Partendo dall’affermazione certa di Gv secondo cui il giorno della morte di Yeshùa i giudei non avevano ancora mangiato la Pasqua (Gv 18:28), occorre indagare più a fondo quale fosse questo giorno. Esaminiamo quindi le testimonianze scritturali circa quel giorno in cui Yeshùa morì.

   “Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito. […] Essendo già sera (poiché era la Preparazione, cioè la vigilia del sabato) […]” (Mr 15:37,42). Era “la preparazione, cioè la vigilia del sabato”: preparazione di cosa? Della Pasqua, quella stessa Pasqua che i giudei, quella mattina, non avevano ancora mangiato. Nello studio La morte e la resurrezione di Yeshùa, in questa stessa sezione Yeshùa, viene dimostrato come il giorno in cui si mangiava la Pasqua (15 nissàn) è definito nella Bibbia un sabato (giorno di completo riposo, non necessariamente cadente nel sabato settimanale); Gv 19:31 dice che “quel sabato era un gran giorno”. Quel giorno di preparazione o vigilia era dunque il giorno precedente il 15 nissàn (ovvero il “gran giorno”, “sabato”, il ‘grande sabato’), quindi era il 14 nissàn. Da questo punto si può ricostruire, a ritroso, il calendario degli avvenimenti esposti da Gv :

Gv

13:1

Prima della festa di Pasqua

13 nissàn

13:2

Durante la cena […]

14 nissàn

13:29

Giuda […]

13:30

[…] preso il boccone, uscì subito; ed era notte.

18:1

Dette queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli.

18:12

[…] presero Gesù e lo legarono,

18:13

e lo condussero prima da Anna, […].

18:24

Quindi Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote.

18:28

Poi, da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua.

Mr 15:37

Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito.

Mr 15:

Essendo già sera (poiché era la Preparazione, cioè la vigilia del sabato)

Sabato (giorno di riposo completo), Pasqua e 1° giorno degli azzimi

15 nissàn

(Versione Nuova Riveduta)

   Che dire allora dei tre sinottici? Si sbagliano? In verità, coloro che si sbagliano sono i traduttori.

   Quello che è tradotto “il primo giorno degli azzimi” (Mt 26:17; Mr 14:12) – e che causa tutti gli anacronismi e le contraddizioni con Gv – è nel testo originale greco τῇ δὲ πρώτῃ τῶν ἀζύμων  (te pròte ton azΰmon). Ton azΰmon (τῶν ἀζύμων) significa “degli azzimi”. Te pròte (τῇ πρώτῃ) è tradotto in genere “nella prima” (e i traduttori sottintendono “giornata”); in Mr si ha la frase completa: τῇ πρώτῃ ἡμέρᾳ τῶν ἀζύμων (te pròte emèra ton azΰmon), che i traduttori rendono con “il primo giorno degli azzimi”. Ma riguardo a questo πρωτος (pròtos) A Greek-English Lexicon, di H. Liddell e R. Scott (pag. 1535, colonna 1) afferma: “πρωτος è usato a volte dove ci aspetteremmo di trovare πρότερος [pròteros]”. Tradurre il termine greco πρωτος (pròtos) seguito da un genitivo (come nel nostro caso) con “prima di” concorda col significato e con la traduzione di una costruzione simile in Gv 1:15,30: “Colui che viene dopo di me mi ha preceduto, perché era prima di me [greco πρῶτός μου (pròtòs mu)]. […] egli era prima di me [greco πρῶτός μου (pròtòs mu)]”.

   Traducendo correttamente abbiamo dunque:

Mt 26:

Mr 14:

Lc 22:

:17

Il giorno prima degli Azzimi,

:12

Il giorno prima degli Azzimi, quando si immolava la pasqua,

:7

Venne il giorno degli Azzimi, nel quale bisognava immolare la pasqua.

:8

[Gesù] mandò Pietro e Giovanni dicendo: “Andando, preparate per noi la pasqua, perché la mangiamo”.

i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Dove vuoi che ti prepariamo la pasqua?”.

gli dicono i discepoli: “Dove vuoi che, andati, prepariamo perché tu mangi la pasqua?”.

:9

Ma essi gli dissero: “Dove vuoi che prepariamo?”.

[I discepoli fanno come ha detto loro Gesù e preparano la cena in una stanza al piano superiore della casa indicata da Gesù stesso]

:20

Venuta la sera, era

:17

Venuta la sera, viene con i Dodici.

:14

Quando venne l’ora

sdraiato a mensa con i Dodici.

