Tabita (Ταβειθά, Tabeithà, “”)

“A Ioppe c’era una discepola, di nome Tabita, che, tradotto, vuol dire Gazzella: ella faceva molte opere buone ed elemosine”. – At 9:36.

   Il nome “Tabita” è di origine aramaica e in greco diventa Δορκάς (Dorkàs), che significa “gazzella”. Il doppio nome, aramaico e greco, si spiega probabilmente col fatto che lei viveva a Ioppe. Questa città esiste tuttora e si trova nello stato di Israele: si tratta di Giaffa, in ebraico יָפוֹ (Yafò), in arabo يافا (Yafà), ora parte di Tel Aviv, il cui nome completo è Tel Aviv-Jaffa. Fu un porto storico sul Mar Mediterraneo. Oggi la città è famosa per le arance e i pompelmi di Giaffa, esportati in tutto il mondo. È oggi una città che non si ferma mai. Un moderno detto comune in Israele è che “a Gerusalemme si prega, a Haifa si lavora, a Tel Aviv ci si diverte”. Ioppe, essendo stata città portuale con popolazione mista di ebrei e gentili, può spiegare perché Tabita/Dorkàs avesse il doppio nome.

   Questa donna era una discepola di Yeshùa e “faceva molte opere buone”; di certo queste opere implicavano anche il cucire vestiti per le vedove indigenti (At 9:36,39). Cosa interessante, lei è l’unica donna cui il testo sacro attribuisce il nome di μαθήτρια (mathètria), “discepola”, femminile di μαθητής (mathetès), “discepolo”. Ciò, tuttavia, non ha un particolare significato; appare come casuale, perché tutti gli appartenenti alla congregazione di Yeshùa sono detti suoi discepoli. – Mt 28:19,20.

   “Si ammalò e morì. E, dopo averla lavata, la deposero in una stanza di sopra” (At 9:37). Dato che Pietro era nei pressi fu prontamente chiamato perché accorresse ad Ioppe (At 9:38). “Appena arrivato, lo condussero nella stanza di sopra; e tutte le vedove si presentarono a lui piangendo, mostrandogli tutte le tuniche e i vestiti che Gazzella faceva, mentre era con loro. Ma Pietro, fatti uscire tutti, si mise in ginocchio, e pregò; e, voltatosi verso il corpo, disse: ‘Tabita, àlzati’. Ella aprì gli occhi; e, visto Pietro, si mise seduta. Egli le diede la mano e la fece alzare; e, chiamati i santi e le vedove, la presentò loro in vita”. – At 9:39-41.

   Le azioni di Pietro assomigliano molto a quelle che Yeshùa quando risuscitò la figlia di Iairo. – Mr 5:38-41; Lc 8:51-55.

   Di questa donna null’altro sappiamo. Dal fatto che “tutte le vedove si presentarono a lui [Pietro] piangendo” e che un marito non è menzionato, posiamo dedurre che non fosse sposata o fosse lei stessa vedova. Di certo era una donna molto amata, considerato tutto il daffare delle persone alla sua morte. Lei “faceva molte opere buone”.

Tacpenes (תַּחְפְּנֵיס, Tachfanès, etimologia sconosciuta)

“Adad trovò grazia agli occhi del faraone, che gli diede in moglie la sorella della propria moglie, la sorella della regina Tacpenes. La sorella di Tacpenes gli partorì un figlio, Ghenubat, che Tacpenes divezzò nella casa del faraone; e Ghenubat rimase in casa del faraone tra i figli del faraone. Quando Adad ebbe sentito in Egitto che Davide si era addormentato con i suoi padri e che Ioab, capo dell’esercito, era morto, disse al faraone: ‘Permettimi di andare al mio paese’”. – 1Re 11:19-21.

   Tacpenes era una regina, era la moglie del faraone d’Egitto. Dato che si parla di lei come di una regina, lei probabilmente era la prima moglie del faraone. La sorella della regina Tacpenes fu data in moglie ad Adad, un rifugiato (oppositore di Salomone) scampato dal massacro di Davide in Edom. Costei ebbe un figlio, che Tacpenes svezzò e curò insieme ai figli del faraone.

Tafat (טָפַת, Tafàt; etimologia incerta, forse dal verbo נטף, natàf, “gocciolare”)

“Ben-Abinadab, in tutta la regione di Dor; Tafat, figlia di Salomone, era sua moglie”. – 1Re 4:11.

