Diversi studiosi si sono preoccupati di individuare ciò che nei Vangeli scritti potrebbe essere una aggiunta posteriore. In quest’analisi i manoscritti rivestono ovviamente un ruolo fondamentale. Come esempio, possiamo prendere Mt 28:19: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Questa formula non appare nei più antichi manoscritti e, per di più, è in contrasto con tutti quegli altri passi delle Scritture Greche in cui si parla del battesimo nel solo “nome di Yeshùa” (At 8:16;10:48; Rm 6:3; Gal 3:27). Quali sono allora, al di là dei manoscritti, i criteri per stabilire la genuinità dei passi evangelici? Eccoli.

   1. Quanto più un fatto è attestato nei Vangeli scritti, tante più sono le sue probabilità di essere genuino.

   Anche se in teoria potrebbe essere accaduto che un episodio potrebbe essere stato ripetuto più volte perché ritenuto importante dalla primitiva congregazione palestinese, tuttavia per respingerne la storicità così ben attestata, bisognerebbe poter dimostrare con chiarezza che l’origine del racconto sia esclusivamente comunitaria (senza, cioè, una sua esistenza anteriore). Con questo criterio viene così stabilito che storica è la morte di Yeshùa, storica la predicazione di Giovanni il battezzatore, storica la moltiplicazione dei pani e dei pesci (che ricorre in tutti e quattro i Vangeli scritti), storico il battesimo di Yeshùa, e così via.

   2. Un dato che non si accorda con le aspettative giudaiche o dei discepoli di Yeshùa è storico.

   Questo vale, ad esempio, per il fatto di invocare Dio chiamandolo “papà”: “Avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!’” (Rm 8:15; cfr. Mt 14:36 e Gal 4:6), in cui quell’abbà ebraico non è semplicemente “padre” (אב, av, padre), ma אבא (abà) ovvero il nome affettuoso con cui i figli ebrei chiamavano il padre (il nostro babbo, papà); per i giudei questo era inappropriato.

   Così anche per il fatto che è Yeshùa a scegliersi i discepoli, mentre presso i rabbini erano i discepoli a scegliersi il maestro.

   Allo stesso modo, l’espressione “seguire Yeshùa” è ritenuta genuina perché la congregazione primitiva non la usò per esprimere la fede in Yeshùa.

   E così anche l’espressione “pescatori di uomini” deve essere genuina in quanto Yeshùa la usa in senso salvifico, mentre nei testi biblici precedenti Yeshùa il termine è usato in maniera punitiva. – Ger 16:16.

   Questo vale anche per l’indipendenza di Yeshùa dalle tradizioni giudaiche (riguardo al sabato e ad altro), che era inconcepibile per un ebreo.

   Stessa cosa per la nascita verginale di Yeshùa: deve essere storica, perché le aspettative giudaiche per il messia non erano quelle; a maggior ragione vale per la sua morte ignominiosa: gli ebrei non si aspettavano certo quello per il messia.

   Se il Vangelo fosse stato inventato, non si sarebbe messa in bocca a Yeshùa la frase secondo cui egli era stato inviato solo a Israele (Mt 10:6); la condizione dei gentili o stranieri o pagani nei Vangeli scritti non corrisponde infatti alla loro condizione futura in cui vengono accolti nella congregazione dei credenti (rifiutati prima, accolti dopo): segno che i racconti sono genuini.

   Il fatto che il titolo “figlio dell’uomo” sia stato usato solo da Yeshùa e mai dalla congregazione dei discepoli (con la sola eccezione di At 7:56) indica che gli scrittori evangelici hanno riportato le parole esatte di Yeshùa.

    3. È genuino tutto ciò che si adegua alla particolare situazione caratteristica della vita di Yeshùa.

   Per illustrare: Yeshùa chiamava gli uomini ad accogliere la salvezza, quindi sono genuine le parabole di Yeshùa, tutte permeate dall’appello al ravvedimento.

   Allo stesso modo, dato che il regno di Dio fu al centro del messaggio di Yeshùa, vanno ritenute genuine le cosiddette “beatitudini” del discorso della montagna in cui esse presentano la venuta del regno (Mt 4:17). Anche la preghiera modello insegnata da Yeshùa, il cosiddetto “Padrenostro”, è genuino in quanto è essenzialmente preghiera per l’inaugurazione del regno: “Venga il tuo regno”. – Mt 6:10.

   La genuinità dei passi evangelici è evidente anche dal fatto che molte parole di Yeshùa si comprendono bene se pronunciate effettivamente per i suoi discepoli immediati: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io dispongo che vi sia dato un regno (Lc 22:28,29); “Non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto” (Mr 10:29,30); “A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio”. – Mr 4:11.

   Molti precetti pratici di Yeshùa, pur avendo valore universale, assumono maggiore forza (determinandone anche la genuinità) se visti nel contesto dei dodici che tutto hanno abbandonato per seguire il maestro: “Non siate in ansia per la vita vostra, di quel che mangerete, né per il corpo, di che vi vestirete” (Lc 12:22); “Non siate dunque in ansia per il domani”. – Mt 6:34.

   Anche gli avvertimenti riguardanti il modo di mettersi in viaggio si comprendono meglio collocandoli durante la vita pubblica di Yeshùa (aspetto che ne stabilisce l’autenticità) che non attribuendoli ad aggiunte posteriori: “Non portate né borsa, né sacca, né calzari”. – Lc 10:4.

