La parola ermeneutica deriva dal greco ἑρμηνευτική (ermeneutikè), a sua volta derivato dal verbo greco ἑρμηνεύω (ermenèuo), “spiegare / esporre / interpretare / tradurre”. Questo verbo lo troviamo anche nella Bibbia, in Gv 1:42: “Cefa (che si traduce [ἑρμηνεύεται (ermenèutai)] ‘Pietro’)”. Oltre al verbo greco, la parola contiene anche la parola greca τέχνη (tèchne), “arte”. Ermeneutica è quindi l’arte di interpretare.

   Questa parola è usata nella filosofia per indicare appunto le regole interpretative. Può però applicarsi a qualsiasi campo, tanto che assume il senso d’interpretare i testi antichi. In ambito biblico, nelle scienze bibliche, si parla di ermeneutica biblica intendendo l’insieme delle regole che devono essere applicate per la corretta comprensione del testo sacro.

   Le persone religiose con mente chiusa e un po’ bigotte forse troveranno inutile e perfino dannosa l’ermeneutica. Tuttavia, loro malgrado, spesso l’accettano senza rendersene conto. Facciamo un piccolo e semplice esempio. Leggendo Mt 14:14 nessuno troverebbe qualcosa di strano: “Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione”. Tuttavia, l’espressione “ebbe compassione” traduce il greco ἐσπλαγχνίσθη (esplanchnìsthe) che significa “fu smosso negli intestini”. Se si traducesse così, come la Bibbia effettivamente dice, pochi capirebbero; molti addirittura fraintenderebbero. Ecco, qui viene applicata una semplice regola di ermeneutica. Presso i semiti gli intestini – greco σπλάγχνον (splànchnon) – erano considerati la sede delle emozioni. Ecco allora che il traduttore, secondo la regola ermeneutica dell’esatta interpretazione, volge giustamente un pensiero orientale in occidentale. Ci sono nella Bibbia molti passi di difficile comprensione che l’applicazione delle regole interpretative (dell’ermeneutica, appunto) chiariscono.

   L’insieme di queste regole non nasce a priori ma deriva unicamente dall’esame del testo biblico. Se si è arrivati a stabilire che il verbo “essere smossi negli intestini” – σπλαγχνίζομαι (splanchnìzomai) – significa “provare compassione”, non è perché qualcuno l’ha deciso prima ma perché si è esaminata tutta la Bibbia riscontrando che in essa quel verbo assume quel significato. L’ermeneutica biblica è formulata quindi dopo l’esame accurato del testo biblico. Ciò non toglie che molti princìpi dell’ermeneutica, applicata alla Scrittura, siano già utilizzati per comprendere un qualsiasi altro testo antico.

   Sebbene per certi versi la Bibbia debba essere considerata anche come una qualsiasi altra opera letteraria da sottoporsi all’esame delle metodologie scientifiche ritenute neutrali e che garantirebbero quindi una valutazione oggettiva, non si può prescindere dall’ermeneutica che fornisce i princìpi utili per comprendere qualsiasi parte della Bibbia in modo tale da rendere il suo messaggio chiaro per chi la legge. L’ermeneutica biblica implica ovviamente anche l’esegesi, che consiste nell’esaminare e commentare il testo biblico per scoprirne il messaggio. È poi necessaria, prima di tutto, la critica testuale, perché della Bibbia non possediamo i manoscritti originali ma solo delle antiche copie da cui occorre trarre il testo genuino comparandone tutte le varianti.

   L’apostolo Paolo, ispirato, consigliò a Timoteo: “Sfòrzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che tagli rettamente la parola della verità” (2Tm 2:15). Per dirla con le parole di TNM: “Maneggiando rettamente la parola della verità”; per dirla con le parole della Bibbia: ὀρθοτομοῦντα (orthotomùnta), “rendendo diritto e liscio / maneggiando correttamente”. Lo scopo dell’ermeneutica biblica è proprio questo. Applicando i princìpi dell’ermeneutica biblica si risponde a queste domande: chi era lo scrittore? A chi stava scrivendo? Perché diceva quelle cose? Perché ha usato proprio quella parola, quel verbo particolare e quel tempo verbale? Qual è il contesto culturale e storico in cui si inquadra il testo? Qual è il significato inteso originalmente dall’autore? In che modo i suoi contemporanei capivano il testo?

   Il giusto approccio. Non dobbiamo cadere nell’errore di credere che per capire la Bibbia ci servano le meditazioni posteriori su di essa. Certo possono essere utili, ma alla fine non giovano molto per capire il vero pensiero biblico. Cosa ci serve allora per conoscere bene la Scrittura? Ci serve l’esame accurato della Scrittura e ci serve il conoscere bene il pensiero ebraico con cui essa fu scritta. Per comprendere bene un testo antico – specialmente biblico – occorre dimenticare tutta la problematica moderna e raffigurarsi cosa poteva suggerire quel testo ai lettori del suo tempo. Conviene sempre considerare le cose con mente aperta. “Rispondere prima di ascoltare è pura follia e vergognosa stupidità” (Pr 18:13, TILC). Solo dopo aver valutato tutto alla luce della Scrittura, si potrà sapere se le ipotesi vanno respinte perché antiscritturali. Oppure si potrà imparare qualcosa di nuovo. Quello che conta è la parola scritta di Dio, non le idee religiose preconcette. “Esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono”. – 1Ts 5:21, TILC.