Per la persona biblica la vita si manifesta essenzialmente nel respiro, meno spesso nel sangue. Ambedue questi concetti si distinguono dagli altri per il fatto che essi hanno mantenuto quasi sempre il loro significato fondamentale e concreto come termini della fisiologia.

1. – Respiro.

   Il neshamàh come contrassegno dell’uomo vivo a differenza di quello morto viene stabilito in Gb 27:3:

“Il mio alito è ancora tutto dentro di me,

e lo spirito di Dio è nelle mie narici”. – TNM.

   La prima parola, tradotta “alito”, è nell’ebraico נשמה (neshamàh), che qui sarebbe meglio tradurre con “respiro”. La seconda parola, tradotta “spirito”, è רוח (rùakh), che qui sarebbe meglio tradurre con “alito”.

   Quando si racconta del figlio malato della vedova di Sarepta, in 1Re 17:17, si dice che la sua malattia lo aveva talmente spossato che alla fine nessun neshamàh restava in lui, e così subentrò la morte. “Dopo queste cose avvenne che il figlio della donna, la padrona della casa, si ammalò, e la sua infermità fu così grave che non gli restò respiro [נשמה (neshamàh)]” (TNM). È evidente che qui la parola neshamàh sta ad indicare la vita. Quando non gli resta più respiro, muore.

   Questo significato di “vita” è chiaro in Gs 11:11: “Colpivano tutte le anime [kol-hanèfesh] che erano in essa col taglio della spada, votando[le] alla distruzione. Non si lasciò nessuna cosa che respirava” (TNM). “Cosa che respirava” è un giro lungo per tradurre נשמה (neshamàh). “Non si lasciò nessun respiro” è una traduzione letterale che mal si comprende. “Non vi restò anima viva” di NR rende l’idea ma non è letterale. Una buona traduzione potrebbe essere: “Nessuna vita fu risparmiata”, in cui neshamàh assume il significato di “vita”.

   In riferimento alla “vita”, neshamàh – richiamando il respiro – è evidentemente più preciso di nèfesh. Il significato di “essere vivente” è nella radice di neshamàh. Tale significato matura quando neshamàh diventa l’oggetto di esecuzione in Gs 10:40: “Giosuè colpiva tutto il paese della regione montagnosa e il Negheb e la Sefela e le pendici e tutti i loro re. Non lasciò rimanere alcun superstite, e tutto ciò che respirava lo votò alla distruzione” (TNM). Ancora una volta TNM preferisce il giro di parole “ciò che respirava” per tradurre נשמה (neshamàh). Anche qui viene distrutta ogni “vita” umana.

   Il termine è usato anche al plurale. Le “le creature che respirano” di Is 57:16 in TNM sono i neshamòt della creazione di Dio, gli “esseri viventi”.

   Con ciò possiamo dire che in ebraico l’essere vivente è definito come un essere che ha respiro.

   Nel passo di Pr 20:27, però, sembrerebbe che questo significato fondamentale vada dimenticato. Infatti, NR traduce: “Lo spirito [neshamàh] dell’uomo è una lucerna del Signore, che scruta tutti i recessi del cuore”. È  ovvio che possa essere solo lo spirito umano che scruta, non il respiro o alito come in TNM: “L’alito dell’uomo terreno è la lampada di Geova, che scruta attentamente tutte le parti più interne del ventre”. Come può un “alito” scrutare? Tuttavia, ammettere qui neshamàh come lo spirito umano che indaga costituirebbe davvero un’eccezione, dato che anche per rùakh sarebbe un significato inconsueto. D’altra parte, la logica ci obbliga a scartare il respiro come indagatore dell’interiorità. Esaminando meglio in testo la nostra attenzione cade sull’inizio del versetto: נֵר יְהוָה (ner Yhvh). Ner significa “lucerna”, e così viene tradotto. Il dubbio è che si tratti di un errore del copista. Anziché scrivere נצר (nòtser) lo scriba avrebbe scritto נר (ner), tralasciando la lettera צ (ts) e creando così una frase senza senso. Nòtser significa “colui che veglia”, come in Pr 24:12: “Colui che veglia [נצר (nòtser)] su di te non lo sa forse?” e come in Gb 7:20: “Se ho peccato, che posso compiere contro di te, Osservatore [נצר (nòtser)] del genere umano?” (TNM). La frase di Pr 20:27, ricostruita, suonerebbe: “Yhvh, colui che veglia sul respiro dell’uomo, scruta le oscurità del corpo”. Il che avrebbe un senso, creandosi anche il parallelismo respiro-corpo: Dio è contemporaneamente colui che veglia e scruta la sua creatura. Il significato fondamentale di neshamàh è così riscoperto.

