Prendiamo ora in considerazione le collezioni anteriori dei Salmi. Prima della sistemazione definitiva, che abbiamo esaminato nello studio precedente, dovettero sussistere delle collezioni particolari fatte in base all’autore e all’indole dei Salmi.

 

Secondo l’autore

Secondo l’uso

Sl 3-41Il v. 1 di ciascun Salmo (eccettuati i Sl 10 e 33) riporta: “Salmo di Davide”. Sl 120-134Il v. 1 di ciascun Salmo riporta: “Canto dei pellegrinaggi”. Erano Salmi che venivano cantati salendo al Tempio di Gerusalemme durante i tre pellegrinaggi annuali obbligatori (Es 23:14-17): il 1° per la Pasqua e i Pani Non Lievitati, dal 15 al 21 nissàn; il 2° per la Pentecoste, nel mese di sivàn; il 3° per la Festa delle Capanne, dal 15 al 21 tishrì. La Vulgata ha “Canticum graduum”: “Canto dei gradini [che si salivano per andare al Tempio]” (Cfr. 2Re 20:9-11): più correttamente, TNM ha “canto delle ascese”.
Sl 42-49;Il v. 1 di ciascun Salmo (eccettuato il Sl 43) riporta: “Cantico dei figli di Core” o “Dei figli di Core”.
Sl 73-83 Il v. 1 di ciascun Salmo riporta: “Salmo di Asaf” o “Cantico di Asaf”.

   Collezioni in base all’autore. I titoli dei Salmi ne attribuiscono 73 a Davide, per cui spesso l’intera raccolta viene detta “davidica”; 12 sono attribuiti ad Asaf; 11 agli figli di Core; 3 a Salomone; 1 a Eman; 1 a Mosè. Generalmente il nome è preceduto da una “elle” (ל, l): è il làmed (ל), la lettera “l” dell’alfabeto ebraico. Per fare un esempio: לְדָוִד (ledavìd), “di Davide”, in Sl 3:1. Questa lettera “elle” è chiamata làmed auctoris, “elle dell’autore”.

   Collezioni in base al carattere musicale del carme. Sono date istruzioni di carattere musicale. “Per strumenti a corda” (Sl 4:1;6:1); “Per strumenti a fiato [ebraico נְּחִילֹות (nekhilòt), probabilmente flauti]” (Sl 5:1). In Sl 8:1 NR ha “sulla Ghittea” e TNM ha “su Ghittit”; l’ebraico ha גִּתִּית (ghitìt): probabilmente “su[ll’arpa] della Ghittea [ossia di Gat]”.

   Il tono musicale è indicato con l’“ottava”. “Su ottava” (Sl 6:1;12:1), in cui la parola ebraica sheminìt (שְּׁמִינִית) potrebbe indicare l’“ottava inferiore”: i due Salmi 6 e 12 sono malinconici e richiedono un accompagnamento di tono triste, basso. “Per voci di soprano” o “voci di ragazza [עֲלָמֹות (alamòt); cfr. 1Cron 15:20]” (Sl 46:1), viceversa, richiede un registro più alto perché si tratta di un Salmo gioioso.

   Le melodie su cui il Salmo si doveva cantare sono varie: sull’aria “Non distruggere” (Sl 57:1); sull’aria “Cerva dell’aurora” (Sl 22:1); sull’aria “Colomba dei terebinti lontani” (Sl 56:1); sull’aria “Muori per il figlio” (Sl 9:1);  sull’aria “Il giglio della testimonianza”. – Sl 60:1.

   La pausa nel canto è indicata con il termine sèlah (סֶלָה). Si tratta di un silenzio quasi mistico (Filone, De vita contemplativa 6,68-71). Questa pausa la ritroviamo anche in Ab 3:3,9,13 (cfr. Nee 12:27-44). In Sl 9:16, NR la traduce “interludio / pausa”, che nell’ebraico (qui al v. 17) è הִגָּיֹון סֶלָה (higayòn sèlah): potrebbe indicare un arpeggio basso, solenne; un interludio o una pausa solenne per favorire la meditazione. Riportiamo, al riguardo, un’interessante nota del Luzzi, il traduttore della Versione Riveduta:

