Abbiamo visto, negli studi precedenti, i grandi protagonisti impiegati da Dio nella formazione del suo popolo: Abraamo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè. Coprono un periodo di circa 500 anni, da circa il 2000 al 1500 prima della nascita di Yeshùa. È indubbiamente utile per la propria formazione spirituale riflettere sulle qualità di questi uomini di Dio. Non potremo che trarne del bene.

   Giacobbe. Questo patriarca era una persona che si dava da fare. Suo zio Labano, che sarebbe diventato suo suocero, seppe approfittarne. Quando Giacobbe espresse il desiderio di sposare Rachele, figlia di Labano, che “era avvenente e di bell’aspetto” (Gn 29:17), fu concluso un contratto che prevedeva sette anni di lavoro (v. 18). “Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli parvero pochi giorni, a causa del suo amore per lei” (v. 20). Apprendiamo così che Giacobbe aveva sensibilità, sapeva provare tenerezza ed era paziente. Ma allo scadere dei sette anni, alla prima notte di nozze, Labano “prese [l’altra] sua figlia Lea e la condusse da Giacobbe, il quale si unì a lei” (v. 23). Giacobbe dovette servire altri sette anni per avere Rachele. – V. 27.

   Quando venne il momento di dividere i beni, Giacobbe disse al suocero: “Quando lavorerò anch’io per la mia casa?” (Gn 30:30). Come tutti i capifamiglia, Giacobbe era consapevole della responsabilità di mantenere la famiglia. Per questo lavorava sodo, tanto che è detto che “diventò ricchissimo, ed ebbe greggi numerose, serve, servi, cammelli e asini” (30:43). La laboriosità era tra le sue qualità.

   Quindi sensibile, tenero e lavoratore? Sì, ma con un ma. In Giacobbe ci sono luci e ombre. La sua sensibilità e la sua capacità di provare tenerezza indicano anche un carattere che indulgeva al proprio piacere. Questa è l’altra faccia della medaglia. Nonostante TNM traduca Gn 29:18 con: “Giacobbe era innamorato di Rachele”, l’ebraico ha יֶּאֱהַב (yeehàv): “amò”. È esattamente la stessa forma verbale usata dalla Bibbia quando dice che la mente e il desiderio di Sichem erano rivolti a Dina (Gn 34:3), espressione che NR traduce – del tutto fuori luogo – con “rimase affezionato a Dina”. La verità è che Sichem “la vide, la rapì e si unì a lei violentandola” (v. 2). Dopo averla violentata la voleva in moglie (v. 4). Dopo la violenza carnale, stando a NR, Sichem “amò la giovane e parlò al cuore di lei”: altra traduzione che si presta ad equivoci. TNM ha qui: “Si innamorò della giovane e parlava alla giovane in maniera persuasiva”, dalla cui insistenza di persuasione si deduce la sua passione. Ma “si innamorò” appare fuori luogo, dato che l’aveva violentata. L’ebraico ha qui יֶּאֱהַב (yeehàv): “amò”. L’ebraico non ha molti sinonimi, ma il verbo al perfetto indica un’azione compiuta. Di certo questo non fu il caso di Giacobbe: lui sgobbò per ben sette anni prima di avere Rachele. Ma il verbo è lo stesso identico. Che qualcosa non vada nella traduzione è già evidente da TNM confrontata con il testo ebraico:

 

Gn 34:3

Sichem

יֶּאֱהַב

yeehàv

“Si innamorò”

Gn 29:18

Giacobbe

יֶּאֱהַב

yeehàv

“Era innamorato”

(Testo ebraico e TNM)

 

   Quando poi il padre di Sichem andò a giustificarsi, disse proprio: “Mio figlio Sichem si è innamorato di vostra figlia” (Gn 34:8). La stava chiedendo in moglie per suo figlio e usò un’espressione appropriata al caso. Qui il verbo ebraico, infatti, è חָשְׁקָה (khashqàh): “Si innamorò”.

