Nota: tutte le citazioni bibliche di questo studio – se non altrimenti specificate – sono tratte dalla versione TILC.


 

La depressione è un disturbo molto diffuso e doloroso. Pare che ne soffra il 10-15% della popolazione, con una frequenza maggiore tra le donne (in loro è due volte più comune, sia nelle adolescenti che nelle adulte). Il disturbo depressivo provoca perfino un’elevata mortalità: fino al 15% di chi soffre di questo disturbo in forma grave, muore per suicidio.

   La Sacra Scrittura può darci indicazioni su come trattare la depressione? Certamente sì, perché nella Bibbia ci sono numerosi riferimenti alla depressione. Anche se la Scrittura non usa mai la parola “depressione”, descrive persone che noi oggi chiameremmo depresse. La prima manifestazione si ebbe già all’inizio della storia umana. Furono probabilmente Adamo ed Eva i primi a sperimentarla.

   I sintomi della depressione. I sintomi principali sono: tristezza, senso d’abbattimento e incapacità di provare emozioni piacevoli. Altri sintomi sono: perdita d’interesse per le solite attività, mancanza d’iniziativa e incapacità di prendere decisioni. La persona depressa si sente distaccata da tutto, compresi familiari e amici; indifferente a ciò che accade anche di bello, si ritira in se stessa, soffrendo interiormente perché non riesce più a provare un sentimento o un’emozione. Alla persona depressa ogni cosa sembra un problema irrisolvibile; pian piano si sente sempre più incapace e inadeguata. Da ciò scaturisce un senso di colpa, che aggrava la sua sofferenza interiore: non riuscendo più ad assolvere i propri compiti, si sente responsabile dei problemi che sorgono, anche in famiglia, a causa sua; le sue convinzioni, anche se a volte sono errate, possono portare al delirio. Ha difficoltà a concentrarsi, a ricordare; l’appetito si riduce (talvolta invece aumenta e consuma in particolare i dolciumi) e perde anche il desiderio sessuale, non provandone piacere. Il depresso si sente triste, scoraggiato e senza speranza.

   Visto da fuori, il depresso appare stanco, lento nei movimenti, sconsolato, indifferente, con un’espressione che non cambia mai. Difficilmente parla, se interrogato dà risposte brevi; può apparire agitato e irrequieto, manifestando ansia e tensione. Negli stadi più gravi, la persona depressa si ritira da ogni attività, si isola e trascorre la maggior parte del tempo senza far nulla, non curando più nemmeno la propria igiene personale.

   Alcune persone possono avere episodi di depressione isolati, per poi stare molti anni senza accusare sintomi; altri hanno gruppi di episodi; altri ancora hanno episodi sempre più frequenti con l’aumentare dell’età.

   Esempi biblici di depressione. Tenendo conto che momenti di depressione possono capitare e che la depressione può manifestarsi episodicamente, nella Bibbia possiamo scorgere i sintomi depressivi che colpirono diversi personaggi biblici.

   Abraamo. Nel cap. 15 di Gn troviamo la grande e stupefacente promessa che Dio fece al futuro capostipite del popolo ebraico, colui che Dio definì il “mio amico Abramo” (Is 41:8). Ormai vecchio, Abraamo non riusciva più a provare emozioni piacevoli e si sentiva rassegnato: “Signore, mio Dio, cosa mai potrai darmi, dal momento che non ho figli? Ormai sto per andarmene . . . Ecco, tu non mi hai dato nemmeno un figlio . . . e così un servo della mia famiglia sarà mio erede!” (Gn 15:2,3). Nonostante riponesse fiducia in Dio, quella sera “seguì una notte molto buia” (v. 17). “Al tramonto del sole Abram si sentì afferrare da un sonno profondo e da una grande angoscia”. – Gn 15:12.

   Saul. “Lo spirito del Signore aveva abbandonato Saul. Ora egli era tormentato da uno spirito maligno mandato dal Signore. Allora i suoi servi gli dissero: ‘Vedi, Dio ha inviato uno spirito maligno a tormentarti. Noi siamo a tua disposizione: basta che tu ci dia un ordine’”. – 1Sam 16:14-16.

   Elia. Questo profeta “si augurò di morire: ‘Signore, – disse, – non ne posso più! Toglimi la vita, perché non valgo più dei miei padri’. Si coricò e si addormentò”. – 1Re 19:4,5.

