Paolo chiede che la donna credente taccia completamente nelle riunioni di culto?

   Già molto anticamente si ebbe difficoltà a dare un senso al comando di 1Cor 14 di ridurre al silenzio le donne. Anche se gli antichi non erano biblisti con le capacità di oggi, erano pur sempre persone che ragionavano. Trovando un testo che imponeva alle donne il silenzio nel culto e trovandone un altro (presso lo stesso autore!) che sosteneva la parità uomo-donna nel profetizzare, bisognava per forza di cose accoglierne uno come basilare e dare per l’altro qualche spiegazione ragionevole che lo armonizzasse con il primo e che impedisse di ritenere Paolo contraddittorio.

   Il filosofo e teologo Origène (morto nel 254 circa) sentì il bisogno di accordare il decreto del silenzio di 1Cor 14:33b-40 con il diritto che le donne avevano di profetizzare e che Paolo riconobbe a tutti, uomini e donne, proprio nel nostro passo in questione, in 1Cor 14:31: “Tutti potete profetare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati”. Nel commentare quest’ultimo passo Origène citava donne che nella Bibbia ebraica erano profetesse, come Debora e Miryàm sorella di Mosè; ma citava anche le profetesse delle Scritture Greche, come Anna e le quattro figlie di Filippo. Queste donne avevano preso la parola mosse dallo spirito profetico. Tuttavia, secondo Origène quelle profetesse potevano parlare solo ai singoli, anzi solo alle singole, ovvero solo ad altre donne, ma mai agli uomini. Origène si attacca perfino a un particolare di At 21:8,9 per sostenere la sua teoria: “Entrati in casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei sette, restammo da lui. Egli aveva quattro figlie non sposate, le quali profetizzavano”; da ciò deduce che le quattro ragazze profetizzassero solo in casa. L’antico teologo greco si richiama anche a Tito 2 per sostenere che le donne potevano insegnare solo ad altre donne: “Le donne anziane … sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani” (vv. 3,4, C.E.I.). Queste speculazioni forzate fatte da Origène ci rammentato certe argomentazioni religiose proposte da alcune sette che forzano le Scritture alle loro vedute: possono convincere i sempliciotti che si accontentano perché sono propensi a farsi convincere, ma appena ci si ferma un momento a riflettere si sente dentro di sé che la cosa non è convincente. Senza perderci a snocciolare tutti i passi biblici che smentiscono la spiegazione maschilista di Origène, basti qui citare 1Cor 11:2-16 in cui lo stesso Paolo menziona “ogni donna che prega o profetizza” (v. 5). Come può una donna profetizzare e nel contempo tacere?

   L’antico esegeta Attone, vescovo di Vercelli dal 925 al 960, scriveva: “Sorge la questione del perché Paolo imponga alle donne di osservare il silenzio nella Chiesa quando, riguardo allo stesso tema, dice in un altro passo [1Cor 11:2-16] che devono osservare il loro dovere [di pregare e profetizzare]” (Attone di Vercelli, Expositio epistolarum S. Pauli, PL 134,395A). Attone risolse la questione dicendo che le donne possono sì profetizzare, ma al di fuori delle assemblee.

   Sebbene queste interpretazioni siano datate di millenni, hanno ancora dei sostenitori oggigiorno. Costoro danno la seguente spiegazione: Le profetesse di Corinto pretendevano di prendere la parola anche in pubblico, nelle riunioni della comunità, e Paolo le blocca. Si tratterebbe quindi di un divieto non assoluto ma relativo.

   Non è affatto difficile respingere questa poco convincente spiegazione. Infatti, da 1Cor 11:5, in cui Paolo menziona “ogni donna che prega o profetizza”, non è possibile ricavare una discriminazione che differenzi uomini e donne; si noti, infatti che poco prima (v. 4) Paolo menziona “ogni uomo che prega o profetizza”, usando la stessa identica formula che usa subito dopo per la donna. Per accogliere la dubbia spiegazione data occorrerebbe dire a questo punto che Paolo si riferiva anche per gli uomini al loro profetare a casa e in privato, il che non ha senso ed è contrario al contesto.