:18

E mentre essi erano sdraiati a mensa

 si stese a tavola e gli apostoli erano con lui.

 

   Traducendo correttamente i passi in questione di Mt e Mr, si ha che il giorno precedente la morte di Yeshùa viene definito “il [giorno] prima degli azzimi”. Questa espressione va esaminata e capita. Ma che dire intanto di Lc 22:7 che dice: “Venne il giorno degli azzimi, nel quale si bisognava immolare la Pasqua”? Appare chiaro a qualsiasi studioso della Scrittura che quella di Luca è una dichiarazione generica, come dire che quei giorni erano molto vicini. TNM traduce: “Giunto ora il giorno dei pani non fermentati, in cui si doveva sacrificare la vittima pasquale”; la traduzione è corretta. Ma se dovessimo prendere alla lettera quella descrizione temporale generica, dovremmo concludere che: 1. quel giorno precedente la morte di Yeshùa sarebbe il primo giorno degli azzimi (15 nissàn), 2. in quello stesso giorno sarebbe stata sacrificata la Pasqua. Questo è impossibile: la Pasqua doveva essere sacrificata il 14 e il primo giorno degli azzimi era il 15. Cosa dice allora Luca? Intanto non dice che era venuto il primo giorno degli azzimi. Dice che “venne il giorno degli azzimi”. Ma gli azzimi non duravano un giorno, bensì sette. “Giorno” va quindi inteso in senso generico: venne il tempo, vennero i giorni degli azzimi.

   Tornando a Mt e Mr, si è visto come quel giorno in cui Yeshùa mandò i discepoli a preparare la Pasqua e che precedeva la sua morte, sia definito “il giorno prima degli azzimi”. Anche qui, se stiamo alla lettera, avremmo che quel giorno sarebbe il 14, dato che azzimi iniziavano il 15.

   Come va dunque inteso? La chiave di lettura sta in Lc 22:1: “La festa degli Azzimi, detta la Pasqua, si avvicinava”. Luca qui afferma un modo comune a quel tempo di definire quel periodo festivo: “La festa degli Azzimi, detta la Pasqua”. I due termini erano usati in modo quasi intercambiabile: la Pasqua era gli azzimi e gli azzimi erano la Pasqua. Questo è comprensibile, dato che le due feste erano praticamente attaccate e finirono con l’essere considerate un tutt’uno. Nel pomeriggio del 14 nissàn era scannato e preparato l’agnello pasquale e quella sera, dopo il tramonto (quindi all’inizio del 15) veniva mangiata la Pasqua e iniziavano i sette giorni degli azzimi che si concludevano alla fine del 21. Il 15 2 il 21 nissàn erano giorni festivi, “sabati” nel senso di giorni di completo riposo. Se si comprende questo modo di esprimersi è dunque chiaro ciò che i sinottici e Giovanni dicono. Trasposto nel nostro modo di esprimerci, essi stanno dicendo:

Mt

Il giorno prima del periodo degli azzimi

Mr

Il giorno prima del periodo degli azzimi, in cui era sacrificata la Pasqua

Lc

Venne il tempo degli azzimi, in cui si sacrificava la Pasqua

Gv

Prima delle festività pasquali

   Pasqua e Festa degli Azzimi erano dunque un periodo di otto giorni: sette degli azzimi (dal 15 al 21), in cui il primo giorno (il 15, di notte) si consumava la Pasqua; un giorno, prima dei sette (il 14), che era giorno di preparazione, in cui l’agnello pasquale era immolato.

   “Il giorno prima degli azzimi” è dunque il giorno precedente questo intero periodo della “festa degli azzimi, detta Pasqua”. Si tratta del giorno 13 nissàn. Il 14 era infatti la preparazione: sebbene non fosse un giorno festivo, era pur sempre il giorno in cui l’agnello era immolato; il giorno in cui ci si preparava, tanto che i giudei non vogliono contaminarsi entrando nella casa di un pagano.