   Secondo 1Re 4:7 “Salomone aveva dodici prefetti su tutto Israele, i quali provvedevano al mantenimento del re e della sua casa”; si trattava di dodici uffici che governavano Israele. Ogni funzionario aiutava il re e il suo seguito “per un mese all’anno” (1Re 4:7). Tafat, figlia di Salomone, era sposata con uno di quei funzionari .  

Talità (ταλειθά, taleithà, “ragazzina”)

“Mentre egli diceva loro queste cose, uno dei capi della sinagoga, avvicinatosi, s’inchinò davanti a lui e gli disse: ‘Mia figlia è morta or ora; ma vieni, posa la mano su di lei ed ella vivrà’. Gesù, alzatosi, lo seguiva con i suoi discepoli”. – Mt 9:18,19.

   “Quando Gesù giunse alla casa del capo della sinagoga e vide i suonatori di flauto e la folla che faceva grande strepito, disse loro: ‘Allontanatevi, perché la bambina non è morta, ma dorme’. Ed essi ridevano di lui. Ma quando la folla fu messa fuori, egli entrò, prese la bambina per la mano ed ella si alzò. E se ne divulgò la fama per tutto quel paese”. – Mt 9:23-26.

   La versione marciana dello stesso fatto è questa: “Ecco venire uno dei capi della sinagoga, chiamato Iairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregò con insistenza, dicendo: ‘La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani su di lei, affinché sia salva e viva’. Gesù andò con lui, e molta gente lo seguiva e lo stringeva da ogni parte.” Mr 5:22-24.

   Spesso, guardando le donne dei tempi antichi, si vede solo l’oppressione e la miseria della condizione femminile. Eppure, anche nelle culture in cui le donne vivevano sotto un sistema patriarcale, si può trovare l’amore. Iairo amava sua figlia tanto da andare da Yeshùa a chiedergli aiuto. I Vangeli mostrano spesso i notabili religiosi del tempo come degli ipocriti riluttanti a riconoscere Yeshùa, ma per la sua figlia, Iairo era disposto a cedere.

   “Mentre egli parlava ancora, vennero dalla casa del capo della sinagoga, dicendo: ‘Tua figlia è morta; perché incomodare ancora il Maestro?’ Ma Gesù, udito quel che si diceva, disse al capo della sinagoga: ‘Non temere; soltanto continua ad aver fede!’ E non permise a nessuno di accompagnarlo, tranne che a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero a casa del capo della sinagoga; ed egli vide una gran confusione e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: ‘Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme’. Ed essi ridevano di lui. Ma egli li mise tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui, ed entrò là dove era la bambina. E, presala per mano, le disse: ‘Talità cum!’ che tradotto vuol dire: Ragazza, ti dico: àlzati! Subito la ragazza si alzò e camminava, perché aveva dodici anni. E furono subito presi da grande stupore; ed egli comandò loro con insistenza che nessuno lo venisse a sapere; e disse che le fosse dato da mangiare”. – Mr 5:35-43.

   Pochi manoscritti greci (Codex Sinaiticus, Vaticanus) di Mr hanno la forma Ταλειθά κούμ (Taleithà kum), ma altri (Codex Alexandrinus, la maggioranza dei manoscritti e la Vulgata) hanno invece la lezione κουμι (kùmi). Quest’ultima è diventata quella del Textus receptus, ed è la versione che appare in Westcott and Hort. L’aramaico è ţlīthā Qum. La parola ţlīthā è la forma femminile della parola TLE, che significa “giovane”. Qum è il verbo aramaico che significa “salire / stare in piedi”, messo al singolare femminile imperativo. Era inizialmente ‘qūmī’. Tuttavia, vi è la prova che la finale –ī sia stata abbandonata in modo che l’imperativo non distinguesse più tra maschile e femminile. I manoscritti più vecchi, quindi, hanno utilizzato una grafia greca che rifletteva la pronuncia, mentre l’aggiunta di una ι (lettera greca iota, corrispondente alla i latina) venne forse creata da un copista. Scritta in aramaico, potrebbe essere טליתא קומי (talytà qùmy) oppute טלתא קומי (talità qùmy).

Tamar figlia di Absalom (תָּמָר, Tamàr, “palma”)

“Ad Absalom nacquero tre figli e una figlia di nome Tamar, che era donna di bell’aspetto”. – 2Sam 14:27.