   Oltre a ciò va detto che è da insensati pensare che Paolo si riferisca al profetare delle donne solo in ambito domestico. Che senso mai avrebbe profetare in una casa a solo beneficio di se stesse o al massimo dei parenti stretti presenti? La profezia esiste solo nella comunità e a favore della comunità. Lo afferma lo stesso Paolo quando tratta della varietà dei doni (tra cui la profezia) al cap. 12 di 1Cor,  parlando di “bene comune” (v. 7), ma lo afferma anche al cap. 4, parlando di “chi profetizza … perché la chiesa ne riceva edificazione” (v. 5). Appare perciò assurdo pensare che Paolo impedisca alla donna di profetizzare in pubblico lasciandole la consolazione di farlo a casa sua in privato.

   Di fronte ai due testi discordanti – uno che sostiene la profezia femminile (1Cor 11) e l’altro che vieta alle donne di parlare nelle adunanze (1Cor 11) – molti interpreti moderni hanno ormai scelto di accogliere il divieto e di ridimensionare in qualche modo il primo testo, togliendogli di fatto valore. Anche qui non mancano le stravaganze interpretative. Alcuni dicono che Paolo vietava anche la profezia femminile e che quando ne parla in 1Cor è per denunciarne l’abuso da parte delle donne. Altri parlano di tattica paolina e dicono che Paolo per condannare l’enormità della pretesa delle donne corinzie di profetizzare, inizia con considerazioni caute per poi dare l’affondo. Altri ancora sostengono che la profezia femminile è una concessione che Paolo fa a malincuore ma che poi esprime il suo vero pensiero vietando alle donne di parlare.

   Anche di fronte a queste interpretazioni si deve dire che non convincono. Come sempre, però, la cosa importante rimane il testo biblico. Non dobbiamo affatto scegliere l’interpretazione che ci pare migliore tra le varie spiegazioni fornite dai commentatori nei millenni o oggigiorno.

   Tornando al testo biblico, va notato prima di tutto che le precedenti spiegazioni cozzano contro il testo biblico. Sono infatti in totale conflitto con la grammatica testuale. Vediamo:

  • πᾶς ἀνὴρ προσευχόμενος ἢ προφητεύων

pàs anèr proseuchòmenos è profetèuon

  • ogni uomo pregante o profetizzante

1Cor 11:4.

  • πᾶσα δὲ γυνὴ προσευχομένη ἢ προφητεύουσα

pàsa dè ghynè proseuchomène è profetèuusa

  • ogni donna invece pregante o profetizzante

1Cor 11:5.

   Paolo utilizza le stesse identiche parole e gli stessi identici verbi sia per l’uomo sia per la donna. L’opposizione δὲ (), “invece”, si riferisce unicamente alla diversità di capigliatura che deve esserci tra uomo e donna (si veda lo studio Il velo svelato, in questa stessa categoria). Per ciò che riguarda il pregare e il profetizzare Paolo usa la stessa identica espressione per l’uomo e per la donna, mettendo ovviamente al femminile i participi nel secondo caso.

   Chi valuta onestamente il testo non troverà in esso nessun sintomo di malavoglia da parte di Paolo nel menzionare “ogni donna che prega o profetizza”. Al contrario, vi si nota tutta la naturalezza con cui ne parla, dandola come una cosa del tutto scontata: “Ogni donna che prega o profetizza …”. In più va considerato che Paolo non avrebbe perso tutto quel tempo ad argomentare per quali motivi la donna che prega o profetizza deve avere i capelli lunghi, se lei non potesse farlo. Piuttosto, Paolo discute sul come (acconciatura dei capelli) ella debba pregare o profetizzare, ma non mette neppure in discussione il cosa (il suo pregare o profetizzare). Che la donna possa pregare e profetizzare appare del tutto chiaro, cristallino.

   Altri esegeti ricorrono alle spiegazioni psicoanalitiche. In Paolo, dicono costoro, ci sono due tendenze. Da una parte, lui non può evitare di attenersi all’atteggiamento favorevole che Yeshùa aveva verso le donne; d’altra parte, però, emerge – sempre stando a costoro – il vero Paolo misogino. Questa spiegazione sposta però tutta la questione su Paolo come persona, esulando dal testo di 1Cor 14:33b-35. Questo tema merita di certo tutta l’attenzione, ma non risolve la contraddizione che qui stiamo esaminando.

   Esaminate tutte le spiegazioni possibili fornite dai vari esegeti, antichi e moderni, dobbiamo prendere atto che l’interpretazione tradizionale non è sostenibile perché non riesce a dar conto di 1Cor 12:5,6: “Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti”. Oltre a ciò, la grammatica greca di 1Cor 11:4,5 obbliga a riconoscere la donna che profetizza nello stesso identico modo in cui si riconoscere l’uomo che profetizza. Se poi si vuole insistere a dire il contrario, non si può che arrivare alla conclusione che ciò che viene fatto valere per la donna deve valere per l’uomo, come la stessa grammatica impone. Se la donna deve tacere, deve zittirsi anche l’uomo.

