In 1Sam 8:13 e 16 viene descritta la condizione media che la donna avrebbe avuto nella monarchia ebraica:

 

“[Il re] prenderà le vostre figlie per farsene delle profumiere, delle cuoche, delle fornaie”

“Prenderà i vostri servi, le vostre serve, il fiore della vostra gioventù e i vostri asini per adoperarli nei suoi lavori”

 

   Rimaniamo male ogni volta nel leggere che nonostante questa scoraggiante prospettiva “il popolo rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele e disse: ‘No! Ci sarà un re su di noi; anche noi saremo come tutte le nazioni’”. – 1Sam 8:19,20.

   Ma quale fu poi la condizione femminile nell’epoca monarchica? Ce lo dicono i profeti d’Israele. Il contesto sociale vide la formazione di due classi: da una parte gli oppressori e dall’altra gli oppressi.

   Le “vacche di Basan”.Contro gli oppressori si levò il profeta Amos, che descrisse con durezza l’aristocrazia:

 

“Ascoltate questa parola, vacche di Basan che state sul monte di Samaria!

voi che opprimete gli umili, maltrattate i poveri

e dite ai vostri mariti: ‘Portate qua, ché beviamo!’”. – Am 4:1.

   Basan era una vasta regione a est del Mar di Galilea, nel nord di Israele, ed era costituita in gran parte da un altopiano. La sua grande fertilità la rendeva ricca di ottimi pascoli che favorivano l’allevamento di splendidi bovini, oltre che di ovini (Dt 32:14; Ez 39:18; Sl 22:12). Si comprende allora l’allusione che Amos fa riprendendo le donne del suo tempo. Il dispregiativo “vacche”, che il profeta usa, assomiglia molto al nostro modo popolano di definire delle donnacce.

   Mentre dà loro delle immorali, Amos ne critica anche la religiosità ipocrita: “Andate a Betel, e peccate, a Ghilgal, e peccate ancora di più!” (Am 4:4). Betel era divenuta un centro religioso idolatrico. Qui, nel Regno del Nord (cui Amos si rivolge) e che si era appena separato dal Regno del Sud, il re Geroboamo aveva eretto dei vitelli d’oro per dissuadere gli abitanti del suo regno dall’andare al Tempio di Gerusalemme (1Re 12:27-29). Nonostante la loro idolatria, già di per sé un grave peccato (Es 20:4,5), quelle “vacche” di donne ‘andavano a Betel e peccavano’ pure! Anche Ghilgal, sebbene non ne conosciamo ancora l’esatta collocazione geografica, era un centro religioso idolatrico (Os 4:15;9:15;12:11). A Ghilgal, inveisce Amos, quelle “vacche” che dicono ai “mariti: ‘Portate qua, ché beviamo!’”, ci vanno tutte religiose e ‘peccano ancora di più!’.

   Il peccato principale che il profeta rimprovera a quelle donne non è l’idolatria, ma quello di mostrarsi tutte religiose praticando nel contempo l’ingiustizia e l’immoralità: “Opprimete gli umili, maltrattate i poveri e dite ai vostri mariti: ‘Portate qua, ché beviamo!’”. – Am 4:1.

   L’harem reale. La società ebraica ammetteva ormai la poligamia, nonostante che la norma originale di Dio fosse che marito e moglie fossero monogami divenendo una sola carne (Gn 2:24). Al tempo della monarchia, non solo la poligamia era ammessa, ma possedere un harem era segno di distinzione, di ricchezza e di potere. Quanto più numeroso era l’harem, tanto più dava lustro a chi lo possedeva: si trattava di un lusso che non molti potevano permettersi. Figurasi se un re poteva sottrarsi a un simile status symbol, come si direbbe oggi. Più numeroso era il suo harem, più il suo regno era ritenuto potente.

   Shaùl, il primo re, aveva “una concubina di nome Rispa” (2Sam 3:7) e diverse “donne” [“mogli”, TNM; l’ebraico נְשֵׁי

(neshè), plurale di אשה (ishàh), “donne”, che può significare “mogli”] . – 2Sam 12:8.

   Il re Davide, quando regnava a Ebron, aveva già ben sei donne/mogli: Ainoam di Izreel, Abigail di Carmel, Maaca, Agghit, Abital, Egla (2Sam 3:2-5). A Gerusalemme “si prese ancora delle concubine e delle mogli” (2Sam 5:13); tra queste ultime ci fu Betsabea, che dopo la relazione adulterina con lui “divenne sua moglie” (2Sam 11:27). Quando dovette fuggire da Absalom, “lasciò dieci concubine” a Gerusalemme. – 2Sam 15:16.

   Il re Roboamo “ebbe diciotto mogli e sessanta concubine”. – 2Cron 11:21.

   Il re Abia “prese quattordici mogli”. – 2Cron 13:21.

   Il re “Ieoiada prese per lui due mogli”. – 2Cron 24:3.

   La lista è lunga, ma l’harem che fa scomparire tutti gli altri è quello salomonico: “A tali donne si unì Salomone nei suoi amori. Ed ebbe settecento principesse per mogli e trecento concubine”. – 1Re 11:2,3.

   Quando i re erano sconfitti e deportati, i loro harem passavano in mano al nemico vincitore: “Così dice Ben-Adad: Il tuo argento e il tuo oro sono miei; così pure le tue mogli’”. – 1Re 20:3.