Absalom diede a sua figlia il nome di sua sorella, zia della bambina (1Cron 3:9; 2Sam 13:1). Come la sua zia, Tamar era bella.

   La traduzione di TNM, “donna di bellissimo aspetto”, è esagerata. L’ebraico ha אִשָּׁה יְפַת מַרְאֶה (ishàh yefàt marèh): “donna di bell’aspetto”; data la presenza della parola מַרְאֶה (marè), “aspetto”, al massimo si potrebbe tradurre “donna avvenente d’aspetto”, come in Gn 29:17, che TNM traduce con “bella di viso”. Tra l’altro, Gn 29:17 (che parla di Rachele) ci dà un’idea di come gli ebrei descrivevano una bella donna: יְפַת־תֹּאַר וִיפַת מַרְאֶה (yefàt-toàr viyfàt marèh), letteralmente: “bella di forma e bella di visione”.

Tamar figlia di Davide (תָּמָר, Tamàr, “palma”)

“Dopo queste cose avvenne che Absalom, figlio di Davide, aveva una sorella di nome Tamar, che era bella; e Amnon, figlio di Davide, se ne innamorò”. – 2Sam 13:1.

   Davide ebbe diversi figli da mogli diverse. Amnon era nato da Ainoam di Izreel (2Sam 3:2; 1Cron 3:1), mentre Absalom e Tamar li aveva avuti da Maaca (2Sam 3:2,3;13:1; 1Cron 3:1,2;3:9). In realtà, Amnon era il figlio primogenito di Davide ed erede al trono, mentre Absalom era il suo secondogenito. Comunque, Amnon era il fratellastro maggiore di Tamar.

   “Amnon si appassionò a tal punto per Tamar sua sorella da diventarne malato; perché lei era vergine e pareva difficile ad Amnon di fare qualche tentativo con lei” (2Sam 13:2). La Bibbia ci dice due cose in questo verso. Amnon era completamente preso dalla passione per Tamar, ma il fatto che fosse vergine gli impediva d’avere una relazione con lei senza avere gravi problemi (Es 22:16,17; Dt 22:28,29), senza parlare poi dell’atto incestuoso. – Lv 18:6-17,29;20:11,12,14.

   “Amnon aveva un amico, di nome Ionadab, figlio di Simea, fratello di Davide; Ionadab era un uomo molto accorto” (2Sam 13:3). Questo Ionadab era cugino di Amnon e Tamar. “Questi gli disse: ‘Come mai tu, figlio del re, sei ogni giorno più deperito? Non me lo vuoi dire?’ Amnon gli rispose: ‘Sono innamorato di Tamar, sorella di mio fratello Absalom’” (2Sam 13:4). Confessando la sua debolezza al cugino Ionadab, Amnon – forse per un riflusso di coscienza – sottolinea il suo rapporto con Tamar, dicendo che è la sorella di suo fratello Absalom.

   “Ionadab gli disse: ‘Mettiti a letto e fingiti malato. Quando tuo padre verrà a vederti digli: Fa’, ti prego, che mia sorella Tamar venga a darmi da mangiare e a preparare il cibo in mia presenza perché io lo veda e mangi quel che mi darà’” (2Sam 13:5). Ionadab si rivela più perverso di suo cugino, suggerendogli addirittura un piano per irretire Tamar. Alcuni commentatori sostengono che Tamar, una donna sola, non potesse e non dovesse rimanere da sola con un uomo. Fatto sta che Ionadab e Amnon pianificano un modo per aggirare questa limitazione: nessuno avrebbe trovato da ridire per il fatto che una donna, per di più sua sorellastra, preparasse un pasto ad un malato. La richiesta fatta da Amnon al padre sarebbe apparsa del tutto innocente. Davide, infatti, dice alla figlia di andare a casa di Amnon e cuocergli il suo pasto. Tamar accoglie la richiesta di suo padre. Tamar non fa assolutamente alcunché di sbagliato. Lei agì semplicemente come avrebbe dovuto. “Amnon dunque si mise a letto e si finse ammalato; e quando il re lo venne a vedere, Amnon gli disse: ‘Fa’, ti prego, che mia sorella Tamar venga e prepari un paio di frittelle in mia presenza; così mangerò quel che mi darà’. Allora Davide mandò a dire a Tamar: ‘Va’ a casa di Amnon, e preparagli qualcosa da mangiare’. Tamar andò a casa di Amnon, suo fratello, che era a letto; prese della farina stemperata, l’intrise, preparò delle frittelle e le fece cuocere davanti a lui”. – 2Sam 13:6-8.