   Il respiro come contrassegno della vita mostra l’essere umano in inscindibile connessione con Dio. Tutto l’essere umano è materiale, anche se creato da Dio stesso. Come essere vivente è debitore del conferimento del respiro da parte di Dio. I primi libri della Bibbia, perciò, non parlano mai del respiro di Dio. Resta tuttavia da considerare che in almeno otto passi (in libri biblici più tardivi) ciò avviene.

   In Giobbe è spesso menzionato. In 33:4, stando a NR, si legge: “Lo Spirito [rùakh] di Dio mi ha creato, e il soffio [neshanàh, “respiro”; TNM: “alito”] dell’Onnipotente mi dà la vita”. In 34:14 è detto che Dio può richiamare il neshamàh umano. In 32:8 è detto che è il neshamàh di Dio che rende saggi! In 37:10 il respiro di Dio forma il ghiaccio! Il respiro di Dio non è solo una forza creatrice; il suo alito porta anche il giudizio: “Periscono mediante l’alito [neshanàh] di Dio”. – 4:9, TNM; cfr. 2Sam 22:16; Is 30:33.

   Del respiro degli animali non si parla mai espressamente. Solo in Gn 7:22 se ne accenna.

   Compito di ogni respiro umano è la lode di Dio: “Ogni cosa che respira [ebraico: “ogni respiro”], lodi Iah”. – Sl 150:6, TNM.

   Perciò, ogni respiro come funzione fondamentale della vita umana dovrebbe tenere unito l’uomo al suo Creatore.

2. – Sangue.  

   Come il respiro, anche il sangue non svolge nella Bibbia nessun ruolo per la vita intellettuale o anche solo emozionale. Nelle 360 volte i cui compare דם (dam), “sangue”, questo viene pensato insieme a nèfesh piuttosto che al “cuore” dell’essere umano. Come realtà oggettiva principale, il dam (“sangue”) vale quale sede della forza vitale.

   Dei delinquenti Pr 1:18 dice: “Costoro pongono agguati al loro proprio sangue [dam] e tendono insidie alla loro vita stessa [nèfesh]”. “Sangue” sta qui per la nuda vita umana. Sl 72:14 invoca: “Redimerà la loro anima [nèfesh] dall’oppressione e dalla violenza, e il loro sangue [dam] sarà prezioso ai suoi occhi”. – TNM.

   Il sangue versato ed esposto fa salire il suo grido dalla terra (Gn 4:10); essendo la persona morta, la sua bocca non può più gridare, per cui lo fa la forza vitale del sangue: “O terra, non coprire il mio sangue e non vi sia luogo dove si fermi il mio grido!” (Gb 16:18). Questo concetto risulta poco comprensibile all’occidentale. Per il semita, sempre concreto, invece, l’immagine assume i contorni reali. La forza vitale del sangue, con cui la vita dell’assassinato è uscita e che grida vendetta, nella Bibbia continua ad essere operante per il fatto che trova in Dio il suo interlocutore. Il rendiconto per il sangue è il rendiconto richiesto per la vita: “Non ve lo dicevo io: ‘Non commettete questo peccato contro il ragazzo?’ Ma voi non voleste darmi ascolto. Perciò, ecco, il suo sangue ci è ridomandato” (Gn 42:22). Ciò vale per l’uomo come per l’animale: “La vita di ogni carne è il sangue; nel suo sangue sta la vita; perciò ho detto ai figli d’Israele: Non mangerete il sangue di nessuna creatura, poiché la vita di ogni creatura è il suo sangue; chiunque ne mangerà sarà eliminato”. – Lv 17:14; cfr. Dt 12:23; Gn 9:4-6; At 15:20,29;21:25.

