La spiritualità ebraica poggia sulla fede: Dio può parlare ed effettivamente parla all’uomo. In quasi ogni pagina delle Scritture Ebraiche si legge: “Dio dice”. La profezia ebbe il suo termine con l’esilio (587-536 a. E. V.). Esdra, tornando dalla Babilonia a Gerusalemme, portò con sé il “il libro della legge di Mosè che il Signore aveva data a Israele” (Nee 8:1,2), ma non si dice più: ‘La parola del Signore fu rivolta a Esdra’. Aggeo e Zaccaria ricevettero le parole del Signore, ma v’è differenza tra loro e i profeti di uno o due secoli prima (più visioni che parole). Giuda Maccabeo (verso il 165 a. E. V.), non sapendo che fare delle pietre dell’altare profanato da Antioco, le fece riporre da parte, in attesa che sorgesse un profeta il quale dicesse loro quel che si doveva fare.

Ecco alcune delle regole più importanti legate al genere letterario profetico:

  • Non si deve pensare che le profezie siano pagine di storia scritta prima degli eventi. Sono spesso dei veri poemi, in cui dominano gli abbellimenti letterari, le descrizioni proprie del genere profetico, la presentazione del futuro secondo il colorito dell’epoca in cui i brani furono scritti. Il messia al tempo dei re è presentato come un trionfatore senza specificarne meglio il suo carattere spirituale (Salmo 110). Ma poi si trasforma in servo sofferente all’epoca dell’esilio (Deuteroisaia). La differenza tra la storia e la profezia si può vedere bene confrontando la distruzione di Gerusalemme così com’è descritta da 2Re 25 e come è profetizzata da Isaia. Presso il profeta la campagna militare di Sennacherib è descritta come una discesa in Palestina dal settentrione, durante la quale le città cadono, una dopo l’altra, sotto il suo martello distruttore. Al contrario, la conquista che si arrestò dinanzi alla città di Gerusalemme, avvenne da occidente a oriente:

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   Di fatto non v’è errore, in quanto Isaia più che tracciare il percorso geografico dell’invasore, voleva presentarne la rapidità della conquista. Ecco il genere letterario (da occidente a oriente per dire da tutte le parti, velocemente). Noi diremmo che piombarono addosso in quattro e quattr’otto da ogni dove.

  • Una seconda regola profetica è la mancanza di prospettiva; gli eventi si accavallano, sono posti gli uni accanto agli altri come se si succedessero immediatamente, mentre sono separati tra loro da un enorme lasso di tempo. In Is 2 si presenta il ritorno a Gerusalemme degli esuli come se costituisse l’inizio del regno messianico. La stessa mancanza di prospettiva si avvera anche nella profezia del battezzatore che, parlando di Yeshùa, ne descrive già la scena finale dell’empio distrutto (Mt 3:11,12). Così, nella profezia di Yeshùa i due eventi della distruzione di Gerusalemme e della fine del mondo si accavallano, per cui è ben difficile separarli tra di loro. Ciò ha contribuito a far ritenere imminente la fine del mondo da parte degli stessi apostoli (cfr. Mt 24); e contribuisce ancora oggi a confondere le cose quando certi gruppi religiosi parlano di tipo e di antìtipo.
  • Un terzo principio è costituito dal fatto che talora si parla dell’evento futuro come se fosse già presente, anzi come se fosse già avvenuto, come in Is 9:1: “Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende”, che di fatto si adempì secoli dopo, al tempo di Yeshùa (Mt 4:14). Sembra che il profeta, spiritualmente trasportato all’epoca predetta, ne parli come di un fatto già attuale o passato. Tutto questo esprime la certezza dell’evento che non potrà non avverarsi.

 

Il genere apocalittico

Questo genere fiorì dal 2° secolo a. E. V. al 2° secolo E. V., con l’intento di consolare i giudei o i primi discepoli di Yeshùa durante le persecuzioni del tempo. La caratteristica dominante sta nel fatto che l’autore, vissuto in epoca più tardiva, si trasferisce idealmente nel passato identificandosi con un personaggio antico, per cui può presentare la storia per lui già passata con una serie di visioni profetiche che la stilizzano. L’epoca in cui l’autore visse traspare dalla maggiore abbondanza di particolari di cui la visione si riveste. Ciò che invece è futuro anche per lui, viene tracciato con brevi tocchi, spesso come una ripetizione modificata di ciò che in passato è già avvenuto.

Ai suoi inizi va posto il libro di Daniele, mentre il suo apice sta nell’Apocalisse di Giovanni. Le altre composizioni apocalittiche ebraiche non ispirate, sia giudaiche sia riferite a Yeshùa, presentano delle visioni artificiose, fredde, esasperate e decadenti, assai noiose per chi le legge.