   “Poi [Tamar] prese la padella, servì le frittelle e gliele mise davanti, ma egli rifiutò di mangiare e disse: ‘Fate uscire di qui tutta la gente’. Tutti uscirono. Allora Amnon disse a Tamar: ‘Portami il cibo in camera e lo prenderò dalle tue mani’. Tamar prese le frittelle che aveva fatte e le portò in camera ad Amnon suo fratello. Ma mentre gliele porgeva perché mangiasse, egli l’afferrò e le disse: ‘Vieni a unirti a me, sorella mia’. Lei gli rispose: ‘No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere una tale infamia! Io dove potrei andare piena di vergogna? E quanto a te, tu saresti considerato un infame in Israele. Te ne prego, parlane piuttosto al re, egli non ti rifiuterà il permesso di sposarmi”. – 2Sam 13:9-13.

   In quell’ignobile situazione, Tamar esprime la sua paura e la sua disperazione. Lei ricorda al fratellastro che ciò che sta facendo è moralmente sbagliato e che, come figlio prediletto ed erede di Davide poteva chiedere di sposarla. Ma questo non è ciò che vuole Amnon: lui vuole solo sesso. Ci si potrebbe domandare come mai Tamar suggerisca una simile soluzione. Sarebbe stata davvero disposta a sposare il suo fratellastro? Lei conosceva benissimo le norme divine che vietavano l’incesto, tant’è vero che le rammenta lei stessa ad Amnon. Probabilmente lei cercava una via d’uscita, confidando che poi la cosa sarebbe stata ostacolata dal loro padre.

   “Ma egli non volle darle ascolto e, essendo più forte di lei, la violentò e si unì a lei”. – 2Sam 13:14.

   Molte volte, troppo spesso, si dice malignamente che le donne violentate abbiano fatto qualcosa per provocare lo stupro. La Bibbia non dà tale giudizio nei confronti di Tamar. Amnon aveva deciso di abusare di lei. La voleva e basta. Amnon aveva previsto ogni cosa. Amnon aveva ingannato anche Davide, suo padre. Amnon usò la sua maggiore forza fisica per abusare di Tamar. Lei, d’altra parte, era esattamente dove la sua società voleva che fosse: in cucina, a preparare un pasto per il suo parente maschio, come chiesto dal padre.

   Come molte donne, Tamar fu vittima di un incesto. Il suo fratellastro aveva deciso che la voleva, e suo padre aveva inconsapevolmente lasciato la porta aperta. Davide non si sarebbe certo aspettato che suo figlio facesse una cosa del genere, nessun genitore se lo aspetterebbe. Eppure, l’incesto avviene in famiglie di tutte le classi sociali, anche in quelle dei “buoni cristiani”. Le famiglie devono esserne consapevoli e vigilare.

   “Poi Amnon ebbe verso di lei un odio fortissimo; a tal punto che l’odio per lei fu maggiore dell’amore di cui l’aveva amata prima. Le disse: ‘Àlzati, vattene!’” (2Sam 13:15). Appena soddisfatto il suo desiderio sessuale, Tamar non serve più ad Amnon. L’“amore” che professava diventa improvvisamente odio, un odio più forte del desiderio che provava per lei. Psicologicamente, ciò si spiega con il ribrezzo che lui prova per se stesso. Non reggendo al disgusto di sé, cerca di deviarlo verso l’oggetto che ha causato la sua insostenibile situazione. In pratica, la tratta come una prostituta con cui prima si è gentili e poi, consumato l’atto, non si vede l’ora che se ne vada.

   “Lei gli rispose: ‘Non mi fare, cacciandomi, un torto maggiore di quello che mi hai già fatto’. Ma egli non volle darle ascolto” (2Sam 13:16). Tamar supplica: se lui è rabbioso con se stesso, lei è avvilita e umiliata. Come potrebbe reggere da sola quell’umiliazione? Nella disperazione, cerca una spiegazione impossibile dal suo stesso carnefice.