   4. Sono genuini quei dati dei Vangeli scritti che corrispondono alle caratteristiche generali con cui Yeshùa agiva.

   In altre parole, sono autentici tutti quei passi in cui Yeshùa presenta una eccezionale conoscenza di sé (“Ma io vi dico” – Mt 5:22; “Le mie parole” – Mt 7:24) e la consapevolezza che sta aprendo una nuova éra (“Fino ad ora” – Mt 11:12; “Da ora in poi” – Mt 23:39.

   Anche nei suoi miracoli Yeshùa ha uno stile proprio: evita la pubblicità, non li compie mai per vantaggio proprio ma solo per documentare la sua missione e dimostrare che il regno di Dio è in azione; i suoi miracoli sono quindi essenzialmente segno di salvezza, aspetto che conferisce loro l’autenticità.

   5. Un dato che abbassa Yeshùa deve essere storico.

   L’autenticità di dati evangelici è dimostrata anche dalla presenza di quei dati che presentano i fatti così come sono, senza preoccuparsi di tenere alta l’immagine di Yeshùa. Va ricordato innanzitutto il battesimo di Yeshùa ad opera di Giovanni, atto che potrebbe suscitare qualche difficoltà logica: come mai colui che “battezzerà con lo Spirito Santo” (Mr 1:8) si fa battezzare da chi operava “un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati” (Mr 1:4)? La genuinità di questo passo è ancor più evidente se paragonata alla non genuinità del Vangelo apocrifo agli ebrei: “Ecco che la madre del Signore e i suoi fratelli gli dissero: ‘Giovanni battista battezza per la remissione dei peccati. Andiamo e siamo battezzati da lui’. Ma Gesù rispose loro: ‘In che ho mai peccato perché vada e mi faccia battezzare da lui?’” (Cfr. anche l’apocrifo Vangelo degli ebioniti). Questa difficoltà del battesimo di Yeshùa ad opera di Giovanni è sentita da Matteo, ma è spiegata in maniera genuina: “Questi [Giovanni] vi si opponeva dicendo: ‘Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?’ Ma Gesù gli rispose: ‘Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia’. Allora Giovanni lo lasciò fare” (Mt 3:14,15); tutti e due sono sotto il decreto divino e devono ubbidire. Ne segue che questo episodio è storico: non può certo essere un’invenzione creativa per esaltare Yeshùa.

   Lo stesso si dica per la provenienza di Yeshùa da Nazaret, che creò difficoltà già al tempo stesso di Yeshùa. La Galilea non era mai stata giudaizzata completamente e l’osservanza rabbinica della Legge era lì alquanto in ribasso. Dopo la conquista assira nell’ottavo secolo a. E. V. ebbe una popolazione mista guardata con disprezzo dalla casta sacerdotale di Gerusalemme e dal fariseismo rigido. I rivoluzionari e le bande di partigiani venivano dalla Galilea. Matteo, per rendere comprensibile l’origine galilea di Yeshùa e per presentarla come voluta da Dio deve addurre una lunga citazione dal profeta Isaia: “lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali, affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: ‘Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata” (Mt 4:13-16; cfr. Is 9:1,sgg.). In questa “Galilea dei pagani” la borgata di Nazaret, molto povera e mai ricordata nelle Scritture Ebraiche, era quella che meno attirava la gente. Essa era anzi oggetto di un disprezzo proverbiale: “Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?” (Gv 1:46). Eppure Yeshùa il consacrato, il messia dei Vangeli scritti, non solo viene dalla Galilea, ma addirittura da Nazaret, dove gli stessi suoi concittadini e la sua famiglia lo avevano respinto (Lc 4:28,29; Mr 3:21;6:1-6). Matteo, riferendo il viaggio di Giuseppe con Miryàm e Yeshùa, sente il bisogno di aggiungere una citazione: “Venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno” (Mt 2:23). Ma questa citazione non si trova affatto nelle Scritture Ebraiche con questo senso. Il testo greco di Mt 2:23 ha ναζωραῖος (nazoràios), tradotto “nazareno”, e i manoscritti ebraici J17,18,22 di Mt hanno נצרי (notsrì), ma probabilmente si tratta dell’ebraico נצר (nètser) che significa “germoglio”. Così Matteo cita Is 11:1: “Un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo [ebraico נֵצֶר, nètser, “germoglio”] spunterà dalle sue radici”; ma lo adatta per giustificare la presenza di Yeshùa in quel luogo, dato che in Is si parla di Davide quale figurativo germoglio del padre Iesse e non di nazareno. La dimora di Yeshùa a Nazaret non può di conseguenza essere stata inventata dalla primitiva comunità, ma è un dato storicamente indiscutibile.

   Altro elemento storico è la morte di Yeshùa su una croce o palo, dato “che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia” (1Cor 1:23). La condanna a morte di Yeshùa è pertanto fatto certo e indiscutibile.

   Collegato a questo fatto è l’insuccesso apparente dell’opera di Yeshùa. Spesso nei racconti evangelici si parla di folle entusiaste, di uditori pieni di ammirazione, di folle che seguono Yeshùa dimentiche anche del cibo. Anche i nemici di Yeshùa vogliono arrestarlo di nascosto “perché non vi sia qualche tumulto di popolo” (Mr 14:2). Eppure, Yeshùa muore su un palo, abbandonato dagli apostoli (eccetto Giovanni), in un isolamento assoluto (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” – Mt 27:46). Questa sconfitta che sul momento tante difficoltà aveva creato alla prima congregazione non poteva essere inventato: fu presentato solo perché era un dato storico ineliminabile.

   Si vede così come vi sia continuità tra la persona di Yeshùa e la predicazione (kèrigma, annuncio) della comunità primitiva, come si sia davvero un ponte tra lo Yeshùa storico e la fede che ebbe la congregazione originaria.