Il grande grappolo d’uva. Quando Dio stava per liberare il popolo d’Israele dalla schiavitù egiziana, prospettando loro la terra in cui li avrebbe condotti per donarla loro, disse al popolo che intendeva “farlo salire da quel paese [l’Egitto] in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele”. – Es 3:8.

   In Dt 8:7-10 “la terra”, haàretz, è così descritta:

“Una terra fertile: una terra ricca di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; una terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; una terra di ulivi, di olio e di miele; una terra dove mangerai pane a volontà e dove non ti mancherà nulla; una terra dove le pietre sono ricche di ferro, e dai suoi monti potrai estrarre il rame. Mangerai, dunque, ti sazierai e benedirai il Signore, tuo Dio, perché ti ha dato una terra fertile”. – PdS.

   Alle soglie della Terra Promessa, gli israeliti v’inviarono delle spie per esplorarlo. Questi esploratori furono i primi israeliti che si resero conto della ricchezza naturale di quella terra. “Fecero il loro racconto, e dissero: ‘Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti’”. – Nm 13:27.

   Nella valle di un torrente avevano raccolto un grappolo d’uva così grande da doverlo trasportare con una stanga tenuta da due uomini.

“Quelli dunque salirono a esplorare il paese dal deserto di Sin fino a Reob . . . Giunsero fino alla valle d’Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche delle melagrane e dei fichi. Quel luogo fu chiamato valle d’Escol a causa del grappolo d’uva che i figli d’Israele vi tagliarono”. – Nm 13:21-24.

   Il nome “Escol” – אֶשְׁכֹּול (eshkòl) –, che diede il nome alla valle, indicava l’uva prima della maturazione (Cfr. Gn 40:10, dove appare il nome). L’immagine del grande grappolo d’uva tenuto su una sbarra da due ebrei è tuttora una delle immagini che raffigurano e propagandano Israele.

   Sefela. Il nome ebraico shefelàh (שְּׁפֵלָה) significa “regione bassa”, “bassopiano”. La versione CEI traduce il termine ebraico con “Sefela” (Gs 15:33, CEI). Il termine si riferisce in genere alla bassa regione collinare che si trova fra la catena montuosa nel centro della Palestina e la pianura costiera della Filistea (Dt 1:7; Gs 9:1;10:40;11:2;12:8; Gdc 1:9; 2Cron 28:18; Abd 19; Zc 7:7); apparteneva alla tribù di Giuda. – Gs 15:33-44.

   La shefelàh è una terra fertile a clima temperato. Ai tempi biblici questa regione, con buoni pascoli per greggi e mandrie, era conosciuta per i molti suoi alberi di sicomoro e per i suoi oliveti. – 1Re 10:27; 1Cron 27:28; 2Cron 1:15;9:27;26:10.

   Siccome a est della Sefela si trovano i monti della Giudea e a ovest la pianura costiera che era occupata dalla Filistea, la Sefela era uno sbarramento naturale che separava il popolo d’Israele dai suoi antichi nemici: ogni esercito invasore che provenisse da ovest avrebbe dovuto passare per la Sefela prima di attaccare la capitale d’Israele, Gerusalemme.

“Azael, re di Siria, salì a combattere contro Gat [città filistea, quindi al confine con Sefela – 1Sam 6:17,18)], e la conquistò; poi si dispose a salire contro Gerusalemme. Allora Ioas, re di Giuda, prese tutte le cose sacre che i suoi padri Giosafat, Ioram e Acazia, re di Giuda, avevano consacrate, quelle che aveva consacrate egli stesso, e tutto l’oro che si trovava nei tesori della casa del Signore e del palazzo del re, e mandò ogni cosa ad Azael, re di Siria, il quale si ritirò da Gerusalemme”. – 2Re 12:17,18.

   Il re di Giuda, Ioas, corrompendolo, evitò che Azael attaccasse Gerusalemme. Sefela era davvero importante per la sicurezza della Città Santa.