   “Anzi, chiamato il servo che lo assisteva, gli disse: ‘Caccia via da me costei e chiudile dietro la porta!’ Lei portava una tunica con le maniche, perché le figlie del re portavano simili vesti finché erano vergini. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le chiuse la porta dietro. E Tamar si sparse della cenere sulla testa, si stracciò di dosso la tunica con le maniche e mettendosi la mano sul capo, se ne andò gridando. Absalom, suo fratello, le disse: ‘Forse che Amnon, tuo fratello, è stato con te? Per ora taci, sorella mia; egli è tuo fratello; non tormentarti per questo’. Tamar, desolata, rimase in casa di Absalom, suo fratello”. – 2Sam 13:17-20.

   Amnon delega al suo servo il lavoro sporco, e Tamar viene buttata fuori. Addolora, Tamar si cosparge di cenere e si strappa le vesti. Queste azioni erano in Israele segno di lutto e disperazione (cfr. Gs 7:6; Est 4:1; Ger 6:26). La “tunica con le maniche”, che diventa una “lunga veste a righe” in TNM, è nella Bibbiaכְתֹנֶת הַפַּסִּים  (chetonèt hapasìm), espressione che ricorre in tutta la Bibbia solo qui e in Gn 37:3: “Israele amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figli, perché era il figlio della sua vecchiaia; e gli fece una veste lunga con le maniche”. Si tratta di una lunga tunica che copre caviglie e polsi. Denotava lo stato di Tamar, la sua posizione d’alto rango quale figlia del re. Il fatto che l’agiografo la ponga qui anziché altrove, sottolinea tutta la drammaticità di ciò che è accaduto. Lo sguardo del lettore si posa su quella tunica che lei si strappa, evocando la sua stessa lacerazione interiore.

   Suo fratello Absalom vede la sua angoscia, intuisce l’accaduto, ma prende le distanze da lei, chiamandola ‘sorella di Absalom’. Purtroppo, lui fa quello che molti, troppi, familiari fanno quando scoprono un incesto: esorta a tacere. Le dice che di starsene tranquilla: “Per ora taci, sorella cara, Amnon è tuo fratellastro, cerca di star calma” (v. 20, PdS). Per tranquillizzarla di più, la tiene con sé a casa sua, ma in realtà non fa nulla per affrontare il suo dolore. Lei è ora una donna sola e avvilita che vive in casa di suo fratello, custodendo un terribile e vergognoso segreto.

   “Il re Davide udì tutte queste cose e si adirò molto. Absalom non disse una parola ad Amnon né in bene né in male; perché odiava Amnon per la violenza che aveva fatta a Tamar, sua sorella” (2Sam 13: 21,22). Ecco due grand’uomini, i maschi di casa!

   Il padre di lei è un uomo di Dio che canta: “La tua legge è dentro il mio cuore” (Sl 40:8; soprascritta: “Di Davide”). E quella stessa Legge prescrive: “Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre” (Lv 18:9). Un uomo che è anche re d’Israele, e come tale si era sottoposto a quanto prescritto appositamente per lui in Dt 17:18,19: “Quando si insedierà sul suo trono reale, scriverà per suo uso, in un libro, una copia di questa legge secondo l’esemplare dei sacerdoti levitici. Terrà il libro presso di sé e lo leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore, il suo Dio, a mettere diligentemente in pratica tutte le parole di questa legge e tutte queste prescrizioni”. Davide pare invece più interessato a suo figlio che non a sua figlia che ha subito un gravissimo oltraggio.

   Due membri della sua stessa famiglia, che avrebbero dovuto sostenere Tamar, sia Davide che Absalom. Molte vittime moderne d’incesto fanno questa  medesima esperienza. I loro familiari possono essere più interessati a proteggere il colpevole che la vittima, oppure possono essere più interessati a tornare ipocritamente alla cosiddetta pace familiare. Eppure, proprio qui, nella Bibbia, c’è qualcosa che il lettore trascura. Si tratta del fatto che questo episodio fa parte integrale della Scrittura. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio” (2Tm 3:16). Lo stesso spirito santo di Dio ha fatto in modo che l’agiografo includesse questa storia nella Sacra Scrittura. Dio stesso quindi era molto preoccupato per quello che è successo a Tamar. Ha ispirato l’autore a ricordare la sua situazione. Le donne di oggi possono così sapere che anche se tutti gli altri non si curano di loro, Dio lo fa.