   Giobbe. L’intero libro di Gb narra come il povero Giobbe visse un’esperienza tragica, ammalandosi e deprimendosi. “Andò a vivere tra i rifiuti e la cenere” (Gb 2:6). “Maledisse il giorno in cui nacque” (Gb 3:2). “Invece di mangiare mi lamento, non posso trattenere le mie grida, perché mi piombano addosso i mali che temo, mi capita proprio quel che mi spaventa. Per me non c’è calma né riposo, conosco solo tormenti”. – Gb 3:24-26.

   Davide. Perfino il valoroso re Davide fu soggetto a episodi depressivi. In uno dei suoi salmi, confessa: “Mi sento schiacciato e abbattuto”, “Il cuore è agitato, le forze se ne vanno, mi si spegne la luce negli occhi”, “Io, come un sordo, non ascolto, come un muto, non apro bocca. Sono come uno che non sente; tace e non si difende” (Sl 38:9,11,14,15). Altri suoi momenti depressivi traspaiono in altri suoi salmi. “Sono esausto . . . io sono sfinito. Mi sento sconvolto”, “Il dolore mi toglie le forze, passo le notti nel pianto, mi trovo in un mare di lacrime. Sono stanco” (Sl 6:3,4,7,8). “Fino a quando vivrò nell’angoscia, tutto il giorno con il cuore in pena?” (Sl 13:3). “Sono un uomo distrutto: nella pena si consumano i miei occhi, la mia gola, tutto il mio corpo. La mia vita si trascina nei tormenti, nel lamento se ne vanno i miei anni. Per il dolore mi mancano le forze, sento disfarsi anche le mie ossa, sono deriso dai miei avversari, e più ancora, dai miei vicini. Faccio paura a chi mi conosce, fugge via chi m’incontra per strada. Sono dimenticato da tutti come un morto, come un vaso rotto da buttar via” (Sl 31:10-13). “Sono immerso nelle colpe: un peso troppo grande per me”, “Cammino curvo e sono sfinito, passo i miei giorni nel lutto”, “Mi sento schiacciato e abbattuto” (Sl 38:5,7,9). “Mi sono chiuso nel silenzio, ho taciuto anche più del necessario, ma il mio dolore è diventato acuto. Dentro di me avevo un gran fuoco, più pensavo e più mi sentivo scoppiare” (Sl 39:3,4). “Mi sommergono molti mali, non li posso neppure contare. Le mie colpe mi opprimono, e non vedo più nulla. Sono più numerose dei miei capelli: ho perso ogni coraggio” (Sl 40:13). “Il mio peccato è sempre davanti a me” (Sl 51:5). “Mi sento scoppiare il cuore, mi ha afferrato il terrore della morte. Sono pieno di paura e timore, schiacciato dallo spavento” (Sl 55:5,6). “L’acqua mi arriva alla gola. Affondo in un mare di fango, non ho più un punto d’appoggio; sono caduto in acque profonde, la corrente mi trascina via! Sono sfinito”, “Sono povero e afflitto” (Sl 69:2-4,30). “Mi sento mancare il respiro, il mio cuore viene meno”. – Sl 143:4.

   Giona. Giona aveva fatto di tutto per non assolvere il comando divino di annunciare la distruzione alla città di Ninive. Infine fu costretto. Poi Dio accolse il pentimento dei niniviti e non distrusse la loro città. “Giona ne rimase molto contrariato”; il suo amaro commento fu: “Lo dicevo che sarebbe andata a finire così”, arrivando a questa conclusione disfattista: “Tanto vale farmi morire. Per me è meglio morire che vivere” (Gna 4:1-3). Il suo malessere interiore era tale che si commiserò: “Non ne posso più!”. – Gna 4:9.

   Depressione causata da senso di colpa. Dio dice a Caino che sta covando odio per suo fratello Abele: “Perché ti sei abbattuto? Perché sei tanto scuro in volto?” (Gn 4:6). Davide, dopo che aveva commesso adulterio con Betsabea, si sentì in colpa fino a quando non confessò: “Finché rimasi in silenzio, ero tormentato tutto il giorno e le mie forze si esaurivano. Giorno e notte, Signore, su di me pesava la tua mano, la mia forza s’inaridiva come sotto il sole d’estate”. – Sl 32:3,4.