“Tutti s’accordano nel ritenerlo [il termine ebraico sèlah] un termine tecnico relativo in qualche modo all’esecuzione del Salmo. Però, siccome la parola è di derivazione incerta, non è facile determinarne il significato preciso. Chi l’ha tradotta per daccapo, chi per pausa. I LXX, che potrebbero qui aver seguito una tradizione autentica, la rendono con interludio strumentale (diapsalma [διάψαλμα, diàpsalma]) durante gli intervalli del canto, per cambiare il tono della musica o del Salmo nelle sue vaie parti. Una tradizione palestinese la interpreta per sempre (S. Girolamo, semper). Altri la ritengono un segno inteso ad indicare l’abbreviazione di un salmo nell’uso liturgico: il luogo dove il salmo avrebbe potuto finire col canto della benedizione. Questo spiegherebbe la tradizione alessandrina che interpretava il Selah per interludio, e la tradizione palestinese che lo interpretava per sempre. Le due tradizioni dicevano, in conclusione, la stessa cosa, soltanto in modo diverso. L’interludio avrebbe indicato il luogo dove la benedizione finale poteva essere cantata, se si voleva accorciare il Salmo. Il sempre (ora e sempre, in eterno) era l’ultima parola della benedizione, che sarebbe stata posta lì come un’abbreviatura della benedizione stessa, la quale avrebbe dovuto essere cantata a cotesto punto”. – Giovanni Luzzi, I Salmi, pag. 31.

Genere letterario dei Salmi

   Alcuni Salmi sono detti semplicemente “cantici” (Sl 30:1: “Cantico”, ebraico מִזְמֹור, mismòr). Altri “canti” (Sl 45:1: “canto”, CEI e TNM, ebraico שִׁיר, shyr). Altri “lode”: (Sl 145:1: “lode”, TNM, ebraico תְּהִלָּה, tehilàh).

   Altri titoli sono del tutto incomprensibili:

 

Titoli incomprensibili di alcuni Salmi

Salmi

Titolo

Note

16, 56-60

מִכְתָּם

michtàm

Forse: “poema d’oro”. Il termine potrebbe indicare che i salmi sono degli epigrammi (componimenti concettosi e arguti).

32, 42, 44, 45, 52, 53, 54, 55, 74, 78, 88, 89, 142

מַשְׂכִּיל

maskìl

“Poema didattico”? “Con arte”? In 1Sam 18:14,15; 2Cron 30:22 e Sl 41:1;53:2 un termine analogo indica la perspicacia. Dato il suo significato incerto, in molte versioni il termine non viene tradotto.

7

שִׁגָּיֹון

shigayòn

Potrebbe riferirsi a un canto molto emotivo, con rapidi cambiamenti di ritmo (in Ab 3:1 è al plurale). “Salmo di penitenza”? LXX e Vg hanno: “Salmo”.

   L’uso liturgico si trova in pochi Salmi.

   Si trova in quelli “dei pellegrinaggi” a Gerusalemme durante le tre Feste annuali che richiedevano di presentarsi al Tempio (Es 23:14-17). Si tratta dei Sl 120-134. Come abbiamo già osservato più sopra, il primo pellegrinaggio era per la Pasqua e i Pani Non Lievitati (dal 15 al 21 nissàn), il secondo per la Pentecoste (nel mese di sivàn, sempre una domenica da calcolarsi con un conteggio che la Bibbia indica in Lv 23:15,16), il terzo era per la Festa delle Capanne (dal 15 al 21 tishrì). La Vulgata li chiama “Canticum graduum”: “Canto dei gradini [che si salivano per andare al Tempio]” (Cfr. 2Re 20:9-11). CEI traduce con “canto delle ascensioni”, TNM con “canto delle ascese”. Queste ultime due traduzioni sono più corrette, perché l’ebraico ha שִׁיר הַמַּעֲלֹות (shyr hamaalòt): “canto [del]le salite”. Secondo la tradizione ebraica (Mishnàh, Middoth 2:5) questi 15 Salmi venivano cantati dai leviti mentre salivano i 15 gradini che separavano il Cortile delle donne dal Cortile di Israele nel Tempio di Gerusalemme. Molti studiosi moderni scartano però questa ipotesi. Alcuni studiosi ipotizzano che l’espressione shyr hamaalòt si riferisca al contenuto elevato di questi Salmi. Noi scartiamo anche questa ipotesi: questi Salmi non sono superiori agli altri Salmi ispirati. Molto probabilmente il titolo deriva dal fatto che questi Salmi venivano cantati dagli israeliti quando si recavano al Tempio salendo a Gerusalemme, che è sui monti della Giudea, a più di 700 m sul livello del mare (Dt 12:5-7;16:16; Sl 42:4; Is 30:29). Il termine maalàh (singolare di maalòt) è usato anche in Esd 7:9 a proposito degli israeliti che dopo l’esilio salirono dalla Babilonia a Gerusalemme.

