Chi ha scarsa conoscenza delle Scritture non riesce a distinguere tra Legge di Dio e disposizioni cerimoniali. Facendo di tutta l’erba, un fascio, costoro – nel chiaro tentativo di voler sostenere l’abrogazione della Legge di Dio – sostengono che la Legge fosse una sola, cerimoniale compreso.

   Costoro citano Mt 5:21-42 affermando che Yeshùa si sia riferito sia al Decalogo sia agli aspetti cerimoniali della Legge non facendo fra loro alcuna distinzione. Ai vv. 23 e 24 Yeshùa dice: “Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta”. Yeshùa sta qui ovviamente proponendo un paradosso alla maniera ebraica (cfr. vv. 29,30), quella che noi chiameremmo una provocazione. Nessuno avrebbe mai lasciato l’offerta sull’altare per sbrigare prima un’altra faccenda, sia pure importante come riconciliarsi con un fratello. Comunque, Yeshùa stava qui parlando a degli ebrei che si attenevano alle disposizioni di Dio circa le offerte fatte sull’altare (Dt 16:16). Egli era ancora in vita e il sacerdozio levitico era sempre valido; erano quindi ancora valide le disposizioni cerimoniali.

   Né si può citare Rm 7:4-12 con la pretesa di asserire che la Legge di Dio sia stata eliminata. Qui Paolo, stando a una traduzione, direbbe: “Voi foste resi morti alla Legge” (v. 4, TNM). Che cosa vuol dire? Forse che i credenti debbano far conto che la Legge di Dio non esista più? Ciò è quanto la traduzione vorrebbe far credere, ma Paolo non dice che la Legge sia morta: dice che morti sono i credenti: ὑμεῖς ἐθανατώθητε (ümèis ethavatòthete), “voi siete morti”. E non dice morti “alla Legge” (TNM). Infatti, il dativo τῷ νόμῳ (to nòmo) è un dativus iudicantis (dativo del punto di vista) (Grammatica greca, Le Monnier, Firenze, n. 5, pag. 321): “Siete morti per la Legge” ovvero, stando alla Legge, dal punto di vista della Legge, essi erano dichiarati come morti (per le loro colpe). È ciò che spiega lo stesso Paolo in Rm 7:9: “Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii”; “In quanto a me, per mezzo della legge morii riguardo alla legge [νόμῳ (nòmo), dativus iudicantis]”. – Gal 2:19, TNM.

   “Ora siamo stati esonerati dalla Legge, perché siamo morti a ciò da cui eravamo detenuti, così che siamo schiavi in un nuovo senso secondo lo spirito, e non nel vecchio senso secondo il codice scritto” (Rm 7:6, TNM). Anche qui la manipolazione della traduzione fa dire a Paolo ciò che non dice né intende dire. Infatti, non dice per niente “siamo stati esonerati dalla Legge” ma κατηργήθημεν (katerghèthemen), “siamo stati sgravati”. In che modo “siano stati sgravati”? “Perché siamo morti”, dice Paolo. Non perché la Legge sia stata abolita ma perché il peccato – che “è la violazione della legge” (1Gv 3:4) – ci ha recato la morte in base alla Legge. Ora, dice Paolo, “siamo schiavi in un nuovo senso secondo lo spirito” ovvero secondo il nuovo patto che, confermando la Legge, ci permette di ubbidire alla Legge santa di Dio perché abbiamo il suo spirito santo con la Legge scritta nel nostro cuore. – Eb 8:10; cfr. Ger 31:33.

   Paolo conclude dicendo: “Che diremo dunque? È la Legge peccato? Così non sia!”, “Così che, da parte sua, la Legge è santa, e il comandamento è santo e giusto e buono”. – Rm 7:7,12, TNM.

   La santa Legge di Dio rimane perciò tuttora valida. Che dire però delle sue disposizioni cerimoniali?

   Che nella Bibbia si faccia differenza tra la Legge morale e la cosiddetta legge cerimoniale, è evidente. Ad esempio, in Gc 2:8-11 è detto:

“Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’, fate bene; ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: ‘Non commettere adulterio’, ha detto anche: ‘Non uccidere’. Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge”.

   Qui Giacomo precisa che la vera ubbidienza a Dio comporta l’ubbidire a tutta la Legge. Se si disubbidisce anche a un solo comandamento, dice Giacomo, ci “si rende colpevole su tutti i punti”. Per Giacomo la Legge è ancora attuale, valida e indivisibile.