   Da seri studiosi dobbiamo dire che non è assolutamente possibile che Paolo si contraddica e che addirittura lo faccia nella stessa lettera e perfino trattando lo stesso tema delle riunioni di congregazione. Se ci fosse contraddizione, la persona stessa di Paolo sarebbe delegittimata, lo sarebbe ancora di più l’apostolo, ancora di più il suo insegnamento ispirato e perfino l’intera Bibbia.

Paolo sta forse chiedendo alla donna un silenzio parziale?

   Nel tentativo di risolvere la contraddizione tra la donna che profetizza (1Cor 11:5) e la donna che deve tacere (1Cor 14:33b-35) alcuni studiosi hanno voluto fare distinzione tra suoi due tipi di parlare. Profetizzare – dicono costoro – le è concesso, parlare per altro motivo no. In questa spiegazione altamente misogina la donna potrebbe parlare solamente quando sospinta dallo spirito santo, ma non potrebbe aprire bocca per parlare di suo dando spiegazioni bibliche o fornendo riflessioni spirituali. Non si capisce però, in questa strana interpretazione intensamente misogina, perché mai la santa forza attiva di Dio dovrebbe impiegare un essere tanto indegno di esprime a parole sue cose spirituali. Non sarebbe più efficace non concedere affatto il dono di profezia alle donne? Il buon senso, ma anche il buon gusto, ci fa respingere decisamente questa incredibile interpretazione.

   Sulla stessa linea, ma più velatamente, altri intendono che alla donna sarebbe precluso di insegnare alla comunità. Su questa linea sono, ad esempio, i Testimoni di Geova, il cui corpo dirigente afferma: “Una sorella non pregherebbe in presenza di un fratello dedicato se non in casi eccezionali, ad esempio se il fratello non è fisicamente in grado di parlare” (La Torre di Guardia, 15 luglio 2002, pag. 27); “Alle donne non è permesso ricoprire un ruolo ufficiale come insegnanti nella congregazione ed esercitare autorità spirituale sugli altri componenti della congregazione” (Svegliatevi!, 8 luglio 1987, pag. 23); “Nelle congregazioni dei cristiani testimoni di Geova le donne non insegnano alla congregazione nelle adunanze pubbliche. Non esercitano autorità sugli uomini. Se parlano, parlano sotto la guida di uomini nominati per sorvegliare l’adunanza. Pertanto il loro parlare non contraddice mai l’autorità che gli uomini esercitano nella congregazione”. – La Torre di Guardia, 15 ottobre 1973, pag. 639.

   Quest’ultima spiegazione, che ammette il parlare delle donne ma non per insegnare alla comunità, contrasta con alcune affermazioni paoline in 1Cor 12. Qui, parlando dei “doni spirituali” (v. 1), dopo aver detto che Dio “opera tutte le cose in tutti” (v. 6), dice che “a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito” (v. 8). “Sapienza” e “conoscenza” sono basilari per l’insegnamento. In At 13:1 i profeti sono addirittura messi prima degli insegnanti, e così pure il 1Cor 12:28; in 1Cor 14:26 l’insegnamento viene prima della rivelazione. Non è quindi così sicuro che si possa escludere l’insegnamento dai doni dello spirito. Ammettere il dono della profezia nelle donne – cosa che di fatto la Bibbia fa – escludendo l’insegnamento, sarebbe come ammettere un dono monco. E poi, perché mai?

   Altri si basano sul suggerimento/comando di 1Cor 14:35 per formulare una nuova ipotesi. Qui si comanda: “Se, dunque, vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i propri mariti, poiché è vergognoso per una donna parlare nella congregazione” (TNM). La nuova ipotesi è: Paolo non proibisce alle donne di parlare in pubblico, se ispirate, ma non vuole che continuino a fare domande mentre parlano gli altri. Su questa linea, altri commentatori si spingono a dire che Paolo sta solo dicendo che le donne non devono disturbare le adunanze chiacchierando. Altri si spingono più oltre ipotizzando che lì a Corinto le donne non erano molto mature e colte, per cui non essendo abituate alle adunanze ordinate, parlavano ad alta voce disturbando, ragione per cui Paolo addita loro i costumi ordinati delle altre chiese. Non si capisce però, in queste ipotesi, come il santo spirito di Dio possa utilizzare come profetesse delle donne tanto immature e indisciplinate. Ci sarebbe poi molto da dire sullo stereotipo della donna inutilmente chiacchierona; un’accurata indagine sociologica mostrerebbe infatti quanto sono chiacchieroni gli uomini (ne sanno qualcosa le credenti che devono aspettare a lungo i loro mariti con incarichi ministeriali che, terminate le adunanze, lasciano le mogli in attesa mentre loro se la contano su, tra uomini, e a lungo).