   Un uso liturgico è indicato anche in Sl 30:1: “Cantico per l’inaugurazione della casa [il Tempio]”. Altro uso liturgico è indicato in 92:1: “Canto per il giorno del sabato”.

   L’espressione, sempre liturgica, di Sl 70:1 – “Per far ricordare [לְהַזְכִּיר, (lehaskìyr)]” – si riferisce al sacrificio offerto a Dio per propiziarsi il “ricordo” di Dio (ovvero l’aiuto di Dio, pregandolo di ricordarsi del fedele): “La porterà [l’oblazione] ai sacerdoti figli d’Aaronne; il sacerdote prenderà una manciata piena del fior di farina spruzzato d’olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo” (Lv 2:2); qui non è “in ricordanza”, come traduce TNM, ma “per far ricordare” (אַזְכָּרָתָהּ, askaratàh). Infatti, TNM traduce bene il titolo del Sl 70: “Per far ricordare”.

   Le circostanze storiche in cui furono composti sono indicate in alcuni Salmi. Il Sl 18 ha nel titolo: “Di Davide, servo del Signore, il quale rivolse al Signore le parole di questo cantico, quando il Signore lo liberò dalla mano di Saul”. Il Sl 60 è connesso alla guerra siro-ammonita, e reca nel titolo: “Inno di Davide, da insegnare; quand’egli mosse guerra ai Siri di Mesopotamia e ai Siri di Soba, e Ioab tornò, e sconfisse dodicimila Idumei nella valle del Sale”. Il Sl 3 è connesso con la fuga di Davide al tempo della ribellione di Absalom: “Salmo di Davide, composto quand’egli fuggiva davanti ad Absalom, suo figlio” (titolo). Il Sl 51 reca nel titolo: “Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui, dopo che Davide era stato da Batsceba”. Il Sl 59 è collegato alla circostanza in cui Saul fece circondare la casa di Davide per ucciderlo: “Inno di Davide, quando Saul mandò uomini a sorvegliar la casa per ucciderlo” (titolo).

   Alcuni titoli sono antichissimi: lo dimostra il fatto che i traduttori della LXX, nel 3° secolo a. E. V., già non erano più in grado di capirne alcuni. Per fare un esempio, il titolo di Sl 5 – che viene tradotto “per strumenti a fiato” da NR e “per Neilot” da TNM – è nell’ebraico אֶל־הַנְּחִילֹות (el-hanekhiylòt), ed indica probabilmente i flauti; per la LXX diventa ὑπὲρ τῆς κληρονομούσης (üpèr tes kleronomùses): “Per colei che eredita”.

   Va detto che i titoli dei Salmi non furono scritti dagli autori dei Salmi: ciò significa che non sono ispirati. La dimostrazione sta nel fatto che molti titoli, sia per ragioni linguistiche (stile e lingua) che per il contenuto, vanno posti in epoca posteriore a quella a cui il titolo li farebbe risalire.

Autori dei Salmi

   Dato che molti Salmi furono attribuiti dalla tradizione ebraica a Davide, ne venne che non di rado tutto il Salterio fu chiamato “davidico” a motivo del suo autore principale. Fuorviati da tale intestazione davidica, alcuni scrittori ecclesiastici antichi ritennero erroneamente che Davide fosse l’autore di quasi tutti i Salmi. Per reazione, altri studiosi moderni hanno negato che Davide abbia composto anche un solo salmo. La verità sta in mezzo: Davide scrisse dei salmi (era un poeta e si dilettava nel culto liturgico, questo è indubbio) e meritò il nome di “dolce cantore di Israele” (bruttissima la traduzione di TNM: “Il piacevole delle melodie d’Israele”):

 

“Queste sono le ultime parole di Davide:

‘Parola di Davide, figlio d’Isai,

parola dell’uomo che fu elevato ad alta dignità,

dell’unto del Dio di Giacobbe,

del dolce cantore d’Israele’”. – 2Sam 23:1.