   Ripetiamo: la situazione di Giacobbe era ben diversa da quella di Sichem. Mentre costui spinse la sua passione fino alla violenza carnale, Giacobbe la serbò tanto da lavorare sette anni per poter sposare la donna. Più che legittimo, ma il fatto che Rachele era “bella di forme e bella di viso” (Gn 29:18, TNM), ci dice qualcosa di Giacobbe: amava avere e godere quello che gli piaceva. Non intendiamo affatto condannare il comportamento più che legittimo di Giacobbe, ma solo cogliere un aspetto della sua personalità. D’altra parte, quando poi “Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e disse a Giacobbe: ‘Dammi dei figli, altrimenti muoio’”, “Giacobbe s’irritò contro Rachele, e disse: ‘Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di essere feconda?’” (Gn 30:1,2). Tuttavia, Giacobbe aveva imparato ad amare davvero Rachele.

   L’essere troppo indulgente per quieto vivere, Giacobbe lo manifestò proprio nel caso di Dina, che era sua figlia. La Bibbia dice che “Dina, la figlia che Lea aveva partorita a Giacobbe, uscì per vedere le ragazze del paese” (Gn 34:1), espressione che la dice lunga su Dina, dato che “le ragazze del paese” erano cananee pagane. È vero che Giacobbe in precedenza aveva piantato il suo campo fuori della città cananea e si era perfino assicurato una provvista d’acqua indipendente (Gn 33:18; Gv 4:6,12), ma ora non sapeva neppure che la figlia aveva la pericolosa abitudine di frequentare i pagani cananei. Saputo quanto era accaduto alla figlia, “Giacobbe tacque” (Gn 34:5). La sua indulgenza lo faceva essere anche accomodante. Egli aspettò l’arrivo dei figli. Questi sì, “furono addolorati e fortemente adirati perché costui [Sichem] aveva commesso un’infamia” (v. 7). E quando il padre del cananeo violentatore cercò un accordo proponendo perfino un’alleanza, furono “i figli di Giacobbe”, non lui a rispondere (34:13). E sono sempre i figli che vendicano la sorella, uccidendo i cananei (34:13-29). E Giacobbe? Giacobbe disse ai figli: “Voi mi causate grande angoscia, mettendomi in cattiva luce davanti agli abitanti del paese, ai Cananei” (v. 30). Giacobbe era così. Ecco la sua paura: “Io non ho che pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi piomberanno addosso e sarò distrutto io con la mia casa”. – V. 30.

   Ma c’è di più: Giacobbe non aveva preso provvedimenti nemmeno quando scoprì che nella sua famiglia c’erano degli idoli pagani. Solo dopo che il cananeo violentò sua figlia Dina, Giacobbe prese una decisione: “Togliete gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi”. – 35:2.

   Che Giacobbe fosse un accomodante, e alquanto pauroso, lo aveva dimostrato anche quando stava per incontrare suo fratello Esaù che lo aspettava al varco per fargli pagare lo scotto di avergli sottratto la primogenitura: “Giacobbe mandò davanti a sé dei messaggeri a Esaù suo fratello” (Gn 32:3). Quando i messaggeri gli riferiscono che Esaù gli veniva “incontro con quattrocento uomini” (v. 6), “Giacobbe fu preso da gran paura e angoscia”. – V. 7.

   Anche quando voleva separarsi dal suocero e questi gli domandò quanto gli doveva per tutti i lavori da lui fatti, Giacobbe fu accomodante pur di avere quello che voleva: “Non darmi nulla; se acconsenti a quello che sto per dirti, io pascolerò di nuovo le tue greggi e ne avrò cura”. – Gn 30:31.

   Questo suo modo di essere accomodante lo faceva però essere anche ubbidiente (Gn 28:7), forse per paura o per quieto vivere, ma ubbidiente.