   Il 14 nissàn era anche il giorno in cui il pane lievitato era tolto dalle case. Questo è un altro punto da chiarire. Le prescrizioni di Dio erano precise: “Per sette giorni mangerete pani azzimi” (Es 12:15). Ovvero: dal 15 al 21 compresi non poteva essere consumato pane lievitato. Nello stesso versetto, subito dopo si legge però nella traduzione italiana: “Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case”. Questa traduzione sembra suggerire l’idea che il lievito fosse tolto il primo giorno degli azzimi, cioè il 15, quando già si era di fatto nella Festa degli Azzimi.  Così, allo stesso modo, la TNM: “Il primo giorno dovete togliere la pasta acida dalle vostre case”; qui sembra addirittura che l’obbligo di eliminare il lievito fosse riferito al primo giorno, il 15. Così anche la cattolica CEI: “Già dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case”. Eppure, qualcosa non quadra. Dato che il 15 era il primo giorno dei pani non lievitati, come mai sarebbe stato ancora presente nelle case del pane lievitato? Come mai togliere quel pane lievitato durante il primo giorno dei pani non lievitati? Inoltre: “Non si faccia nessun lavoro in quei giorni” (v. 16); come mai avrebbero dovuto fare un minuzioso lavoro di pulizie quando era comandato di non fare nessun lavoro? E ancora: “Il primo giorno avrete una riunione sacra” (v. 16); dovevano trascorrere la giornata nel culto di una riunione sacra o passare del tempo a togliere il pane lievitato?

   Ancora una volta le traduzioni tradiscono il senso del testo. La Vulgata latina però traduce Es 12:15 così: “In die primo non erit fermentum in domibus vestris” ovvero “nel primo giorno non ci sarà lievito nelle vostre case”. “Non ci sarà”, non se ne dovrà trovare: segno che era già stato tolto. E così anche Diodati: “Fin dal primo giorno farete che non vi sia alcun lievito nelle vostre case”. Per fare in modo che già da quel primo giorno non ci fosse lievito, l’unico modo era di toglierlo il giorno prima, cioè il 14. Questo è conforme al verbo ebraico usato in Es 12:15: תַּשְׁבִּיתוּ (tashbìtu, cessate, fermate), la cui radice è שבת (shabàt) che significa appunto cessare o fermare. La LXX greca traduce ἀφανιεῖτε (afanièite), cioè “rendete invisibile”. Bene, quindi, Diodati: gli ebrei dovevano fare in modo che già dal primo giorno (il 15) il lievito non ci fosse, fosse stato ‘reso invisibile’ o fatto sparire, fosse cessato. Il primo giorno dei pani non lievitati doveva essere davvero un giorno di pani non lievitati. Non rimaneva che toglierli il 14, “il giorno della preparazione”.

   Quel 14 era quindi il giorno in cui il pane lievitato veniva fatto sparire. Non era proibito mangiarne: il divieto iniziava con il 15. Possiamo immaginare che gli ebrei, togliendolo dalle case, parte ne mangiassero e il resto lo bruciassero.

 

Dopo questa attenta e scrupolosa analisi, si può riassumere così il calendario di quei giorni:

13 nissàn

“Il giorno prima” che inizi il periodo delle festività, comprendente il “giorno della preparazione” in cui era tolto il lievito e immolato l’agnello pasquale, Yeshùa manda i discepoli a preparare il luogo per la Pasqua.

14 nissàn

All’inizio del 14, dopo il tramonto del 13, Yeshùa consuma la sua ultima cena con gli apostoli.

Durante la notte Yeshùa è arrestato.

Durante la mattinata prosegue l’incriminazione e il processo di Yeshùa.

È il “giorno della preparazione”, quello precedente il “grande sabato” o primo giorno degli azzimi. I giudei devono ancora mangiare la Pasqua.

Nel pomeriggio, verso le 15, quando il primo agnello pasquale è immolato nel tempio di Gerusalemme, Yeshùa spira.

15 nissàn

Primo giorno degli azzimi. La notte, dopo il tramonto del 14, viene consumata la Pasqua.

 

   Ora la domanda è: dato che Yeshùa morì il giorno 14, il giorno prima della cena di Pasqua, la sua ultima cena in cosa consistette?

   Non aveva detto Yeshùa ai discepoli: “Andate a prepararci la cena pasquale, affinché la mangiamo” (Lc 22:8)? Sì, Yeshùa fu un osservante scrupoloso della Legge di Dio fino alla fine. Ma quella Pasqua lui non poté mangiarla.

   Durante la sua ultima cena Yeshùa commenterà: “Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire” (Lc 22:15). Il suo vivo desiderio rimase un desiderio. Yeshùa quell’anno non poté mangiare quella Pasqua. Perché, quell’anno, era lui la Pasqua; lui, il consacrato, “Cristo, nostra Pasqua”. – 1Cor 5:7, CEI.

   Che nome dare allora a quell’ultima cena? Il nome che le dà la Bibbia: “La cena del Signore”. – 1Cor 15:20.