   Le colline di Giuda. A oriente della Sefela, la zona montuosa del territorio di Giuda era ottima per produrre grano, vino e olio di olive. Questa regione, data la sua montuosità, costituiva un rifugio naturale, reso ancor più sicuro da castelli e torri. Il re giudeo Iotam “costruì anche delle città nella regione montuosa di Giuda, e dei castelli e delle torri nelle foreste”. – 2Cron 27:4.

   In questa regione collinare spiccava la splendida Gerusalemme, protetta su tre lati da valli profonde; il quarto lato, a nord, era protetto da una cinta di mura triplice (cfr. Giuseppe Flavio). Le provviste d’acqua erano indispensabili durante un eventuale assedio, e a ciò provvedeva la Piscina di Siloam.

“Sennacherib, re d’Assiria, venne in Giuda, e cinse d’assedio le città fortificate, con l’intenzione d’impadronirsene. Quando Ezechia vide che Sennacherib era giunto e si proponeva di attaccare Gerusalemme, deliberò con i suoi capi e con i suoi uomini valorosi di turare le sorgenti d’acqua che erano fuori della città; ed essi gli prestarono aiuto. Si radunò dunque un gran numero di gente e turarono tutte le sorgenti e il torrente che scorreva attraverso il paese. ‘Perché’, dicevano essi, ‘i re d’Assiria, venendo, dovrebbero trovare abbondanza d’acqua?’ Ezechia prese coraggio; e ricostruì tutte le mura dov’erano diroccate, rialzò le torri, costruì l’altro muro di fuori”. – 2Cron 32:1-5.

   Con previdenza, per fronteggiare il possibile assedio degli assiri, il re giudeo Ezechia fece costruire delle mura esterne per proteggere la Piscina di Siloam (Is 22:11), conglobandola alla città; nel contempo fece ostruire le sorgenti esterne per privare d’acqua gli assedianti assiri.

   Ezechia seppe assicurare l’approvvigionamento idrico incanalando l’acqua fin dentro Gerusalemme tramite una meraviglia ingegneristica: una galleria scavata nella roccia (alta mediamente 1,8 m e lunga 553 m) che dalla sorgente di Ghion portava acqua alla Piscina di Siloam. Le “azioni di Ezechia, tutte le sue prodezze, e la costruzione del serbatoio e dell’acquedotto per portare l’acqua in città, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda” (2Re 20:20). “Ezechia fu colui che turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide”. – 2Cron 32:30.

   Ancora oggi è possibile ai turisti che visitano Gerusalemme percorrere, guadandolo, quello che oggigiorno è detto Tunnel di Ezechia. Un’iscrizione ritrovata nel tunnel (detta Iscrizione di Siloam) mostra che la galleria fu scavata da due gruppi diversi di operai: lavorando separatamente, dovevano incontrandosi a mezza via; la conformazione dello scavo mostra che vennero fatti diversi tentativi prima di riuscire a trovare la giusta direzione in cui scavare.

   I deserti. La parola “deserto” in ebraico è יְשִׁימֹון (yshymòn). A occidente delle colline giudaiche si trova il deserto di Giuda (1Sam 23:19), una regione arida con dirupi frastagliati vicino al Mar Morto. È in questo deserto che veniva lasciato andare il capro per Azazel durante il Giorno di Espiazione, una volta all’anno.

“Aaronne poserà tutte e due le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di lui tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo che ha questo incarico, lo manderà via nel deserto. Quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in una regione solitaria; esso sarà lasciato andare nel deserto” – Lv 16:21, 22.

  Il Sl 63 fu scritto dal re Davide nel deserto di Giuda, come recita la soprascritta:  “Salmo di Davide, quand’era nel deserto di Giuda”. – Sl 63 :1.

   Nel deserto di Giuda, Yeshùa, subito dopo il suo battesimo, stette quaranta giorni e vi fu tentano da satana. – Mt 4:1-11.

   Scendendo verso sud-ovest, a circa 160 km, si trova il deserto di Paran (Nm 10:12), in cui gli ebrei fecero diverse tappe dopo l’Esodo, andando verso la Terra Promessa.