   La Legge, comunque, nel cercare di regolare gli eccessi umani elencava tra i doveri del re: “Non dovrà neppure avere molte mogli, affinché non perverta il suo cuore” (Dt 17:17). Era uso antico (ma lo fu anche nelle monarchie europee fino a tempi recenti) stabilire alleanze con sovrani di altri popoli tramite apparentamenti. Avveniva così che una principessa potesse essere inviata ad un altro sovrano per far parte del suo harem reale. La Legge però proibiva matrimoni con donne cananee e di alcune altre nazionalità: “Non t’imparenterai con loro [“gli Ittiti, i Ghirgasei, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei” – v. 1], non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli” (Dt 7:3; cfr. Es 34:1-16). Il grande re Salomone fu traviato proprio da donne straniere che aveva introdotto nel suo harem. “Il re Salomone, oltre alla figlia del faraone, amò molte donne straniere: delle Moabite, delle Ammonite, delle Idumee, delle Sidonie, delle Ittite, donne appartenenti ai popoli dei quali il Signore aveva detto ai figli d’Israele: ‘Non andate da loro e non vengano essi da voi, poiché essi certo pervertirebbero il vostro cuore per farvi seguire i loro dèi’. A tali donne si unì Salomone nei suoi amori . . . Al tempo della vecchiaia di Salomone, le sue mogli gli fecero volgere il cuore verso altri dèi; e il suo cuore non appartenne interamente al Signore suo Dio, come il cuore di Davide suo padre. Salomone seguì Astarte, divinità dei Sidoni, e Milcom, l’abominevole divinità degli Ammoniti. Così Salomone fece ciò che è male agli occhi del Signore” (1Re 11:1,2,4-6). Salomone aveva concesso alla figlia del faraone, una delle sue mogli, una casa separata per celebrare i suoi riti pagani: “Fece una casa dello stesso stile di questo portico per la figlia del faraone, che egli aveva sposata” (1Re 7:8). Era solo ovvio che poi avrebbe dovuto fare altrettanto con le altre mogli, concedendo loro un luogo dove potessero adorare i loro dèi pagani.

   Era naturale che il re avesse una donna particolare che preferiva fra le altre del suo harem. “Roboamo amò Maaca, figlia di Absalom, più di tutte le sue mogli e di tutte le sue concubine” (2Cron 11:21). Betsabea era la preferita del re Davide, tanto che poi divenne la regina madre (1Re 1:5-37). L’arrogante, crudele e senza scrupoli Gezabele era la preferita del re Acab (1Re 21). Atalia era la prediletta del re Ieoram. – 1Re 21:25; 2Cron 21:4-6.

   La regina madre. Il femminile di מֶּלֶךְ (mèlech), “re, è in ebraico מַּלְכָּה (malcàh), “regina”. Questa parola compare nella Bibbia 35 volte, poche in paragone alle più di tremila volte in cui appare il maschile “re”. La parola “regina” non appare mai applicata ad una donna ebrea, eccezion fatta per Ester. La Bibbia parla della “regina di Saba” (probabilmente araba, ma in ogni caso non ebrea), della “regina Vasti” (persiana), di “regine” (mogli del re Salomone, straniere). In quanto ad Ester, l’unica ebrea, si noti che ella fu scelta per diventare la moglie del re persiano Assuero e prendere il posto della regina persiana Vasti (Est 2:1-17); il titolo di “regina” le derivò quindi dalla sua posizione alla corte del re di Persia, già occupato da Vasti, e veniva usato sempre nell’ambito della monarchia persiana. Anche se tra le “regine” del re Salomone vi fossero state delle ebree, va detto che sono menzionate al plurale e in un testo poetico (Cant 6:8,9). Anche nelle Scritture Greche si segue la stessa prassi: “regina” è applicato ad una donna straniera: Candace, regina d’Etiopia (At 8:27). Quella che “dice in cuor suo: ‘Io sono regina’” è “Babilonia la grande”. – Ap 18:2,7.

   Il rango ufficiale di “regina” vera e propria (la regina madre) era indicato con il titolo di גְּבִירָה (ghevyràh). Questa parola prende il posto del femminile di אדן (adòn), “signore/padrone”, la cui forma femminile in ebraico non si usa. Il termine גְּבִירָה (ghevyràh), “signora/padrona”, indica l’opposto di “serva/schiava”. La parola גְּבִירָה (ghevyràh) viene applicata anche alla moglie del faraone egizio: “La sorella della propria [del faraone] moglie, la sorella della regina [גְּבִירָה (ghevyràh)] Tacpenes” (1Re 11:19). Tale titolo è comunque applicato alle regine madri di Israele, di cui 2Re riporta frequentemente i nomi. Si vedano, ad esempio, 12:1;14:2;15:2;18:2;21:1;23:31;24:18.

   Questo titolo regale comportava dignità e poteri speciali. Betsabea, quando era solo la preferita del re Davide, poté solo manovrare segretamente, sebbene in accordo con il profeta Natan, il sacerdote Sadoc e il capo della guardia reale Banaia (1Re 1:5-37). Solo quando il figlio di Davide e Betsabea, Salomone, prese il potere, lei divenne ghevyràh (גְּבִירָה), regina madre. Fu ricevuta allora con grande onore dal nuovo re Salomone e fatta sedere alla sua destra: “Il re si alzò per andarle incontro, le si inchinò, poi si risedette sul trono, e fece mettere un altro trono per sua madre, la quale si sedette alla sua destra” (1Re 2:19). Ora lei era una ghevyràh (גְּבִירָה)!

   Il potere della ghevyràh (גְּבִירָה) superava la posizione di parentela con il re. Il re Asa dovette privare di tale potere la regina madre Maaca quando lei abusò del suo potere: “Destituì pure dalla dignità di regina sua madre Maaca, perché lei aveva innalzato un’immagine ad Astarte” (1Re 15:13). Fu grazie a questo potere che la perfida Atalia si impadronì del trono autoproclamandosi regina ed esercitando per sei anni il completo potere su Gerusalemme e su Giuda. – 2Cron 22:11,12.