In Mal 1:1, nella traduzione italiana, si legge: “Oracolo, parola del Signore, rivolta a Israele per mezzo di Malachia”. Con lo stesso senso, in TNM si legge: “Dichiarazione solenne: La parola di Geova riguardo a Israele per mezzo di Malachia”. Chi legge capisce che una profezia proveniente da Dio fu rivolta ad Israele tramite un profeta di nome Malachia. Non è così? No. La Bibbia non dice così? No. Lo dicono le traduzioni, non la Scrittura. Nella Bibbia la frase iniziale è questa:

מַשָּׂא דְבַר־יְהוָה אֶל־יִשְׂרָאֵל בְּיַד מַלְאָכִי

masà dvàr-Yhvh el-Ysraèl beyàd malachìy

oracolo parola-Yhvh a-Israele tramite malachìy

   Malachìy (מַלְאָכִי), come nome proprio, non esiste in tutta la Bibbia. La parola ebraica è composta da מלאך (malàch) più י (y). Malàch significa “messaggero” (“angelo”) e y è il suffisso che indica “mio”. La traduzione esatta è dunque: “Oracolo, parola di Yhvh ad Israele per mezzo del mio messaggero” o – se si preferisce – “per mezzo del mio angelo”.

   Che sia proprio così è confermato anche dalla traduzione greca della LXX che tradusse l’ebraico in questo modo:

Λῆμμα λόγου κυρίου ἐπὶ τὸν Ισραηλ ἐν χειρὶ ἀγγέλου αὐτοῦ

Lèmma lògu kürìu epì ton Israel en cheirì anghèlu autù

Oracolo di parola di Signore per l’Israele per mezzo di messaggero di lui

   Il Targùm (che è una traduzione parafrasata delle Scritture Ebraiche in aramaico) dichiara che malachìy sta a indicare lo scriba Esdra. Quindi malachìy non era ritenuto un nome proprio.

   È facile che malachìy sia tratto da Mal 3:1 dove ricorre come nome comune e non come nome proprio: “Ecco, io vi mando il mio messaggero”. Si noti che il testo ebraico dice: מַלְאָכִי (malachìy), esattamente come in Mal 1:1. “Ecco, vi mando malachìy”, “ecco, vi mando il mio messaggero”. Per essere coerenti, le Bibbie italiane dovrebbero tradurre anche qui: ‘Ecco, vi mando Malachia’, il che sarebbe assurdo. Ma se è assurdo qui, è assurdo anche in Mal 1:1. È come se traducessimo Mal 1:1 con “Oracolo, parola del Signore, rivolta a Israele per mezzo di Mio Angelo”, intendendo “Mio Angelo” come nome proprio di un profeta.

Analisi del libro

   Il libro contiene un solo discorso che è possibile dividere in tre parti:

  1. (1:1-2-9). Dopo una breve introduzione, l’autore rimprovera i sacerdoti perché offrono animali difettosi e trascurano il loro dovere. Per questo saranno puniti.
  2. (2:10-16). Tutto il popolo è biasimato per i matrimoni misti con donne straniere e per i divorzi dalle israelite.
  3. (2:17-4:6). Yhvh manderà il suo messaggero (malàch) per preparare la sua via. Questi entrerà nel suo tempio, purificherà i leviti e infine tutto il popolo. I mali presenti (cavallette, siccità, scarso raccolto) cesseranno appena le decime verranno consegnate in modo giusto (Mal 3:6-12). Nel giorno ardente della divina punizione si vedrà la differenza tra i giusti e gli empi. Mentre per i primi si leverà “il sole della giustizia”, gli ultimi saranno distrutti (Mal 3:13-21). Ma prima di quel terribile giorno apparirà il profeta Elia con un ministero di pace. – Mal 4:1-6.

Data e caratteristica

   Il libro fu scritto in epoca postesilica, quando il paese era una provincia persiana (“Presentala dunque al tuo governatore!”, Mal 1:8) e il Tempio era stato riedificato (“Ci fosse almeno qualcuno di voi che chiudesse le porte!”, Mal 1:10). Gli abusi che vengono denunciati sono quelli combattuti da Esdra e da Neemia: “Hanno preso le loro figlie come mogli per sé e per i propri figli e hanno mescolato la stirpe santa con i popoli di questi paesi” (Esd 9:2; cfr Nee 13). Il libro risale quindi a circa il 450 a. E. V..

   Lo stile è più prosaico di quello degli altri profeti e si svolge in forma dialogica. L’età dello scritto spiega anche l’importanza data agli atti esteriori del culto. L’autore però non è un puro liturgista, poiché egli vede nelle cerimonie una manifestazione di spiritualità. Egli sente il bisogno di purificare il culto che si celebrava nel nuovo Tempio. Piuttosto che continuare così, è meglio chiudere le porte del Tempio: “’Ci fosse almeno qualcuno di voi che chiudesse le porte! Così non accendereste invano il fuoco sul mio altare! Io non prendo alcun piacere in voi’, dice il Signore degli eserciti, ‘e non gradisco le offerte delle vostre mani’” (Mal 1:10). “Fareste meglio a chiudere le porte del tempio: così non andreste più ad accendere inutilmente il fuoco sul mio altare. Non sono per niente soddisfatto di vedervi e non gradisco le vostre offerte” (PdS). TNM prende lucciole per lanterne e traduce con un non senso: “’Chi è inoltre fra voi che chiuderà le porte? E non accenderete il mio altare, per nulla. Non ho in voi alcun diletto’, ha detto Geova degli eserciti, ‘e non mi compiaccio dell’offerta di dono dalla vostra mano’”. Cosa vuol dire: “Chi è inoltre fra voi che chiuderà le porte?” (TNM). Sembra quasi che ci si preoccupi di sapere chi farà il portinaio. È un non senso, come – tradotto così – il resto della frase.