   “Ma Ionadab, figlio di Simea, fratello di Davide, prese a dire: ‘Non dica il mio signore che tutti i giovani, figli del re, sono stati uccisi; solo Amnon è morto; per Absalom era cosa decisa fin dal giorno che Amnon gli violentò sua sorella Tamar”. – 2Sam 13:32.

   Absalom uccise Amnon per vendetta, per quello che aveva fatto a sua sorella. Ora Ionadab, il complice di Amnon, riappare. Era giunta “a Davide la notizia che Absalom aveva ucciso tutti i figli del re” (v. 30), ma Ionadab gli spiega che solo Amnon è morto ammazzato. E sottolinea anche che Absalom l’ha ucciso per lo stupro di Tamar. Ovviamente, non dice nulla della sua parte nella trama da lui stesso ideata per far violentare sua cugina.

Tamar nuora di Giuda (תָּמָר, Tamàr, “palma”)

“I figli di Giuda furono: Er, Onan e Sela; questi tre gli nacquero dalla figlia di Sua, la Cananea. Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi del Signore, e il Signore lo fece morire. Tamar, nuora di Giuda, gli partorì Perez e Zerac. Totale dei figli di Giuda: cinque”. – 1Cron 2:3.

   Tamar, rimasta vedova dopo la morte di suo marito Er, primo figlio di Giuda, fu data in moglie a Onan, altro figlio di Giuda, secondo la legge del levirato (Gn 38:8; cfr. Dt 25:5,6). “Onan, sapendo che quei discendenti non sarebbero stati suoi, quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo d’impedire il concepimento, per non dare discendenti al fratello” (Gn 38:9). Dal nome di Onan deriva il termine “onanismo”, perché Onan utilizzò la pratica anticoncezionale del coitus interruptus per evitare volontariamente il concepimento di figli che non avrebbero potuto portare il suo nome. Secondo la legge del levirato, i figli nati sarebbero stati legalmente del fratello morto (cfr. Gn 38:8,9). L’onanismo è quindi l’atto diretto a impedire la generazione della prole mediante l’uso del coito interrotto. È perciò errato il significato di masturbazione che viene dato a questo termine comunemente, purtroppo anche in ambiente medico-psicologico.

   Morto anche Onan (Gn 38:10), Tamar rimase di nuovo vedova e senza figli. Giuda non le voleva dare il terzo figlio (Gn 38:11), sempre in base alla legge del levirato. Tamar si finse allora prostituta, travestendosi, facendo in modo che Giuda stesso si unisse a lei. Quando Giuda seppe che Tamar era rimasta incinta, dapprima ordinò che venisse lapidata e poi bruciata (cfr. Gs 7:15,25), ma poi, venendo a sapere di essere lui il padre del nascituro, lodò lo stratagemma di sua nuora riconoscendo che lei era stata più giusta di lui (Gn 38:12-30; cfr. Dt 25:7-10). La discendenza che portò a Yeshùa passò per il loro figlio Perez. – Rut 4:12,18-22; 1Cron 2:4; Mt 1:3.

Timna concubina di Elifaz (תִמְנַע, Timnà, “controllata”) Author: Paul S. Taylor.

Timna era la concubina di Elifaz, figlio di Esaù; ella partorì Amalec a Elifaz”. – Gn 36:12.

   Si noti 1Cron 1:36: “I figli di Elifaz furono: Teman, Omar, Sefi, Gatam, Chenaz, Timna e Amalec”. Da questo passo sembrerebbe che Timna fosse figlia e non concubina di Elifaz, sorella e non madre di Amalec. Come si spiega? “L’aggiunta dei due nomi Timna e Amalec in Cronache sembra dunque essere una semplice abbreviazione, che l’autore poteva ben permettersi, dato che la discendenza di Esaù era nota ai lettori dal libro di Genesi. Inoltre, il nome Timna, per la sua forma (femminile), non poteva dar adito all’idea sostenuta da alcuni esegeti moderni che Timna fosse anche un figlio di Elifaz” (C. F. Keil, Commentary on the Old Testament Vol. III, 1 Cronache, 1973, pag. 53). L’elenco riguarda quindi i sei figli di Elifaz, con inserita l’annotazione che Amalec era figlio di Timna, la concubina di Elifaz.

   Secondo alcuni commentatori è la stessa Timna di Gn 36:22, la Timna sorella di Lotan.