   Le stravaganze interpretative non fanno che dimostrare, con i loro tentativi, che non è facile risolvere la tensione tra il riconoscimento della donna che profetizza e il silenzio che le è imposto. Nell’ambito delle diverse stravaganze c’è anche quella che invece di fare differenza tra  i tipi di parlare delle donne, cerca di differenziare le stesse donne. E così alcuni interpreti vedono nelle donne che profetizzano quelle autorizzate come predicatrici dalla comunità, mentre quelle che devono tacere sarebbero le semplici partecipanti al culto. Ancora più bizzarra appare la spiegazione di alcuni secondo cui le donne che possono profetizzare sarebbero quelle nubili, mentre le sposate sarebbero quelle che devono zittirsi; questa fantasiosa idea la prendono da 1Cor 14:35 (“Interroghino i loro mariti a casa”) e cercano di dimostrarla con 1Cor 7:34: “La donna senza marito o vergine si dà pensiero delle cose del Signore, per essere consacrata a lui nel corpo e nello spirito; mentre la sposata si dà pensiero delle cose del mondo, come potrebbe piacere al marito”. In tal modo non solo fraintendono i passi che cercano di spiegare ma stravolgono anche il senso di quelli che vorrebbero portare a trova della loro bislacca interpretazione.

   In ogni caso la logica impone di respingere anche queste spiegazioni, perché se la “donna che prega o profetizza” (1Cor 11:5) fosse solo quella autorizzata oppure vergine, allora anche l’“uomo che prega o profetizza” (1Cor 11:4) dovrebbe pure essere un predicatore autorizzato o un celibe. In questo ultimo caso sarebbero esclusi dal carisma profetico tutti gli uomini sposati, tra cui l’apostolo Pietro. In più, la valutazione migliore che Paolo fa della nubile rispetto alla coniugata riguarda la possibilità che lei ha di dedicarsi più liberamente al Signore, e non certo l’idea non biblica che la verginità sia la via della santità femminile. Anzi, lo stesso Paolo afferma in 1Cor 7:14 che “il marito non credente è santificato nella moglie” credente e in 1Cor 7:16 arriva a dire che la moglie credente più addirittura salvare il marito non credente. È un assurdo pensare che Paolo volesse impedire a una donna matura e sposata di pregare e profetizzare in pubblico, mentre lo avrebbe consentito solo a una nubile, magari immatura. È poi un dato di fatto che nella Bibbia troviamo coppie sposate che svolgevano compiti importanti. Una di queste coppie era amica e collaboratrice proprio di Paolo: Priscilla e Aquila, che vengono sempre citati in Atti anteponendo il nome di lei a quello del marito, come fa Paolo stesso: “Saluta Prisca [= Priscilla] e Aquila”. – 2Tm 4:19.

Paolo sta forse chiedendo alle donne di stare in silenzio per mantenere l’ordine nelle riunioni?

   C’è un’altra ipotesi da vagliare. Alcuni tentano di spiegare il contrasto ricorrendo all’esigenza di adunanze ordinate, facendo notare che in 1Cor 14:26-33 Paolo lamenta la confusione delle adunanze di Corinto. Paolo, insomma, per mantenere l’ordire, vieterebbe alle donne di esprimersi. Ma allora, obiettiamo, perché non far tacere gli uomini? Ci pare del tutto impensabile che Paolo anteponga l’ordine a spese delle donne. Ci pare del tutto inconcepibile che per amore dell’ordine Paolo pretenda dalle donne il silenzio. Oltretutto, se così fosse, perché riconosce apertamente in 1Cor 11:5 il diritto femminile di pregare e profetizzare in pubblico durante le adunanze?

   Tirando le somme, occorre dire che certe ipotesi sollevano molti più problemi di quanti cerchino di risolverne.