   In Eb 9:1, però, si legge: “Certo anche il primo patto aveva norme per il culto e un santuario terreno”. Lo scrittore ispirato di Eb, riferendosi al passato (“aveva”), pare voler dire che quelle “norme per il culto” avevano fatto il loro tempo. Infatti, dopo aver descritto il santuario e l’opera sacerdotale (vv. 2-7), dice ai vv.  9 e 10: “Questo è una figura per il tempo presente. I doni e i sacrifici offerti secondo quel sistema non possono, quanto alla coscienza, rendere perfetto colui che offre il culto, perché si tratta solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, insomma, di regole carnali imposte fino al tempo di una loro riforma”. Era quindi avvenuta una “riforma”. Ai vv. 11 e 12 si spiega quale: “Venuto Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna”.

   Mentre, quindi, la Legge di Dio è “perfetta” (Sl 19:7) e dura “in eterno” (Sl 119:151,152), il sistema sacerdotale ha subito una “riforma” (Eb 9:10). Non si deve perciò far confusione, ritenendo che la Legge di Dio sia un tutt’uno con le norme cerimoniali del sacerdozio, giungendo alla conclusione sbagliata quanto affrettata che, abrogate le norme cerimoniali, sia abrogata la Legge stessa. Occorre prestare attenzione. Si noti bene cosa dice la Bibbia in Eb 9:1:

Εἶχε μὲν οὖν καὶ ἡ πρώτη δικαιώματα λατρείας

Èiche men un kài e pròte dikaiòmata latrìas

Aveva certo dunque anche la prima norme di culto

   “La prima” (ἡ πρώτη, e pròte) cosa? La prima διαθήκη (diathèke), “alleanza”, parola resa dai traduttori anche con “patto”. Infatti, Eb 9:1 è tradotto così: “Certo anche il primo patto aveva norme per il culto”. Ora, si noti che il versetto dice: “anche” (καὶ, kài) e questo “anche” è reso ancor più vigoroso dall’espressione “aveva certo dunque”. Abbiamo quindi che il primo patto aveva “norme per il culto” e che “anche” il nuovo patto deve perciò averne. Anzi, il testo dice che proprio perché il nuovo patto ha le sue norme per il culto, “certo anche il primo patto aveva norme per il culto”. Ciascuno dei due patti (antico e nuovo) ha le sue proprie “norme per il culto”. Ambedue queste norme sono spiegate nella lettera agli ebrei. Confrontando questi due patti e le loro norme, vediamo che dall’applicazione materiale si passa (nel nuovo patto) a quella spirituale.

 

La Toràh (Insegnamento, Legge)

Vecchio patto (Eb 8:9)

Nuovo patto (Eb 8:10)

Materiale

Spirituale

“Cuore di pietra” (Ez 11:19)

“Cuore di carne” (Ez 11:19)

Norme per il culto materiali:

Norme per il culto spirituali:

Sacerdozio levitico

Sacerdozio spirituale

Sommo sacerdote aaronnico

Yeshùa sommo sacerdote in eterno

Offerte sacrificali ripetitive

Yeshùa offerto una volta sola

 

   Parlare quindi di Legge e di legge cerimoniale è un modo usato per intendersi ma, se stiamo alla Scrittura, vediamo che:

  • La Legge di Dio è una, perfetta ed eterna.
  • Questa Legge è stata offerta da Dio in due modi:
  1. Vecchio patto.
  2.  Nuovo patto, in cui cambia il come: Dio la scrive nel cuore e nella mente del credente, donando il suo spirito santo perché il credente sia in grado di ubbidire.
  • Ciascuno dei due patti aveva le proprie “norme per il culto”:
  1. Nel vecchio patto valeva il sacerdozio levitico con un sommo sacerdote (Eb 5:4) aaronnico (1Re 2:26, 27,35), che era un uomo mortale e che come tale doveva avere un successore (Eb 7:23). Tutto il cerimoniale del culto prevedeva sacrifici animali (Eb 9:12,13) da offrire ripetutamente nel santuario. – Eb 9:25.
  2. Nel nuovo patto il sommo sacerdote è Yeshùa, “sommo sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” (Eb 6:20; cfr. 7:17; Sl 110:4). Egli non opera nel Tempio materiale ma nel cielo stesso (Eb 9:11,24). Come sacrificio ha dato se stesso una volta per sempre (Eb 10:5,6,26). Yeshùa non ha successori perché è vivente per sempre. – Eb 7:24.