Timna sorella di Lotan (תִמְנַע, Timnà, “controllata”)

“I figli di Lotan furono: Cori e Eman; e la sorella di Lotan fu Timna”. – Gn 36:22.

   Questa donna era figlia di Seir il coreo, perciò sorella di Lotan e degli altri figli di Seir (Gn 36:20-22; 1Cron 1:39). Secondo alcuni commentatori è la stessa Timna di Gn 36:12, la Timna concubina di Elifaz.

Tirsa (תִרְצָה, Tirtsàh, “compiacente”)

“Selofead, figlio di Chefer, non ebbe maschi ma soltanto delle figlie; e i nomi delle figlie di Selofead erano: Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa”. – Nm 26:33.  

   Tirsa era la quinta delle cinque figlie di Selofead. Non essendoci figli maschi, l’eredità di Selofead fu divisa fra le cinque figlie. Unica condizione fu che dovevano sposarsi con uomini della loro stessa tribù (Manasse), cosicché l’eredità paterna non si disperdesse in altre tribù. – Nm 36:1-12;26:33;27:1-11; Gs 17:3,4.

   Il cap. 26 di Nm narra del censimento, ordinato da Dio, della popolazione ebraica prima dell’ingresso nella Terra Promessa. Alla sua conclusione è detto: “Questi sono i figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Eleazar fecero il censimento nelle pianure di Moab presso il Giordano di fronte a Gerico. Fra questi non vi era alcuno di quei figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Aaronne avevano fatto il censimento nel deserto del Sinai. Poiché il Signore aveva detto di loro: Certo moriranno nel deserto!” (Nm 26:63-65). Si noti che nella popolazione censita “non vi era alcuno” della vecchia generazione che era stata disubbidiente nel deserto e che non poteva entrare nella Terra Promessa (Nm 14:19; Eb 3:17). Selofead, padre delle cinque ragazze menzionate in Nm 26:33, era discendente di Manasse (Nm 26:29-33) ed era morto durante i 40 anni di peregrinazione nel deserto, ma “non stava in mezzo a coloro che si adunarono contro il Signore” (Nm 27:3). Queste cinque battagliere ragazze si resero conto che senza un fratello maschio che ereditasse, la loro famiglia non avrebbe ricevuto una porzione di terreno. They (not a male representative) went before Moses, the priest and the whole congregation to present their case. “Allora si fecero avanti . . . esse si presentarono davanti a Mosè, davanti al sacerdote Eleazar, davanti ai capi e a tutta la comunità” per presentare il loro caso. – Nm 27:1,2.

   Queste donne ebbero il coraggio di reclamare il loro diritto non solo davanti a Mosè, ma davanti a Dio stesso tramite il sacerdote. “Mosè portò la loro causa davanti al Signore. E il Signore disse a Mosè: ‘Le figlie di Selofead dicono bene. Sì, tu darai loro in eredità una proprietà’”. – Nm 27:5-7. They realized that without a brother to inherit, their family would not receive a portion of land.

   E non solo. La loro causa (vinta) divenne un precedente legale, tanto che Dio fece inserire delle deroghe nella sua Legge, così che “per i figli d’Israele una norma di diritto, come il Signore ha ordinato”. – Nm 27:8-11.

Trifena (Τρύφαινα, Trǘfaina, “delicata”)

“Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore”. – Rm 16:12.

   Nell’inviare i suoi saluti ai credenti di Roma, Paolo non dimentica questa donna, di cui sappiamo solo che si era affaticata “nel Signore”, il che davvero non è poco. Se poi fosse sorella di Trifosa, con cui condivide la derivazione del nome (Tri-), non si sa. Sebbene poi questi due nomi femminili fossero comuni nella casa di Cesare (Flp 4:22), se appartenessero davvero a quella casa non lo sappiamo.

Trifosa (Τρυφῶσα, Trüfòna, “delicata”)

“Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore”. – Rm 16:12.

   Nell’inviare i suoi saluti ai credenti di Roma, Paolo non dimentica questa donna, di cui sappiamo solo che si era affaticata “nel Signore”, il che davvero non è poco. Se poi fosse sorella di Trifena, con cui condivide la derivazione del nome (Tri-), non si sa. Sebbene poi questi due nomi femminili fossero comuni nella casa di Cesare (Flp 4:22), se appartenessero davvero a quella casa non lo sappiamo.