Dobbiamo partire dai singoli concetti, espressi dalle parole ebraiche, che indicano le membra del corpo umano e il suo aspetto nell’insieme. Avremo così un vocabolario dell’antropologia biblica.

   Il comune lettore della Bibbia si trova con frequenza di fronte a parole come “cuore”, “anima”, “carne”, “spirito”. È molto facile che il lettore cada in malintesi. Il danno è che questi malintesi sono poi carichi di conseguenze nefaste per la comprensione della Scrittura. Tali malintesi possono essere fatti risalire alla traduzione della Bibbia ebraica nel greco dei LXX. Non siamo certi che la filosofia greca abbia avuto un ruolo nello stravolgere la concezione biblico-semitica, ma il dubbio rimane. Fatto sta che la LXX fece deviare su un’antropologia dicotomica o addirittura tricotomica (la divisione di un’unità in due o tre parti). Ciò portò al concepire che il corpo, l’anima e lo spirito siano in contrasto tra loro.

   Se vogliamo davvero capire la Bibbia, dobbiamo tornare al modo semitico di concepire e di pensare. E, prima di tutto, dobbiamo aver ben chiare due cose che hanno un’importanza fondamentale.

     1. Parole intercambiabili. Parole come cuore, anima, carne, spirito (ma perfino orecchio, bocca, mano e braccio) sono nella poesia ebraica spesso intercambiabili. Nel noto parallelismo ebraico questi termini stanno ad indicare, mutevolmente, quasi un pronome per tutto l’essere umano.

“L’anima mia langue e vien meno,

sospirando i cortili del Signore;

il mio cuore e la mia carne

mandano grida di gioia al Dio vivente”. – Sl 84:2.

   Qui “anima”, “cuore” e “carne” sono aspetti diversi di un unico soggetto: il salmista. Le membra umane possono venire staccate senza che ci sia frattura dal pronome che le rappresenta. Nel passo che segue sia il “cuore” che l’“anima” indicano una stessa persona:

“Quando la sapienza sarà entrata nel tuo cuore e la conoscenza stessa sarà divenuta piacevole alla tua medesima anima, la stessa capacità di pensare veglierà su di te, il discernimento stesso ti salvaguarderà”. – Pr 2:10,11, TNM.

     Si noti come stanno in parallelo:

“Abbi pietà di me, o Signore, perché sono sfinito;

risanami, o Signore, perché le mie ossa son tutte tremanti.

Anche l’anima mia è tutta tremante;

e tu, o Signore, fino a quando?…”. – Sl 6:2,3.

io sono sfinitoiole mie ossa tremo

iola mia anima tremo

In pratica, nel modo di esprimersi ebraico, si nomina un organo caratteristico dell’uomo per descrivere l’uomo tutto intero:

“Il cuore dell’uomo intelligente acquista la scienza,

e l’orecchio dei saggi la cerca”. – Pr 18:15.

     2. Pensiero sintetico. Nella veduta d’insieme delle membra e degli organi del corpo umano per indicare l’uomo stesso si fa riferimento anche alla singola capacità o attività. In pratica: nominando una parte del corpo s’intende richiamarsi alla sua funzione. Vediamo un esempio:

“Quanto sono belli, sui monti,

i piedi del messaggero di buone notizie”. – Is 52:7.

   Qui non si vuole cantare la bellezza estetica dei piedi. Si vuole dire che il rapido movimento dei piedi del messaggero è bello. Tradotto in pensiero occidentale è come se si dicesse: Il messaggero si affretti sui monti! L’ebreo dice “piedi” ma pensa all’avvicinarsi di corsa. In Gdc 7:2 Dio espone a Gedeone il timore che Israele si esaltasse per una vittoria militare; l’occidentale attribuirebbe ad Israele queste parole: ‘Ci siamo salvati con la nostra forza’, ma la Bibbia dice: “È stata la mia mano a salvarmi”. Naturalmente qui s’intende la propria energia o forza: il membro e il suo agire efficace sono visti insieme. Ma l’ebreo nomina una parte del corpo per alludere alla sua capacità. Così, con un vocabolario relativamente piccolo, esprime una quantità di sottigliezze.

     Dobbiamo tenere a mente questi due fattori del linguaggio antropologico biblico per capire tutta la ricchezza di significato delle parole che nella Bibbia descrivono l’uomo. Vedremo anche come le traduzioni conducono spesso fatalmente in errore, lasciandosi sfuggire qualche particolare sull’uomo.