“Con il morale alto si può vincere una malattia, ma un animo depresso come si guarisce?”. – Pr 18:14.

   Quando si è depressi, occorre porre la nostra speranza in Dio. “Perché sei così triste, così abbattuta, anima mia? Spera in Dio!” (Sl 42:6). “Dio, sei tu la mia fortezza”. – Sl 43:2.

“Confida nel Signore con tutto il cuore,

non appoggiarti sulle tue convinzioni.
In tutto quel che fai ricordati del Signore
ed egli ti indicherà la via giusta.
Non crederti più saggio di quel che sei,
ubbidisci al Signore ed evita il male.
Se farai così, godrai buona salute,
sarai robusto e vigoroso”. – Pr 3:5-8.

   “Affidate a Dio tutte le vostre preoccupazioni, perché egli ha cura di voi”. – 1Pt 5:7.

   Anche quando le cose sono difficili, si può evitare di sprofondare nella depressione. “Siamo oppressi, ma non schiacciati; sconvolti ma non disperati. Siamo perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non distrutti”, “Noi dunque non ci scoraggiamo. Anche se materialmente camminiamo verso la morte, interiormente, invece, Dio ci dà una vita che si rinnova di giorno in giorno. La nostra attuale sofferenza è poca cosa e ci prepara una vita gloriosa che non ha l’uguale. E noi concentriamo la nostra attenzione non su quel che vediamo ma su ciò che non vediamo: infatti, quel che vediamo dura soltanto per breve tempo, mentre ciò che non vediamo dura per sempre”. – 2Cor 4:8,9, 16-18.

Che cosa si può fare quando si è sopraffatti dalla depressione?

   La depressione non è un semplice abbassamento dell’umore. È una malattia con sintomi complessi che alterano anche notevolmente il modo in cui una persona ragiona, pensa e valuta se stessa, gli altri e il mondo esterno. Come qualsiasi malattia, va trattata da professionisti specializzati. Ci sono diverse cause per la depressione e approcci diversi per curarla. Occorre quindi rivolgersi a uno specialista. Non si deve temere, se è il caso, di consultare uno psichiatra, che è un medico. “Le persone sane non hanno bisogno del medico; ne hanno bisogno invece i malati”. – Mt 9:12.

   In genere, la gente usa la parola “depressione” non sapendo di che parla. Con questa parola intende spesso un semplice abbattimento morale (magari perché la squadra del cuore ha perso una partita!) oppure una delusione. Quando si parla di disturbo depressivo, si fa invece riferimento a una malattia che nei casi più gravi può portare al suicidio.

   Qui vogliamo occuparci solo di casi alquanto leggeri, solo episodici, raccomandando alcuni princìpi biblici. Ad esempio, momenti di tristezza, anche profonda, possono esserci per sensi di colpa, per situazioni di peccato, per conflitti (interiori o con altri), per attese eccessive, per mancanza di autostima. Tutte queste situazioni possono influenzare le vostre emozioni. In questi casi non ci si deve preoccupare solo della depressione stessa ma anche delle questioni che ne sono la causa.

   Occorre rendersi conto che la vita non si può basare sulle nostre emozioni. La vita del credente si basa sulle verità che riguardano Dio, non sui sentimenti del momento. In 1Ts 5:16 è detto: “Siate sempre lieti”. È possibile essere sempre lieti? La Bibbia dice di esserlo, che ne abbiamo voglia o no. In Flp 4:4 s’insiste: “Siate sempre lieti . . . Lo ripeto, siate sempre lieti”. Il testo originale greco di 1Ts 5:16 dice: Πάντοτε χαίρετε (Pàntote chàirete). L’avverbio πάντοτε (pàntote) significa “in ogni momento”, “sempre”; il verbo χαίρετε (chàirete) significa “siate allegri/gioiosi/contenti”, e si trova al tempo imperativo, per cui non si è invitati a cercare di essere contenti, ma si è comandati di esserlo. Possiamo imporci quest’atteggiamento? Paolo lo fece e spiegò: “Rattristati ma sempre rallegrandoci” (2Cor 6:10 TNM). Questione di attitudine mentale. Possiamo scegliere i nostri pensieri. Perché mai subire quelli che ci vengono e che non vogliamo? Giacomo, similmente dice: “Quando dovete sopportare prove di ogni genere, rallegratevi”, e spiega perché: “Sapete infatti che se la vostra fede supera queste prove, voi diventerete forti. Anzi, tendete a una fermezza sempre maggiore, così che voi siate perfetti e completi, sotto ogni aspetto” (Gc 1:1-4). Qui Giacomo non sta dicendo ingenuamente di essere felici: sta dicendo che dobbiamo valutare le cose e scegliere di pensare la propria situazione come un luogo dove si può provare anche la gioia.