 

   Dell’abilità musicale di Davide si fa menzione in Am 6:5: “Inventano strumenti musicali come Davide”. Sempre di lui è detto: “Sa sonare . . . quando il cattivo spirito permesso da Dio veniva su Saul, Davide prendeva l’arpa e si metteva a sonare; Saul si calmava, stava meglio e il cattivo spirito andava via da lui” (1Sam 16:18-23, passim). “Davide sonava l’arpa, come faceva tutti i giorni” (1Sam 18:10). In quanto al suo interesse liturgico si legga Nee 12:24: “I capi dei Leviti . . . per lodare e celebrare il Signore, secondo l’ordine di Davide, uomo di Dio, per gruppi, secondo il loro turno” (cfr. v. 36); e anche 1Cron 16:2-4: “Quando Davide ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici . . . stabilì davanti all’arca del Signore alcuni dei Leviti per fare il servizio, per invocare, celebrare e lodare il Signore, Dio d’Israele”.

     A dimostrazione che diversi salmi sono davvero di Davide abbiamo anche la testimonianza delle Scritture Greche:

 

Passo

Riferimento

At 4:25

“Mediante lo Spirito Santo ha detto per bocca del tuo servo Davide”

Sl 2

At 2:25

“Davide dice”

Sl 16

At 13:35

“Egli [Davide] dice”

Rm 4:6

“Davide proclama”

Sl 32

At 1:16

“La profezia della Scrittura pronunziata dallo Spirito Santo per bocca di Davide”

Sl 41

Sl 55

At 2:34

“Davide . . . egli stesso dice”

Sl 110

 

   Per essere obiettivi, va detto che tali citazioni non sono decisive per stabilire l’autore dei Salmi citati: gli apostoli per citare i Salmi dovevano per forza seguire l’uso comune (anche noi, parlando dell’Iliade e dell’Odissea, ci riferiamo ad Omero senza per questo difendere l’idea che egli sia stato davvero l’autore di tali poemi). Tuttavia, le affermazioni delle Scritture Greche hanno certamente un grande peso.

   Nei Salmi attribuiti a Davide non vi sono ostacoli interni al testo alla loro attribuzione davidica. Si deve poi ricordare che dei Salmi originariamente davidici possono essere stati modificati e adattati ai bisogni del tempo per ragioni liturgiche quando venivano cantati in occasione di calamità nazionali. Questa revisione di un testo per accordarlo con le nuove esigenze si chiama “rilettura”. Abbiamo esempi di rilettura nella stessa Bibbia. Mic 5:2 afferma: “Tu, o Betleem Efrata, quella troppo piccola per essere fra le migliaia di Giuda” (TNM), e Matteo rilegge esattamente il contrario: “E tu, Betleem del paese di Giuda, non sei affatto la [città] più insignificante fra i governatori di Giuda” (Mt 2:6, TNM). Esempi di riletture ce ne sono diversi. Paolo stesso rilegge brani delle Scritture Ebraiche: delle 82 citazioni che egli fa, 36 si discostano dal testo citato, 12 evidenziano notevoli cambiamenti di significato e le restanti sono parafrasi assai libere che spesso non corrispondono al testo originale citato. Un esempio per tutti è Gal 3:16: “Le promesse furono dichiarate ad Abraamo e al suo seme. [La Scrittura] non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo” (TNM). “E al tuo seme” rimanda a Gn 22:17,18: “Di sicuro moltiplicherò il tuo seme come le stelle dei cieli e come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare; e il tuo seme prenderà possesso della porta dei suoi nemici. E per mezzo del tuo seme tutte le nazioni della terra certamente si benediranno” (TNM). Paolo, da buon israelita (Rm 11:1) conosce benissimo il significato biblico di “seme” (זרע, zerà) e sa che si riferisce alla stirpe in senso collettivo e non ad un singolo. Del resto, è chiaro anche dal contesto genesiaco: il “seme” viene moltiplicato fino ad essere “come le stelle dei cieli” ed è il “mese” che “prenderà possesso della porta dei suoi nemici” (espressione questa che non può riferirsi ad Isacco come “seme”, ma a tutta Israele). Che “seme” vada inteso in senso collettivo non solo Paolo lo sa, ma lo indica: “Anch’io sono israelita, del seme [ἐκ σπέρματος, (ek spèrmatos), “da[l] seme”; la stessa parola da lui usata in Gal 3:16] d’Abraamo” (Rm 11:1, TNM). Non ci sono dubbi: il “seme” in senso biblico è tutta la discendenza. Eppure lui rilegge al singolare un nome che è collettivo: “[La Scrittura] non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo” (Gal 3:16, TNM). Questo modo di rileggere può scandalizzare solo i religiosi occidentali. L’ebreo non si scandalizzava e, infatti, non abbiamo documentata nessuna contestazione da parte dei giudei così nemici di Yeshùa e di Paolo. Paolo non era forse ispirato? Sì, ed gli rilegge alla luce dello spirito santo. Si noti come CEI evita accuratamente la parola “seme” (forse per sviare dal significato biblico di “seme”, che è collettivo? Il dubbio viene): “Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le promesse. Non dice la Scrittura: ‘e ai tuoi discendenti’, come se si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo” (il corsivo appartiene al testo della CEI).

