Giovanni, anziché parlare di prodigi parla di “segni” (σημεῖα, semèia). Questi semèia piacciono alla folla, anche se da essi non comprende come doveva essere davvero il messia: “Una gran folla lo seguiva, perché vedeva i miracoli che egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli” (6:2,3); “La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: ‘Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo’. Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo” (6:14,15); “Vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati” (6:26); “La folla gli andò incontro, perché avevano udito che egli aveva fatto quel segno miracoloso” (12:18); “Sebbene avesse fatto tanti segni miracolosi in loro presenza, non credevano in lui” (12:37). La folla vede nei miracoli di Yeshùa un fenomeno vantaggioso per loro, sperando di trarne dei benefici, senza raggiungere la vera fede. Coloro che hanno fede, però, credono e trovano nei miracoli la gloria di Dio: “Molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva” (2:23); “Noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui” (3:2). Giovanni fa risaltare dai miracoli di Yeshùa il preannuncio della resurrezione: “Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (11:4), della piena salute senza malattie: “I miracoli che egli faceva sugli infermi” (6:2) e della futura trasformazione della natura: “Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi [acqua trasformata in vino] in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria”. –  2:11.

   Anche in Apocalisse (sempre scritto da Giovanni) riappare la medesima preferenza per il vocabolo “segno” (σημεῖον, semèion). Questi semèia sono compiuti dall’angelo inviato da Yeshùa a Giovanni per mostrargli la rivelazione di Dio che è trasmessa, appunto, in “segni” (Ap 1:1, TNM). Giovanni riferisce: “Vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso, sette angeli con sette piaghe” (15:1, TNM). Anche la bestia “compie grandi segni” (13:13, TNM). Anche “il falso profeta” compie “segni” (19:20, TNM). Tra l’altro, questa caratteristica linguistica conferma l’origine dei due scritti (Gv e Ap) dal medesimo autore.

   Dei 29 (o 30) miracoli riportati dai sinottici Gv ne riporta solo due. Quello della moltiplicazione dei pani e il cammino di Yeshùa sull’acqua. A questi due (comuni ai sinottici) Giovanni ne aggiunge altri cinque, in modo da raggiungere il numero di sette. Essi sono: il cambiamento dell’acqua in vino, la guarigione del figlio dell’ufficiale regale, la guarigione del paralitico, la guarigione del cieco nato e la resurrezione di Lazzaro. Essi sono poi tutti spiegati come segni di cosa sia Yeshùa per noi (luce, vita, e così via) dai discorsi che li seguono. Si noti questo numero sette, che si accosta ai vari settenari dell’Apocalisse.

   I miracoli narrati da Giovanni conducono alla fede, come mostra una loro disamina:

1)       Cana. Con il cambiamento dell’acqua in vino (testimoniato dai servi, quindi non fu un trucco) Yeshùa “manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui”. – Gv 2:11.

2)       Figlio del funzionario di Cafarnao: “Credette lui con tutta la sua casa”. – 4:53.

3)       Paralitico di Betesda. “Molti della folla credettero in lui, e dicevano: ‘Quando il Cristo sarà venuto, farà più segni miracolosi di quanti ne abbia fatto questi?’” (7:31). Il capitolo sette va spostato al posto del 6 (vedere la questione letteraria nello studio, in questa stessa sezione, La durata della vita pubblica di Yeshùa – Tre anni?), per cui il plurale “segni” non si riferisce solo alla precedente moltiplicazione dei pani (che sarebbe un segno, al singolare), ma anche alla guarigione del paralitico.

4)       Moltiplicazione dei pani. La conseguenza di questo miracolo (“segno”) è espressa solo da Giovanni: “Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo” (6:14). Gli apostoli, per mezzo di Pietro, affermano: “Noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. – 6:69.

5)       Cieco nato. Il miracolato dice: “Signore, io credo” (9:38). Altri, di fronte ai capi sacerdoti e ai farisei che prendono Yeshùa per un indemoniato, si domandano: “Queste non sono parole di un indemoniato. Può un demonio aprire gli occhi ai ciechi?”. – 10:21.

6)       Resurrezione di Lazzaro. “Molti Giudei, che erano venuti da Maria e avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui”. – 11:45.

7)       Resurrezione di Yeshùa. È il semèion per eccellenza: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” (2:19). “Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta” (2:22). L’apostolo innominato “vide, e credette”. – 20:8.

   La genuinità del Vangelo di Gv e anche l’onesta di Giovanni sono dimostrate da un piccolo particolare che allo studioso non sfugge. Mentre tutti i miracoli (i semèia), come abbiamo visto, conducono alla fede, uno solo sfugge da questa catalogazione. Si tratta del miracolo compiuto da Yeshùa camminando sull’acqua. Forse non viene riportato tra i semèia perché non era pubblico, ma compiuto solo alla presenza degli apostoli. Ma forse anche perché non era ritenuto dimostrazione di fede. Abbiamo già esaminato come Mr e Mt ne danno due versioni diverse: Marco, cruda; Matteo, addolcita. Luca tace il fatto. E Giovanni? Ne parla, ma in modo neutro. Ecco il confronto:

 

Mr 6:51,52

Mt 14:32,33

Gv 6:21

“Salì sulla barca con loro e il vento si calmò; ed essi più che mai rimasero sgomenti, perché non avevano capito il fatto dei pani, anzi il loro cuore era indurito

“Quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: ‘Veramente tu sei Figlio di Dio!’”

“Essi dunque lo vollero prendere nella barca, e subito la barca toccò terra là dove erano diretti”

 

   I miracoli precedenti sono detti semèia (“segni”) perché servono da testimonianza. Secondo un principio giuridico l’auto-testimonianza è priva di valore: “Se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza non è vera” (5:31). Yeshùa, però, è testimoniato dal battezzatore: “Io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio” (1:34). Tuttavia, questa testimonianza umana è insufficiente; occorre quella di Dio: “Vi è un altro che rende testimonianza di me; e so che la testimonianza che egli rende di me è vera. Voi avete mandato a interrogare Giovanni, ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io però la testimonianza non la ricevo dall’uomo, ma dico questo affinché voi siate salvati” (5:32-34). Yeshùa ha la massima testimonianza: “Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me”. – 5:37.

   Yeshùa sfida i suoi uditori: “Se non faccio le opere del Padre mio, non mi credete; ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel Padre” (10:37,38). “Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse” (14:11). È proprio per questo che i giudei increduli sono colpevoli: “Se non avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio”. – 15:24.

   I fatti riferiti da Gv servono quindi a suscitare la fede:

“Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi,

che non sono scritti in questo libro;

ma questi sono stati scritti,

affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio,

 e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome”. – 20:30,31.