   Questo è il motivo per cui il pensiero biblico giuridico-sacrale riunisce tutti i misfatti di sangue commessi sia nell’ambito del culto che in quello sociale. Ambedue gli ambiti sono subordinati a Dio come custode della vita. In ogni caso mangiare o anche solo assaggiare il sangue è proibito. Dopo che Saul ebbe sconfitto i filistei, il popolo affamato si gettò sulla preda costituita da piccolo bestiame, da vitelli e da manzi, mangiandone con il sangue. Il fatto che il popolo mangiò la carne con il suo sangue fu una grave trasgressione (1Sam 14:31-33). In Ez 33:25 Dio rimprovera al popolo ebraico: “Voi mangiate la carne con il sangue, alzate gli occhi verso i vostri idoli, spargete il sangue, e dovreste possedere il paese?”. Il divieto (contenuto nella Legge) di cibarsi di sangue rimane tuttora vincolante per il popolo di Dio (At 15:20,29;21:25). Ciò include ovviamente anche il divieto di accettare trasfusioni di sangue.

   Mentre il sangue degli animali cacciati veniva fatto scorrere a terra (Dt 12:22-24), quello degli animali sacrificati doveva essere raccolto e sparso sull’altare (Lv 17:3,4,6). In tal modo si esprime il rigore teologico che all’uomo spetta solo la carne, che è stata tratta dalla terra, mentre la vita appartiene solo a Dio. Si comprenda bene: il sangue viene attribuito a Dio non in senso fisico, ma legale. Lo stesso accade per il respiro. La concezione diffusa in Mesopotamia secondo cui il genere umano sorse dal sangue di una divinità uccisa (i documenti si possono trovare in F. Maass,  ̉Ādăm 82) non trova riscontro alcuno nella Bibbia. Trascurare questo comando della Legge assume davanti a Dio lo stesso peso di un omicidio: è colpa di sangue, colpa di versamento di sangue. La pena è la morte: “Non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di colui che l’avrà sparso”. – Nm 35:33; cfr. Lv 17:4.

   Anche Gn 9:4-6 accomuna il mangiar sangue a un omicidio e a un assassinio. Il versamento di sangue umano viene particolarmente messo in risalto come delitto contro Dio. “L’uomo gravato della colpa di sangue per un’anima fuggirà lui stesso fino alla fossa. Non lo afferrino [NR: “Nessuno lo fermi!”]”. – Pr 28:17; TNM.

   La profonda connessione fra il versamento del sangue, la colpa del sangue e le conseguenze della colpa trova la sua più densa formulazione nella formula giuridica di Lv 20:9:

דָּמָיו בֹּו

damàyu bo

sangue di lui su lui

   “Il suo proprio sangue è su di lui” (TNM). Oppure: “Il tuo sangue ricadrà sul tuo capo” (1Re 2:37; cfr. 2Sam 1:16). Così viene stabilita la colpa del condannato e l’innocenza di chi esegue la sentenza di morte come stabilita da Dio. – 2Sam 16:8; 1Re 2:32,33.

   Che il sangue versato sull’altare diventi un mezzo di espiazione per il colpevole lo mostrano gli ordinamenti contenuti in Lv 4:5-34;16:14-19;17:11. È solo per disposizione di Dio che il sangue assume questo potere, così come in Es 24:6,8 diventa il “sangue del patto” che Dio conclude con Israele.

   Tutto quanto abbiamo esaminato sul “respiro” e sul “sangue” conduce nell’antropologia della Bibbia ad un estremo rispetto per la vita. Questo rispetto non trova il suo fondamento nella vita in sé, ma sul fatto che respiro e sangue sono subordinati a Dio. Ciò significa che la vita non è propriamente tale senza un legame continuo con Dio e senza un rapporto di finalità con lui.

   Il sangue più prezioso che esista fu quello di Yeshùa, “il sangue del patto, che è sparso per molti” (Mr 14:24), “il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia” (1Pt 1:19). “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato” (Rm 3:25). “In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia” (Ef 1:7). “[Yeshùa] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna”. – Eb 9:12.

“A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”. – Ap 1:5,6.