   Nelle stranezze da cui spesso sono presi certi studiosi va annoverata la moda sorta nella prima metà del 20° secolo di attribuire la composizione di gran parte dei Salmi all’epoca maccabeica e postmaccabeica (2° secolo a. E. V.). Fortemente fu poi rivalutata l’antichità dei Salmi. Eppure bastava poco per scartare quella fantasiosa ipotesi: bastava notare che gran parte dei titoli dei Salmi risultavano incomprensibili ai traduttori della LXX, segno che erano così antichi che neppure li capivano più. Se poi vogliamo indagare da veri studiosi, si deve notare che il prologo del libro apocrifo di Siracide, composto verso il 130 a. E. V., già parla di διὰ τοῦ νόμου καὶ τῶν προφητῶν καὶ τῶν ἄλλων τῶν κατ’ αὐτοὺς ἠκολουθηκότων (dià tu nòmu kài ton profetòn kài ton àllon ton kat’autùs ekoluthekòton; Sisarcide 1:1, LXX), ovvero di Legge, Profeti e Agiografi; segno che il canone ebraico delle Scritture era già ben definito. Se poi vogliamo andare più a fondo, si legga l’apocrifo 1Maccabei in 7:16,17: “Proprio secondo la parola che sta scritta: ‘Le carni dei tuoi santi e il loro sangue hanno sparso intorno a Gerusalemme e nessuno li seppelliva’”; si noti bene che la citazione è tratta da un Salmo: “Hanno dato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi santi alle bestie della campagna. Hanno sparso il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e non c’è stato alcuno che li seppellisse” (Sl 79:2.3). Il punto è questo: come potevano i Salmi essere scritti ai tempo dei Maccabei e dopo se già sono citati da Maccabei? Al tempo maccabeico erano già esistenti!

     Se, infine, vogliamo essere pignoli, pochissimi Salmi possono essere ritenuti postesilici. Uno è il Sl 137:

 

“Là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.

Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre.

Là ci chiedevano delle canzoni quelli che ci avevano deportati,

dei canti di gioia quelli che ci opprimevano, dicendo: ‘Cantateci canzoni di Sion!’.

Come potremmo cantare i canti del Signore in terra straniera?

Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra;

resti la mia lingua attaccata al palato, se io non mi ricordo di te,

se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.

Ricòrdati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme

dicevano: «Spianatela, spianatela, fin dalle fondamenta!»

Figlia di Babilonia, che devi essere distrutta,

beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto!

Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia!”

 

   Nessun altro Salmo può essere paragonato a questo per contenuto e stile. Il riferimento all’esilio è più che evidente.

   Forse anche pochi altri Salmi possono essere considerati postesilici o addirittura maccabeici. Il Sl 74 potrebbe riferirsi sia all’invasione babilonese che distrusse Gerusalemme che al tempo della persecuzione di Antioco Epifanie. A favore di questa seconda ipotesi c’è il fatto che non c’erano più profeti in Israele: “Noi non vediamo più nessun segno; non c’è più profeta, né chi tra noi sappia fino a quando…” (v. 9). Questo fatto suppone l’epoca maccabeica. A ulteriore conferma c’è il fatto che il Tempio era devastato e le sinagoghe incendiate: “Come chi agita in alto la scure nel folto d’un bosco, con l’ascia e con il martello, hanno spezzato tutte le sculture della tua casa. Hanno appiccato il fuoco al tuo santuario, hanno abbattuto e profanato la dimora del tuo nome” (vv. 5-7), “Hanno arso tutti i luoghi delle assemblee divine nel paese” (v. 8). Inoltre, il v. 3 afferma: “Il nemico ha tutto devastato nel tuo santuario”; sembra di vedere la scena descritta in 1Maccabei 4:43-46 dopo la profanazione del Tempio: “Portarono le pietre profanate in luogo immondo. Tennero consiglio per decidere che cosa fare circa l’altare degli olocausti, che era stato profanato. Vennero nella felice determinazione di demolirlo, perché non fosse loro di vergogna, essendo stato profanato dai pagani. Demolirono dunque l’altare e riposero le pietre sul monte del tempio in luogo conveniente finché fosse comparso un profeta a decidere di esse”.