   Scegliere di aver fiducia nelle verità di Dio anziché abbandonarci alle nostre emozioni e ai nostri sentimenti del momento, richiede fede e fiducia in Dio. Di certo, confidare in ciò che Dio dice piuttosto che sulle nostre emozioni (che sono fluttuanti) è un approccio molto più realistico alla vita. Parlando di fede non ci riferiamo certo a una vaga speranza nella provvidenza, che ha a che fare di più con la religiosità superstiziosa. Molte persone religiose che sostengono di avere la fede vivono ignorando i princìpi di Dio per una vita vera. Se si disprezzano i buoni ammaestramenti che ci sono dati nella Bibbia da Dio, non si potrà sfuggire alle conseguenze di una vita disordinata, anche se si proclama di avere fede, che poi fede non è.

   Rimedi pratici. La solitudine può deprimere, causando profonda tristezza. Se questo è il problema, evitare di essere soli e  sforzarsi di stare tra la gente potrebbe essere un rimedio. Nell’epoca di Internet, è possibile anche intrattenere conversazioni o corrispondenze con persone fidate che condividano sani princìpi; la stessa cosa vale per il telefono.

   La musica può elevare lo spirito. A questa ricorse il depresso re Saul (1Sam 16:14-23). Buona musica è disponibile facilmente: alla radio, su registrazioni, in Internet.

   Più di tutto, il credente è aiutato dalla preghiera. “Pregate continuamente, e in ogni circostanza ringraziate il Signore. Dio vuole che voi facciate così”. – 1Ts 5:17,18.

   Realismo. Non è realistico aspettarsi che una persona credente non sia mai triste o scoraggiata. Anna, la madre del profeta Samuele, era donna di fede, eppure in un’occasione “era molto triste . . . piangeva amaramente” (1Sam 1:10). Neemia, che diresse la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, fu triste, si mise perfino a piangere. – Nee 1:4;2:2.

   Mancanza di autostima. Chi si sente inutile può cadere in depressione. A volte è un’infanzia infelice a procurare poca stima di sé. Maltrattamenti fisici ed emotivi, e abusi sessuali possono aver lasciato il segno. Tuttavia, ciò che si è subìto, per quanto doloroso, non cambia il valore di una persona. In questi casi non si tratta di ciò che abbiamo fatto ma di ciò che ci hanno fatto. Proprio come non dobbiamo ritenerci arrogantemente superiori (Rm 12:3), allo stesso modo non dobbiamo miseramente squalificarci. “Non adattatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio con un completo mutamento della vostra mente” (Rm 12:2). La nostra relazione personale con Dio è la cosa più preziosa che abbiamo. La felicità consiste nella consapevolezza di essere importanti per qualcuno. Se questo qualcuno è Dio, non può esserci felicità più grande. Appartenere al popolo di Dio è sommamente rassicurante. “Il Signore dell’universo ha dichiarato: ‘Nel giorno in cui io manifesterò la mia potenza, considererò questa gente come mia. Sarà il mio popolo’”. – Mal 3:17.