“Queste sono le tappe fatte dai figli d’Israele che uscirono dal paese d’Egitto, divisi in schiere, sotto la guida di Mosè e di Aaronne . . . si accamparono a Etam, che è all’estremità del deserto . . . attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto  . . . si accamparono nel deserto di Sin . . . si accamparono nel deserto del Sinai . . . si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Cades . . . ”. – Nm 33:1-49, passim.

   Solo la cura che Dio aveva per Israele permise agli ebrei di sopravvivere in quelle condizioni desertiche per circa 38 anni (Dt 2:14). Israele non avrebbe mai dovuto dimenticarsene:

“Non avvenga, dopo che avrai mangiato a sazietà e avrai costruito e abitato delle belle case, dopo che avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento, il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, che il tuo cuore si insuperbisca e tu dimentichi il Signore, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù; che ti ha condotto attraverso questo grande e terribile deserto, pieno di serpenti velenosi e di scorpioni, terra arida, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene. Guàrdati dunque dal dire in cuor tuo: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno procurato queste ricchezze. Ricòrdati del Signore tuo Dio, poiché egli ti dà la forza per procurarti ricchezze, per confermare, come fa oggi, il patto che giurò ai tuoi padri”. – Dt 8:12-17.

   Se gli ebrei furono salvati da morte certa nel deserto, lo dovettero anche a Yeshùa, il consacrato di Dio, che da loro doveva nascere. “Bevevano al masso di roccia spirituale che li seguiva, e quel masso di roccia significava il Cristo” (1Cor 10:4), TNM); quel “significava ” è nel testo greco  ἦν (en), “era”. Per Paolo e per gli ebrei del tempo “era”, come se fosse preesistito; per noi (occidentali), “significava”. Se volessimo tradurre in termini moderni e occidentali, diremmo che gli israeliti nel deserto furono salvati dalla morte per sete in vista di Yeshùa. Noi diremmo: Dio aveva in mente Yeshùa, quello che avvenne fu in vista di Yeshùa. Gli ebrei, molto concreti e non amanti delle astrazioni, per dire quelle stesse cose utilizzavano l’idea della preesistenza, per cui Yeshùa poteva agire e operare anche prima della sua comparsa.

   Il Carmelo. La parola ebraica karmèl  (כַּרְמֶל) significa “frutteto” (Is 16:10;32:15; Ger 2:7). Il nome è usato nella Bibbia anche per denominare il Carmelo, un promontorio a forma di cuneo che si trova nella catena montuosa centrale di Israele. L’intera catena, lunga quasi 50 km, va dal Mare Mediterraneo fino a una pianura oltre la quale si trovano i colli della Samaria. In verità, non si sa se il nome “Carmelo”, ai tempi biblici, riguardasse l’intera catena o solo il promontorio. Oggigiorno il Monte Carmelo, nell’Alta Galilea, è uno dei quartieri della città di Haifa, in cui si trova anche l’università. Haifa è una città molto operosa. In Israele c’è un detto che recita: A Gerusalemme si prega, a Tel Aviv ci si diverte e a Haifa si lavora. Anticamente, Haifa si trovava ai piedi del Carmelo. Sebbene mai nominata nella Bibbia, la città di Haifa è citata nel Talmud come una piccola città contadina. In una zona ormai inglobata nella città, vi è una grotta in cui, stando a una tradizione, dimorò il profeta Elia.

   Dalla Bibbia sappiamo che il Carmelo era una fertile regione lunga una cinquantina di chilometri, terra rigogliosa di vigneti, oliveti e alberi da frutto. Ancora oggi, sui versanti del Carmelo si trovano frutteti, oliveti e viti; in primavera queste pendici si ammantano di fiori.

   Il Carmelo è così bello che Is 35:2 parla della “magnificenza del Carmelo”, prendendola ad esempio per predire la futura gloria che Israele avrà. L’innamorato del Cantico, la più bella poesia di tutti i tempi, dice alla sua bella: “La tua testa si erge fiera come il monte Carmelo”. – Cant 7:6, PdS. 