   Giacobbe era un cocco di mamma (Gc 25:28). Fu con l’aiuto della madre che Giacobbe si spacciò per Esaù per ottenere la benedizione spettante al primogenito (Gn 27:6-17). I godimenti della vita gli piacevano. Una volta, “sul far della sera, se ne tornava nei campi, Lea uscì a incontrarlo, e gli disse: ‘Vieni da me, perché ti ho preso per me con le mandragole di mio figlio’. Ed egli si coricò con lei quella notte” (Gn 30:16). La mandragola (Can 7:13) ha una fragranza dolce e fresca come quella di una mela; era ritenuta un afrodisiaco capace di favorire il concepimento (Gn 30:14,15). Probabilmente Rachele pensava che con l’aiuto delle mandragole avrebbe potuto concepire, dato che la sterilità in Medio Oriente era considerata una vergogna. Fatto sta che Giacobbe non si fece pregare, lui che sapeva “cuocere una minestra” (Gn 25:29) così appetitosa che Esaù non resistette. – V. 30.

   Dopo che Dio gli era apparso, il suo voto fu: “Se Dio è con me, se mi protegge durante questo viaggio che sto facendo, se mi dà pane da mangiare e vesti da coprirmi, e se ritorno sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio” (Gn 28:20,21). Giacobbe era così. Un po’ pauroso, non brillava certo per coraggio. Era accomodante, alquanto egoista e godurioso, ma anche umile.

   Giacobbe, quieto quieto, era anche un furbo per suo tornaconto. Celebre è l’episodio della primogenitura presa al fratello Esaù (Gn 25:31-27:36). Agì astutamente anche con il suocero (Gn 30:35-43), tanto che alla fine “gli agnelli deboli erano di Labano e i vigorosi di Giacobbe” (v. 42). I figli di Labano capirono l’astuzia: “Giacobbe ha preso tutto quello che era di nostro padre e, con quello che era di nostro padre, si è fatto tutta questa ricchezza” (31:1). E, candidamente, la Bibbia riconosce che “Giacobbe ingannò Labano l’Arameo, perché non gli disse che stava per fuggire” (Gn 31:20). “Fuggire”: ancora una volta pauroso. Giacobbe stesso lo riconosce quando dice a Labano che lo ha inseguito: “Avevo paura” (v. 31). Tuttavia, Giacobbe era in buona fede, perché lui era così, per quieto vivere. Ma sapeva anche arrabbiarsi. Sebbene fosse un pacioso, dopo aver accumulato e accumulato, sbottava: “Giacobbe si adirò e si mise a litigare con Labano, dicendo: ‘Qual è il mio delitto, e quale il mio peccato, perché tu mi abbia inseguito con tanto ardore?’”. – Gn 31:36.

   Giacobbe era così. Era umano. Ma sarebbe ingiusto vederne solo le ombre. Nella Bibbia Dio è definito “il Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe”, e Yeshùa stesso usò questa espressione (Mt 22:32). Giacobbe fu un uomo amato da Dio, il patriarca cui Dio rinnovò le promesse fatte a suo nonno Abraamo e a suo padre Isacco: “Sii fecondo e moltìplicati; una nazione, anzi una moltitudine di nazioni discenderà da te, dei re usciranno dai tuoi lombi; darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese che diedi ad Abraamo e ad Isacco”. – Gn 35:11,12.

   A Giacobbe Dio cambiò il nome: “’Il tuo nome è Giacobbe. Tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele’. E lo chiamò Israele” (Gn 35:10). Quel nome – Israele – fu portato da tutto il popolo di Dio.

   Giacobbe fu eletto prima che nascesse (Gn 25:22-26; Rm 9:10-12; Os 12:3). Ebbe profondo apprezzamento per le cose sacre (Eb 12:16,17). Dio lo difese sempre. A Labano, Dio venne in sogno e gli disse: “Guàrdati dal parlare a Giacobbe, né in bene né in male”. – Gn 31:24.

   Giacobbe fu anche un profeta (Gn 49). La sua vita non fu scevra da difficoltà. Giacobbe, però, non perse mai la fede in Dio e nelle sue promesse. Persino in punto di morte ebbe fede nella promessa messianica (Gn 49:10). Yeshùa, il consacrato di Dio, il solo mezzo di salvezza per tutta l’umanità, nacque dai discendenti di Giacobbe.