   Sensi di colpa. La poca stima di sé potrebbe però derivare da una situazione di peccato. Lo sapeva bene il re Davide, che riconobbe: “Sono immerso nelle colpe: un peso troppo grande per me” (Sl 38:5). Il senso di colpa ci mostra quanto sia brutto e deleterio il peccato. Adamo ed Eva, per la vergogna andarono a nascondersi (Gn 3:8-10). Tuttavia, è proprio il senso di colpa che indica che abbiamo ancora una coscienza sensibile, segno che non siamo incalliti peccatori imperdonabili. In Eb 10:26,27 leggiamo: “Se noi volontariamente continuiamo a peccare anche dopo che abbiamo imparato a conoscere la verità, allora non c’è più nessun sacrificio che possa togliere i peccati. In questo caso resta soltanto la terribile attesa del giudizio di Dio”. L’avverbio “volontariamente” traduce il greco ἑκουσίως (ekusìos) che significa “volentieri”, con il pieno consenso della volontà. È pur vero che ogni peccato è sempre una scelta, tuttavia c’è differenza tra un’azione dettata dall’ignoranza o dalla debolezza e una compiuta “volentieri”. Il peccatore imperdonabile non si pente. “Quelli che sono caduti di nuovo nel male, non possono più cambiare vita ed essere rinnovati ancora una volta” (Eb 6:4). È perciò proprio il senso di colpa che indica che siamo recuperabili, che Dio può perdonarci e ristabilirci. Allora, la domanda è: come affrontare il senso di colpa? L’amara esperienza di Davide con il peccato e con il conseguente senso di colpa rappresenta un modello.

“Finché rimasi in silenzio,
ero tormentato tutto il giorno
e le mie forze si esaurivano.
Giorno e notte, Signore,
su di me pesava la tua mano,
la mia forza s’inaridiva
come sotto il sole d’estate.
Allora ti ho confessato la mia colpa,
non ti ho nascosto il mio peccato.
Ho deciso di confessarti il mio errore
e tu hai perdonato il peccato e la colpa”.

Sl 32:32:3-5.

   Finché si rimane in silenzio, il tormento interiore non ci lascia e continuiamo a sentire il peso della colpa. È confessando sinceramente a Dio ogni cosa, senza nascondere nulla, che si è perdonati dal peccato e dalla colpa. Non servono confessori, presunti rappresentanti divini. È Dio che perdona. È a Dio, in preghiera, che dobbiamo rivolgerci. “Perciò i tuoi fedeli ti pregano quando scoprono il proprio peccato. Potrà anche venire un diluvio, ma non riuscirà a sommergerli”. – Sl 32:6.

   Se è il senso di colpa a deprimerci, è ora di chiedere perdono a Dio in preghiera e fare i passi necessari per correggere l’errore.

“Cercate il Signore,
ora che si fa trovare.
Chiamatelo,
adesso che è vicino.
Chi è senza fede e senza legge
cambi mentalità;
chi è perverso
rinunzi alla sua malvagità!
Tornate tutti al Signore,
ed egli avrà pietà di voi!
Tornate al nostro Dio
che perdona con larghezza!”.

Is 55:6,7.

   “La tristezza che rientra nei piani di Dio fa cambiar vita in modo radicale e porta alla salvezza” (2Cor 7:10). Non va dimenticato poi che il dolore interiore, l’abbattimento e il senso di colpa che si provano dopo una condotta peccaminosa, oltre che sintomo della nostra ritrovata coscienza, sono una forma di correzione e di disciplina. “Figlio mio, considera seriamente la correzione che il Signore ti manda. Non scoraggiarti quando ti rimprovera. Perché il Signore corregge quelli che ama, punisce tutti quelli che riconosce come suoi figli. Sopportate le sofferenze con cui Dio vi corregge. Egli vi tratta come figli. Infatti è normale che un figlio sia corretto da suo padre” (Eb 12:5-7). Questa correzione, che nulla toglie al valore della persona, è segno d’amore. “Se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3:20). Dio non vede solo i nostri peccati. Dio conosce perfettamente tutte le nostre circostanze e la nostra intera vita, sa i nostri motivi e le nostre intenzioni; è non solo comprensivo ma pieno d’amore. “Dio è amore” (1Gv 4:16). Alla fine potremo riconoscere con gratitudine: “Il Signore è bontà e misericordia; è paziente, costante nell’amore. Non rimane per sempre in lite con noi, non conserva a lungo il suo rancore. Non ci ha trattati secondo i nostri errori, non ci ha ripagati secondo le nostre colpe”. – Sl 103:8-10.