   I pagani magnificano meglio il nome di Dio, mente Israele lo profana con un culto sleale: “’Dall’oriente all’occidente il mio nome è grande fra le nazioni; in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure; perché grande è il mio nome fra le nazioni’, dice il Signore degli eserciti. ‘Voi però lo profanate’” (Mal 1:11,12). TNM sembra non capire il senso del testo e pone al futuro (“Il mio nome sarà grande fra le nazioni, e in ogni luogo si farà fumo di sacrificio, si farà una presentazione al mio nome”, TNM) ciò che amaramente è attribuito ai pagani.

   Dio manderà il suo messaggero (“angelo”) del patto (Mal 3:1) che preparerà la via di Dio, entrerà nel Tempio e lo purificherà con “il fuoco del fonditore” e con “la potassa dei lavatori di panni” (Mal 3:2). Allora sì che l’offerta diverrà gradevole: “Li raffinerà come si fa dell’oro e dell’argento; ed essi offriranno al Signore offerte giuste” (3:3). Israele sarà grande fra le nazioni (3:6-12) e i giusti saranno particolarmente cari a Yhvh, che possiede “un libro di memorie” . – Mal 3:16-18, TNM.

   Riguardo al passo di Mal 1:10-12 occorre chiarirne l’interpretazione.

“’Ci fosse almeno qualcuno di voi che chiudesse le porte!

Così non accendereste invano il fuoco sul mio altare!

Io non prendo alcun piacere in voi’, dice il Signore degli eserciti,

‘e non gradisco le offerte delle vostre mani.

Ma dall’oriente all’occidente

il mio nome è grande fra le nazioni;

in ogni luogo si brucia incenso al mio nome

e si fanno offerte pure;

perché grande è il mio nome fra le nazioni’,

dice il Signore degli eserciti.

’Voi però lo profanate

quando dite: La tavola del Signore è contaminata,

e ciò che dà come cibo è spregevole’”.

   Lo studioso Lods così l’interpretava: “In una diatriba indignata contro i preti negligenti, [l’autore di Malachia] ha l’ardire de declarer que Yahvé est honoré par le culte qui lui est offert dans l’univers entier beaucoup mieux que par celui qui est célébré dans le temple di Jérusalem”. – Les Phrophètes d’Israel, Paris, pagg. 313 e sgg..

   Questa interpretazione era già stata confutata dal Lagrange (Revue Biblique 1906) così:

  • “I moderni fan dire a Malachia o a Dio: Io non ho bisogno dei vostri doni, perché nell’immensità del mondo dove pare si immoli ai falsi dèi, in realtà è a me che si offrono sacrifici. Che si dica Ormuz, Zeus od Osiride, è in mio nome che si sacrifica. Malachia sarebbe il primo e il più tollerante dei sincretismi. Quest’opinione domina nella critica indipendente. L’idea di Malachia si risolverebbe in quest’assurdità: Le nazioni onorano il mio nome perché esse mi onorano in realtà sotto altri nomi; meglio vale offrire una vittima a Zeus che offrire a Yahvé una vittima imperfetta, non perché questa testimonia un cuore puro, ma perché è Yahvé che le nazioni pretendono adorare sotto il nome di Zeus”.
  • “Non è necessario dire che non si trova nulla in tutta la letteratura giudaica che assomigli a questo lassismo. È assolutamente contrario non solo allo spirito di questa letteratura, ma ancor di più a quello del profeta. È un’abominazione come unirsi a una donna straniera, figlia di un dio straniero (2:11)”.

   Tuttavia, l’ipotesi del Lods non è così assurda. Certo non nei termini del Lagrange. Infatti, non sarebbe possibile pensare che qui si alluda al culto rivolto al Dio dei cieli, così diffuso nel grande regno persiano, e la cui espressione fu pure accolta in epoca postesilica dagli ebrei? Non sarebbe questo un modo per asserire che anche i pagani, sacrificando al Dio dei cieli, di fatto – e meglio degli ebrei – sacrificavano allo stesso Dio di Israele?

   Vero è che Paolo disse: “Io dico che le carni che i pagani sacrificano, le sacrificano ai demòni e non a Dio” (1Cor 10:20). Ma lo stesso Paolo disse agli ateniesi: “Passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra” (At 17:23,24). E aggiunse che Dio ha concesso all’umanità di cercarlo, “se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: ‘Poiché siamo anche sua discendenza’” (vv. 27,28). “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano”. – V. 30.