Qual è l’essenza dell’ispirazione? Spesso l’artista vorrebbe dipingere, scolpire, comporre musica, scrivere libri. Ma a volte non ci riesce. Nonostante i suoi sforzi, quelle volte compie delle opere indegne del suo talento, che finisce per distruggere lui stesso. Ma quando d’improvviso gli giunge l’ispirazione, ecco che tutto diviene facile. Scrive, e nascono opere immortali le cui parole scorrono fluenti dalla sua mente. Dipinge, e sorgono capolavori meravigliosi. Costruisce case, e il loro stile si impone per sobrietà, eleganza e linee architettoniche stupende. Sembra che qualcosa di potente lo spinga ad agire. È giunta l’ispirazione, l’estro. In un lampo di genio che sgorga d’improvviso – come nel caso della leggendaria mela di Newton – si concentrano nella mente dello scienziato i vari dati empirici che prima gli riuscivano inspiegabili e nasce così una legge – ad esempio, quella della gravità. Per un’ispirazione, madame Curie intuì che i raggi Röngen possono curare alcune malattie e mostrarci l’interno dell’organismo; Pasteur comprese che la vaccinazione può salvare uomini invasi dagli stessi microbi e che ogni vivente viene da esseri viventi; il barone Joseph Lister intuì dagli studi del Pasteur l’importanza dell’asepsi per impedire alle infezioni postoperatorie di diffondersi pericolosamente. Da dove viene questa illuminazione?
Dal subcosciente. L’idea, lasciata riposare nell’individuo, matura finché esplode con tutta la sua efficacia. Questa ispirazione d’indole naturale si esplica diversamente secondo l’inclinazione e le capacità dell’individuo: spinge un Leonardo a dipingere o a comporre i suoi schizzi per inventare oggetti al suo tempo fantastici; muove un Michelangelo a costruire la cupola di S. Pietro; Dante a comporre la Commedia, poi definita divina. Per compiere i loro capolavori o le loro scoperte, gli artisti o gli scienziati devono usare i mezzi espressivi del loro tempo: la volta per il Buonarroti, i colori deperibili per il Leonardo, le risorse praticamente illimitate del cemento per gli artisti odierni. Nonostante il suo genio, l’artista è pur sempre legato al materiale dell’epoca: il Galileo poté utilizzare il telescopio del suo tempo che vedeva ben poco, anziché quello potente del monte Palomar, già da un pezzo superato dal telescopio spaziale Hubble, per non parlare dei telescopi Alma e Miri.
Vi furono – e vi sono – delle persone che concentrando il proprio pensiero in Dio, riuscirono e riescono a intuire che egli muove l’universo cosmico. Di là delle esperienze sensibili scoprono, con l’occhio del cuore, l’esistenza di un Essere usualmente invisibile all’uomo (il quale è ancorato all’esperienza dei sensi) e invisibile perfino agli stessi teologi della “morte di Dio”. Sono i mistici. Essi intuiscono che “in lui viviamo, ci moviamo, e siamo” (At 17:28). Si possono leggere pagine meravigliose di Giovanni della Croce o di Teresa d’Avila, di G. Tauler o di J. Ruysbroeck che descrivono il cammino di ascesa per mezzo del quale si perviene alla percezione di Dio, ignoto alla maggioranza della gente immersa nel campo puramente terreno e materiale. Si possono leggere il Diario e le Lettere di Etty Hillesum, un’ebrea che sentiva Dio vicinissimo e presente, e commuoversi rivivendo le sue esperienze così toccanti. Da tale contatto con il divino tutta la vita del mistico è mutata perché egli la vive alla luce del Dio da lui intuito. Tuttavia, questo contatto mistico avviene (di solito) in seguito ad uno sforzo personale iniziale ed è pur sempre un tentativo umano di salire a Dio, è un utilizzo dell’occhio interno e più profondo del nostro io per entrare in contatto con il Dio che l’ha creato. Ma la sua esperienza – anche se può presentare molto di vero – è pur sempre congiunta con l’attività umana interiore, è il massimo sforzo umano per salire a Dio e così scoprire il Creatore. È una contemplazione del creato o del proprio essere per scoprirvi l’orma di colui che lo ha fatto:
“Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi”. – At 17:26,27.
“Quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue”. – Rm 1:19,20.
In quest’attività umana si possono anche intromettere molte idee false, poiché è sempre l’essere umano fallibile che tenta di salire a Dio. Molti mistici si trovano in condizioni più felici quando utilizzano la Scrittura nelle loro intuizioni, ma purtroppo non la fanno mai regola assoluta della loro vita, introducendovi pure le idee dell’ambiente in cui vivono. Inoltre, “anche Satana si traveste da angelo di luce” (2Cor 11:14), per cui le intuizioni mistiche possono diventare vere suggestioni diaboliche.
Supponiamo ora, per ipotesi, che un essere invisibile superiore si manifesti in qualche modo ad una persona, le faccia sperimentare il suo amore, le comunichi il suo modo di vedere e di agire. Si tratterebbe di un’esperienza così meravigliosa di cui la persona non riuscirebbe mai a scordarsi e per la quale tutta la sua vita rimarrebbe indelebilmente sconvolta, tutto il suo modo di agire influenzato. Se il contatto con un essere superiore può rivoluzionare una persona, quanto più lo farà il contatto con Dio. Alla luce di quell’esperienza tutte le valutazioni cambiano completamente; quella persona – divenuta ormai profeta – tutto giudica, tutto valuta alla luce dell’esperienza divina da lui goduta. La sua parola mossa da quella comunicazione diviene parola di Dio, poiché esprime non più il suo pensiero, ma il pensiero di Dio: “Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite”. – At 4:20.
“Non posso farne a meno, e guai a me se non annunzio Cristo” (1Cor 9:16, TILC). “Quando mi son detto: «Non penserò più al Signore, non parlerò più in suo nome», ho sentito dentro di me come un fuoco che mi bruciava le ossa: ho cercato di contenerlo ma non ci sono riuscito”. – Ger 20:9.
Da quel momento il profeta vede tutto con gli occhi di Dio e, tutto quanto osserva, è trasformato dalla luce divina che ha sperimentata. Il profeta diviene come un corpo radioattivo che rende radioattive tutte le realtà con cui viene a contatto. Il profeta esprime con oracoli quello che ha goduto, valuta ogni cosa alla luce di quella rivelazione, prevede gli effetti salvifici o distruttivi dell’amore o della giustizia divina. Tutto quanto il profeta compie – sia parlando sia scrivendo – diviene ispirato in quanto deriva necessariamente da quella prima intuizione. Così, dal “mistero” rivelato a Paolo sgorgano le epistole paoline nelle quali, mediante la potenza dello spirito di Dio che viene in lui, egli vede come Dio chiama a salvezza tutti gli uomini, siano essi pagani od ebrei, perché formino una umanità nuova:
“Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo”. – Ef 3:5,6.
Alla luce della gloria di Yeshùa da lui contemplata (Gv 1:14), Giovanni vede il Cristo quale via, verità e vita e comprende che la morte di Yeshùa è la sua “ora”, vale a dire il momento non dell’umiliazione, ma del suo trionfo che esige in contraccambio l’amore riconoscente della persona ravveduta e pronta a sacrificarsi per i propri fratelli: “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. – 1Gv 4:10,11.
L’esperienza (la rivelazione) goduta dagli scrittori sacri (agiografi), è come un filtro attraverso il quale passano tutti gli eventi della storia umana, che appaiono così alla luce dell’amore di Dio onnipotente e giusto.