   Fu proprio al Carmelo che il profeta Elia si contrappose ai profeti pagani del dio Baal.

“Appena Acab vide Elia, gli disse: ‘Sei tu colui che mette scompiglio in Israele?’ Elia rispose: ‘Non sono io che metto scompiglio in Israele, ma tu e la casa di tuo padre, perché avete abbandonato i comandamenti del Signore, e tu sei andato dietro ai Baali. Adesso, fa’ radunare tutto Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme ai quattrocentocinquanta profeti di Baal e ai quattrocento profeti di Astarte che mangiano alla mensa di Izebel’. Acab mandò a chiamare tutti i figli d’Israele, e radunò quei profeti sul monte Carmelo. Allora Elia si avvicinò a tutto il popolo, e disse: ‘Fino a quando zoppicherete dai due lati? Se il Signore è Dio, seguitelo; se invece lo è Baal, seguite lui’. Il popolo non gli rispose nulla. Allora Elia disse al popolo: ‘Sono rimasto io solo dei profeti del Signore, mentre i profeti di Baal sono in quattrocentocinquanta. Dateci dunque due tori; quelli ne scelgano uno per loro, lo facciano a pezzi e lo mettano sulla legna, senz’appiccarvi il fuoco; io pure preparerò l’altro toro, lo metterò sulla legna, e non vi appiccherò il fuoco. Quindi invocate voi il nome del vostro dio, e io invocherò il nome del Signore; il dio che risponderà mediante il fuoco, lui è Dio’. Tutto il popolo rispose dicendo: ‘Ben detto!’ Allora Elia disse ai profeti di Baal: ‘Sceglietevi uno dei tori; preparatelo per primi, poiché siete i più numerosi; e invocate il nome del vostro dio, ma non appiccate il fuoco’. Quelli presero il loro toro, e lo prepararono; poi invocarono il nome di Baal dalla mattina fino a mezzogiorno, dicendo: ‘Baal, rispondici!’ Ma non si udì né voce né risposta; e saltavano intorno all’altare che avevano fatto. A mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: ‘Gridate forte; poich’egli è dio, ma sta meditando, oppure è indaffarato, o è in viaggio; può anche darsi che si è addormentato, e si risveglierà’. E quelli si misero a gridare più forte, e a farsi delle incisioni addosso, secondo il loro costume, con spade e lance, finché grondavano di sangue. E passato che fu il mezzogiorno, quelli profetizzarono fino all’ora in cui si offriva l’offerta. Ma non si udì voce o risposta, e nessuno diede loro retta. Allora Elia disse a tutto il popolo: ‘Avvicinatevi a me!’ Tutto il popolo si avvicinò a lui . . . costruì un altare al nome del Signore, e fece intorno all’altare un fosso, della capacità di due misure di grano. Poi vi sistemò la legna, fece a pezzi il toro e lo pose sopra la legna. E disse: ‘Riempite quattro vasi d’acqua, e versatela sull’olocausto e sulla legna’. Poi disse: ‘Fatelo una seconda volta’. E quelli lo fecero una seconda volta. E disse ancora: ‘Fatelo per la terza volta’. E quelli lo fecero per la terza volta. L’acqua correva attorno all’altare, ed egli riempì d’acqua anche il fosso. All’ora in cui si offriva l’offerta, il profeta Elia si avvicinò e disse: ‘Signore, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’ che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo, e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. Rispondimi, Signore, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o Signore, sei Dio, e che tu sei colui che converte il loro cuore!’ Allora cadde il fuoco del Signore, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: ‘Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!’ Elia disse loro: ‘Prendete i profeti di Baal; neppure uno ne scampi!’ Quelli li presero, ed Elia li fece scendere al torrente Chison, e laggiù li sgozzò”. – 1Re 18:17-40.

   Al Carmelo operò anche Eliseo. – 2Re 4:8,20,25-37.