (Gv 1:41). Μεσσίανמשיח Messìan.
  • Siloe (Gv 9:7). Σιλωάμ שלח Siloàm.
  • Tommaso (Gv 11:16). ΘωμάςתומאThomàs.
  • Cefa (Gv 1:42). ΚηφάςכפאKefàs.
  • Rabbì (Gv 1:38). Ῥαββεί – רבי – Rabbèi.
  • Rabbuni (Gv 20:16). ῬαββουνείרבוניRabbunèi.

   3. Paratassi. Vi è in Gv l’uso della paratassi, vale a dire di frasi concatenate con la congiunzione “e”. Come, ad esempio, in Gv 9:6,7 (Did): “Sputò in terra, e fece del loto con lo sputo, e ne impiastrò gli occhi del cieco. E gli disse […]”. Si veda, per un altro esempio, Gv 17:10,11 (Did): “E tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono in essi glorificato. Ed io non sono più nel mondo”.

   4. Espressioni semitiche. In Gv si notano diverse espressioni semitiche.

   Una è “vieni e vedi”, che era una forma abituale presso i rabbini. “Venite, e vedrete” (1:39); “Venite a vedere”. – 4:29.

   Un’altra è “vedere” con il significato di gustare o fare esperienza. “Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio” (3:3); “Chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita”. – 1:36.

   Altra espressione semitica è “rispondere e dire” con il senso di prendere la parola. “Rispondendo, i giudei gli dissero […]” (2:18,TNM); se si leggono i versetti precedenti si nota che Yeshùa non aveva posto proprio nessuna domanda a cui i giudei dovessero rispondere; qui “rispondere” non ha il significato che ha nel nostro uso occidentale, ma fa parte di un’espressione semitica (“rispondere e dire”) che, nel nostro modo di esprimerci, significa “prendere la parola”. “Gesù rispose loro […]” (5:17); anche qui non c’è nessuna domanda precedente cui rispondere come gli occidentali intenderebbero; il verbo “dire” è sottinteso.

   Altra espressione tipica semitica è “entrare e uscire” nel senso di andare e venire liberamente. “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura”. – 10:9.

   Semitico è l’uso del verbo “camminare” con il senso di condursi moralmente. “Chi mi segue non camminerà nelle tenebre”. – 8:12.

   “Mano” nel senso di potere è un altro semitismo. “Il Padre ama il Figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano” (3:35); “Non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano” (10:28); “Essi cercavano nuovamente di arrestarlo; ma egli sfuggì loro dalle mani [nel testo “dalla mano”, al singolare: ἐκ τῆς χειρὸς (ek tes cheiròs)]”. – 10:39.

   “Mettere nel cuore” è un modo di dire semitico che significa ispirare o indurre. “Il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo”. – 13:2.

   “Seme” (letteralmente “sperma”) viene usato nel dire semitico al posto di discendenza. “Il Cristo viene dalla progenie [nel testo greco ἐκ τοῦ σπέρματος (ek tu spèrmatos), “dallo sperma”] di Davide” (7:42, TNM); “Noi siamo progenie di Abraamo [nel testo originale Σπέρμα Ἀβραάμ (sperma Abraàm), “sperma di Abraamo]”. – 8:33, TNM; stessa espressione al v. 37.

   5. Costruzioni semitiche. Costruzioni tipicamente semitiche.

   a) Richiamo del pronome. “Colui che viene dietro di me, ma a cui io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo” (1:27,TNM). Questa traduzione, adattata ad una lingua occidentale (qui l’italiano), traduce il greco che ha letteralmente:

 

ὀπίσω μου ἐρχόμενος οὗ οὐκ εἰμὶ [ἐγὼ] ἄξιος ἵνα λύσω αὐτοῦ τὸν ἱμάντα τοῦ ὑποδήματος

opìso mu erchòmenos u uk eimì [egò] àcsios ìna lΰso autù ton imànta tu üpodèmatos

il dopo di me veniente di cui non sono degno che sciolgo di lui il laccio del sandalo

 

   Questa costruzione sarebbe scorretta in greco (e in italiano!), ma ha senso in ebraico. I semiti, infatti, introducono le proposizioni relative con la parola אשר (ashèr), “che”, fatta seguire poi da un pronome. Nel nostro caso:

 

οὗ [(u); ebraico אשר (ashèr); “che”] . . . αὐτοῦ [(autù); ebraico יו (yu); “di lui”]

   Ciò è confermato dalla ricostruzione del testo ebraico, come si nota in qualsiasi traduzione in ebraico del Vangelo di Giovanni. Si veda, ad esempio, l’edizione stampata in Israele editata da The British and Foreign Bible Society, Israel Agency.