Alle persone prive di tale esperienza umana gli scrittori sacri possono sembrare degli infatuati, gente dalle idee fisse, ma ciò si avvera solo perché noi manchiamo della loro esperienza spirituale. Essi sono nella verità e noi nell’errore. Essi vedono la realtà vera, noi solo la realtà apparente. L’esperienza è simile a quella del profeta Eliseo e del suo servo:
“Arrivarono di notte e accerchiarono la città. La mattina il servo del profeta Eliseo si alzò, uscì, e vide soldati, carri e cavalli che circondavano la città e gridò a Eliseo: «È spaventoso, maestro! Che cosa possiamo fare?». «Non aver paura», – gli rispose Eliseo – «i nostri difensori sono più numerosi dei loro». Poi si mise a pregare: «Signore, apri gli occhi a quest’uomo, fa’ che possa vedere». Il Signore aprì gli occhi al servo, e lui fu in grado di vedere: le montagne erano piene di carri e cavalli di fuoco, tutt’intorno a Eliseo”. – 2Re 6:14-17, TILC.
È possibile questa ipotesi? È l’esperienza che i profeti dichiarano di aver avuto e non vi è motivo di dubitare della loro sincerità. Mosè fornisce perfino un mezzo per distinguere il vero dal falso profeta: l’attuarsi immancabile di quanto è stato predetto ne mostra la provenienza divina (Dt 18:21 e sgg.). Tanto più che talora questa esperienza annuncia cose sgradite, contrarie all’aspettativa comune, e compare d’improvviso quando il profeta meno ci pensa, quando attende ad altro lavoro, come accadde, per esempio, al bovaro Amos: “Io non sono profeta, né figlio di profeta; sono un mandriano e coltivo i sicomori” (Am 7:14). Se fosse possibile sintetizzare i gradi di queste esperienze e la loro origine, potremmo trarre (sia pure in modo esageratamente schematico) le seguenti conclusioni:
- Il genio trae la sua ispirazione dal proprio subcosciente;
- Il mistico la deduce dal proprio spirito interiore che con la meditazione cerca di risalire a Dio;
- Il profeta deriva la propria ispirazione dallo spirito interiore preso, mosso e illuminato dallo spirito di Dio.
Che l’iniziativa della profezia venga da Dio e non dalle creature era una dottrina ammessa anche dai pagani. Plutarco narra il fatto di una certa Pizia che per assecondare le richieste dei fedeli volle profetizzare senza aver ricevuto la profezia, ma, colta all’istante da terrore, fu tratta moribonda dal suo speco e poco dopo morì. – Plutarco, De Delf. oraculo, 50.
Senza domandarsi qui da dove viene la profezia, è sufficiente richiamare che la profezia (e l’ispirazione) biblica, viene da יהוה (YHVH), il Dio del popolo ebraico, anzi l’unico Dio dell’umanità intera.
Tutto è ispirato
È evidente che il processo successivo all’ispirazione è il medesimo in ogni tipo di ispirazione.
- Nell’ispirazione di un genio, questi agisce con tutto l’entusiasmo di cui il proprio essere è capace, utilizzando i mezzi espressivi e le possibilità culturali dell’epoca per sviluppare concretamente la sua intuizione geniale. Potrà riuscirvi più o meno bene, ma tutta la sua attività resta pur sempre illuminata dal suo genio creativo sia nella letteratura, sia nell’arte plastica o pittorica o architettonica, sia nella musica. Ma tutto ciò rimane pur sempre un’attività puramente umana, poiché è stata mossa da un’ispirazione solo umana.
- Il mistico cerca di riprodurre con termini, con paragoni vari e secondo le possibilità espressive della sua personalità e della sua epoca, l’intuizione di Dio che egli ha ottenuto. Ma anche qui, come vedemmo, è lo spirito umano che agisce, per cui assieme a sprazzi di verità possono intromettersi ombre d’errore. Per questo la Scrittura ci ammonisce di non credere ad ogni spirito. Può, infatti, venire anche da satana, che si ammanta da angelo di luce, come può provenire da supposte visioni umane: “Non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo” (1Gv 4:1). “Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua mente carnale” (Col 2:18). “I profeti parlino […] e gli altri giudichino”. – 1Cor 14:29.