   Senso d’inadeguatezza. La preoccupazione eccessiva di avere l’approvazione altrui può far perdere la stima di sé, perfino fino al punto di farci sentire respinti. Se siamo particolarmente sensibili, basta un tono della voce o un gesto – che magari non sono neppure intenzionali – per farci sentire sotto accusa. Per essere meno suscettibili e permalosi, è sempre saggio sperare il meglio anziché sospettare il peggio. Se poi siamo davvero oggetto di una critica o di un biasimo che sappiamo di non meritare, possiamo usare un’efficace tecnica psicologica per riportare tutto alla realtà, come fece Yeshùa in un’occasione. Quando Yeshùa fu catturato, il sommo sacerdote gli rivolse domande sul suo insegnamento e Yeshùa gli rispose di domandarlo a quelli che lo avevano ascoltato; al che, “uno dei presenti gli diede uno schiaffo e disse: ‘Così rispondi al sommo sacerdote?’”. Si noti ora la reazione di Yeshùa: “Se ho detto qualcosa di male, dimostralo; ma se ho detto la verità, perché mi dai uno schiaffo?” (Gv 18:22,23). Allo stesso modo, quando siamo oggetto di un attacco immotivato, possiamo guardare la persona negli occhi e domandarle con calma: Perché mi tratti così? Sorprendentemente, la situazione torna normale e la nostra dignità è ristabilita su un piano paritario.

   Il più delle volte, comunque, vale il consiglio di Ec 7:21,22: “Non dare ascolto a tutte le chiacchiere che si fanno; non far caso . . . Sai bene che molte volte anche tu hai sparlato degli altri”. Essendo realisti, non dovremmo aspettarci la perfezione dagli altri e neppure da noi stessi. “Sopportatevi a vicenda: se avete motivo di lamentarvi degli altri, siate pronti a perdonare, come il Signore ha perdonato voi”. – Col 3:13.

   Il nostro valore come persona non è quantificabile dall’amore che gli altri ci mostrano. Yeshùa, la persona di più gran valore di tutta l’umanità passata, presente e futura, non era molto amato, fu anzi “rifiutato e disprezzato”, fu “come uno che fa ribrezzo a guardarlo, che non vale niente” (Is 53:3). La valutazione che di lui fece la gente non intaccò minimamente il valore di Yeshùa come persona e la grande considerazione che Dio ha di lui. Ora, se per assurdo potessimo eguagliare Yeshùa, di certo non avremmo l’ammirazione di tutti, come lui non la ebbe. O pretendiamo forse presuntuosamente di averla comunque, anche se lui non l’ebbe?

   Perfezionismo. Anche il perfezionista può cadere in depressione. Prefiggendosi obiettivi che sono troppo elevati, cercando continuamente di conseguire mete che sono irraggiungibili, il superdiligente rischia non solo la delusione ma l’esaurimento. “Non pretendere di essere troppo buono e troppo sapiente: faresti del male a te stesso” (Ec 7:16). Meglio dar retta all’apostolo Paolo: “Dico a ciascuno di voi di non sopravvalutarsi, ma di valutarsi invece nel modo giusto”. – Rm 12:3.

   Capita a tutti, ogni tanto, di avere sentimenti negativi e di provare emozioni deprimenti. Le circostanze della vita (una malattia, incertezze finanziarie, problemi di lavoro, l’invecchiamento, un lutto, un crimine subito) possono causarci stati d’animo che ci abbattono e che influiscono negativamente sulla nostra vita, facendoci star male. “Cuore afflitto volto depresso” (Pr 15:13). Questi momenti bui vanno rispettati. Noi stessi dovremmo rispettarli, accoglierli, accettarli. Se ci concediamo il tempo per assimilarli, poi svaniranno.

   Alcuni nostri modi di pensare sono legati alla nostra educazione e ai nostri trascorsi, anche lontani. La saggezza popolare ci dice che “acqua passata non macina più” e che non vale la pena di “piangere sul latte versato”. La saggezza ispirata da Dio ci dice: “Sapete cosa dovete fare: la vostra vecchia vita, rovinata e ingannata dalle passioni, dovete abbandonarla, così come si mette via un vestito vecchio; e invece dovete lasciarvi rinnovare cuore e spirito, diventare uomini nuovi creati simili a Dio, per vivere nella giustizia, nella santità e nella verità” (Ef 4:22-24) e ci consiglia di ‘dimenticare quel che sta alle nostre spalle e di slanciarsi verso quel che ci sta davanti’ (Flp 3:13). Anziché rimuginare alimentando l’autocommiserazione, sorridendo e non prendendoci troppo sul serio, possiamo dirci: “Lascia perdere, non ti inquietare, non tormentarti: ne avrai solo danno”. – Sl 37:8.