   6. Caso pendente. Si tratta di un semitismo in cui una frase è ripresa in modo rafforzativo da un pronome personale. In Gv ci sono 28 di questi casi. Un esempio: “A quanti l’hanno ricevuto ha dato l’autorità di divenire figli di Dio” (1:12, TNM). Questa è una traduzione in buon italiano, ma il testo greco (che tradisce la costruzione semitica) ha letteralmente: “Quelli che hanno ricevuto lui, ha dato a loro” (ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν ἔδωκεν αὐτοῖς, òsoi de èlabon autòn èdoken autòis).

   7. Terza persona plurale per l’impersonale. “Si raccolgono questi tralci e si lanciano nel fuoco” (15:6, TNM). In italiano è perfetto (a parte il “lanciare” anziché buttare). “Si raccolgono” e “si lanciano”. Chi li raccoglie? Chi li lancia? Chiunque. È il verbo all’impersonale. Ma un semita non dice così. Usa la terza persona plurale: essi, loro. Il greco (che tradisce anche qui la costruzione semitica) ha letteralmente: “Raccolgono quelli e nel fuoco buttano” (συνάγουσιν αὐτὰ καὶ εἰς τὸ πῦρ βάλλουσιν, sünàgusin autà kài èis to pür bàllusin). Questa costruzione è tuttora usata nell’ebraico moderno. Il nostro “si dice” sarebbe strasformato da un israeliano in “dicono” o, meglio, “dicenti” (omrìm).  

   8. L’uso di ἵνα (ìna) come se fosse il ד (d) aramaico, impiegato come pronome relativo indeclinabile, come congiunzione e come segno del genitivo. “Questo è il pane che scende dal cielo, affinché chiunque ne mangi e non muoia” (6:50,TNM). Si è cercato di metterlo in italiano meglio che si poteva, tuttavia quell’“affinché” stride, stona, è estraneo alla frase (e si sente). Il greco ha infatti ἵνα (ìna), che è un “che”. Ma tradurre “questo è il pane che scende dal cielo, che chiunque ne mangi e non muoia” sarebbe, in italiano, ancora peggio. Il fatto è che è un semitismo che ha trovato difficoltà di traduzione in greco (e da qui la nostra difficoltà a tradurre quel greco). Casi simili si riscontrano anche in 14:16 e in 16:2.

   9. Giochi di parole. In Gv ci sono giochi di parole che creano dei veri e propri aforismi (in aramaico), ma che vengono completamente persi nel greco. “Chiunque opera il peccato è schiavo del peccato” (8:34, TNM); in aramaico suona: “Chiunque commette [abèd] peccato è schiavo [abd] del peccato”. “Questa mia gioia è stata perciò resa piena [kelàl]. Egli deve continuare a crescere, ma io devo continuare a diminuire [qelàl]”. – 3:29,30, TNM.

   10. Parallelismo tipico degli ebrei. Infine, in Gv si rinviene abbondantemente il parallelismo semitico che presenta un concetto e poi lo ripete subito dopo in altra forma. Anzi, appare addirittura nel presentare prima un concetto affermativo e poi nel ripresentarlo subito in forma negativa: “Egli confessò e non negò”. – 1:20, TNM.

   Va comunque detto che la lingua di Gv – anche se non è classica ed è ricca di semitismi – è chiara, semplice e vigorosa. Vi appaiono anche frasi brevissime ma vivide: “Yeshùa pianse” (11:35); “Ed era di notte” (13:30); “Ora Barabba era un ladrone [il greco ha λῃστής (lestès), “bandito”]”. – 18:40.

   Dopo tutto questo esame si può concludere con sicurezza che l’autore di Gv era un semita che pensava in aramaico pur scrivendo in greco.

   Tutto questo si accorda bene con il fatto che l’apostolo Giovanni, pur scrivendo il suo Vangelo a Efeso dove si parlava greco, di fatto crebbe in Palestina in un ambiente prettamente ebraico.