- Anche il profeta, sotto l’impulso del suo essere mosso e illuminato dalla potenza dello spirito santo, si esprime secondo le proprie capacità, secondo le possibilità linguistiche della lingua da lui posseduta e le cognizioni culturali del suo tempo, sia pure alla luce della visione divina e sotto l’impulso divino. Tutto quello che egli compie con la sua attività – predicando o scrivendo –, non è solo sua attività, ma è anche attività divina perché originata dall’impulso della sua esperienza divina. Siccome Dio ha ispirato questo individuo e siccome Dio conosce come questo individuo avrebbe risposto alla sua ispirazione, egli vuole pure l’effetto realizzato da quel profeta, altrimenti ne avrebbe scelto un altro che, in conseguenza di tale esperienza illuminata, avrebbe risposto in modo diverso. Se noi, conoscendo l’effetto di un circuito, v’innestiamo corrente, vogliamo pure indirettamente tutto quello che ne deriva. Se andiamo da un calligrafo che sa scrivere delle pergamene in un dato modo, se andiamo da un pittore per commissionare un quadro (pur sapendo che esso sarà diverso da quello di un altro pittore), è segno che vogliamo una pergamena o un quadro composto così. Se utilizziamo una macchina fotografica che all’istante fa una fotografia, vogliamo logicamente quello che ne verrà fuori; altrimenti andremmo da un artista che ci procurerebbe un’opera artistica. Dio, ispirando una persona che, per il suo ambiente e secondo le proprie capacità, risponderà in un dato modo, vuole pure l’opera così come avverrà, comprese le stesse parole da lui usate. Anche queste sono la logica conseguenza dell’ispirazione a lui concessa. Non vi può essere un’idea senza parole, ma la stessa idea psicologicamente si colora con determinate parole corrispondenti alla capacità dell’autore ispirato. Alla luce della psicologia odierna non si può parlare d’ispirazione soltanto delle idee, come sosteneva il Lessio (nelle sue Theses Theologicae del 1586, condannate dalla Chiesa Cattolica il 9 settembre 1587), e nemmeno di un’ispirazione verbale diretta, come voleva D. Bañez (morto nel 1604; In primam partem Summae Theologicae q. 1 n. 8). Lo stesso concetto fu sostenuto dal Suarez e dal Billuard (Suarez, De Fide, disp. 5, 3; Charles René Billuard, morto nel 1757, Summa S. Thomae hodiernis Acaderniarum moribus accomodata, De Virtutibus theol., De regulis fidei diss. I ad 2, Liegi. 1740-1751, in 19 volumi è tutta la Somma). Non si tratta qui d’ispirazione verbale diretta, ma solo di una comunicazione divina che automaticamente si riveste di idee e di parole secondo le capacità individuali (ispirazione indiretta). Che le capacità e le caratteristiche individuali caratterizzino gli scritti ispirati è dimostrato dagli scritti stessi: dall’ebraico semplice e rozzo a quello elegantissimamente poetico (nelle Scritture Ebraiche), dal greco popolano e povero a quello molto colto e raffinato (nelle Scritture Greche).
È ispirato tutto il libro? Sì, tutto il processo con cui l’autore s’esprime è ispirato, poiché vibra alla luce della rivelazione o della intuizione primordiale che l’autore ricevette da Dio in un’esperienza spirituale indimenticabile. Il libro è ispirato perché raccoglie ed esprime queste esperienze divine, non perché fu direttamente dettato o curato da Dio, sia pure con il concorso umano. L’uomo agisce per conto suo – forse il redattore non fu nemmeno ispirato nel raccogliere gli scritti o i detti profetici – ma il suo libro lo è perché contiene il messaggio profetico. Anche Luca fece delle ricerche personali sia per il suo Vangelo sia per gli Atti, ma il suo libro è ispirato sia perché questa ricerca fu compiuta alla luce dell’intuizione divina a lui comunicata che guidò così tutto il suo lavoro (Vangelo-Atti), sia perché raccolse il messaggio degli apostoli ispirati, codificato nella loro tradizione orale.
Le indicazioni precedenti sono solo un tentativo di chiarire il fenomeno ispirativo della Bibbia. Quello che conta è la realtà dell’ispirazione divina attestata dalla Bibbia; il resto è pura ipotesi umana che è sempre infinitamente al di sotto della realtà.