   Le “norme per il culto” (la cosiddetta legge cerimoniale) sono quindi mutate. “Se dunque la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico (perché su quello è basata la legge data al popolo), che bisogno c’era ancora che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec e non scelto secondo l’ordine di Aaronne? Poiché, cambiato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un cambiamento di legge” (Eb 7:11,12). Si noti che la Bibbia non dice che, “cambiato il sacerdozio”, ci fu l’abrogazione della Legge. Dice piuttosto che ci fu un “cambiamento di legge” o, stando alla Scrittura, un “mutamento” (μετάθεσις, metàthesis). Il nuovo patto segna questo mutamento, passando dal materiale allo spirituale. E non si faccia l’errore di intendere spirituale nel senso di simbolico, quasi fosse qualcosa d’inconsistente, qualcosa cui aderire semplicemente come principio. La Legge rimane Legge, eterna e immutabile. Cambia il come. Con il nuovo patto è possibile ubbidire a essa perché Dio ci concede il suo spirito santo. – Ger 31:31-33.

   Occorre fare attenzione a comprendere bene il passo di Eb 7:18,19: “Così, qui vi è l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (infatti la legge non ha portato nulla alla perfezione); ma vi è altresì l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio”. Il testo ispirato specifica: “Così, qui vi è l’abrogazione del comandamento precedente”. Con “comandamento precedente” ci si riferisce qui a quello appena detto ai vv. 16 e 17, in cui Yeshùa è fatto da Dio sommo sacerdote “a somiglianza di Melchisedec”. Infatti, è specificato che Yeshùa “è divenuto tale non secondo la legge di un comandamento che dipende dalla carne, ma secondo il potere di una vita indistruttibile” (v. 16, TNM). La frase: “La legge non ha portato nulla alla perfezione” va compresa nel contesto. Il riferimento è alla “legge di un comandamento che dipende dalla carne” (TNM) del v. 16. Sebbene TNM metta l’articolo determinativo davanti a “legge” (“la legge”, TNM), il testo biblico dice al v. 16:

ὃς οὐ κατὰ νόμον ἐντολῆς σαρκίνης

os u katà nòmon entolès sarkìnes

il quale non secondo una legge di un comandamento carnale

   Si parla qui di Yeshùa sommo sacerdote “a somiglianza di Melchisedec”, “il quale non secondo una legge di un comandamento carnale è diventato [sacerdote]” (testo greco). Poi, dopo aver detto che “il comandamento precedente è messo da parte a motivo della sua debolezza e inefficacia” (v. 18, TNM), c’è un inciso. È una scorrettezza da parte di TNM creare poi al v. 19 una nuova frase a sé stante: “Poiché la Legge non ha reso nulla perfetto”, tentando forse di creare confusione per far credere che la Legge sia imperfetta e perciò abrogata (il “dunque” iniziale che viene aggiunto tradisce il tentativo di farne una frase a sé); l’articolo determinativo (“la”), inesistente nel testo, viene aggiunto; il mettere poi la maiuscola a “legge” completa la manipolazione. Più corretta qui NR che, cogliendo l’inciso del testo greco, mette tra parentesi: “Così, qui vi è l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (infatti la legge non ha portato nulla alla perfezione); ma vi è altresì l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio” (vv. 18,19). La “legge” di cui si parla nell’inciso è ovviamente  “una legge di un comandamento carnale” del v. 16 ovvero la disposizione del sacerdozio aaronnico. Questa “non ha portato nulla alla perfezione” (v. 19). “Infatti a noi era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; il quale non ha ogni giorno bisogno di offrire sacrifici, come gli altri sommi sacerdoti, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo; poiché egli ha fatto questo una volta per sempre quando ha offerto se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento fatto dopo la legge costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto in eterno”. – Eb 7:26-28.

   “Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con questi mezzi. Ma le cose celesti stesse dovevano essere purificate con sacrifici più eccellenti di questi” (Eb 9:23). Si allude qui alle norme sacerdotali per il culto. Materiali le prime (quelle del vecchio patto), spirituali le seconde (quelle del nuovo patto). “Chi trasgredisce la legge di Mosè viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quale peggior castigo, a vostro parere, sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figlio di Dio e avrà considerato profano il sangue del patto con il quale è stato santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?”. – Eb 10:28,29.

   Contrariamente a chi, non conoscendo a fondo la Scrittura, sostiene che la Legge e le norme cerimoniali o sacerdotali per il culto siano una cosa sola – e perciò butta via l’acqua del bagno con il bambino -, la Bibbia ci mostra chiaramente che la Legge è una ed eterna, e che la Legge fu dapprima offerta da Dio con in vecchio patto che aveva le sue norme (transitorie) per il culto e che poi è stata offerta con il nuovo patto, in cui le precedenti norme per il culto sono state riformate per essere sostituite dal sacerdozio spirituale di Yeshùa.

   Per stessa dichiarazione divina, la Legge (con al centro il Decalogo) non può essere soppressa né modificata in alcuna misura da chicchessia. I Dieci Comandamenti, nelle intenzioni di Dio, sono validi per tutte le razze umane, senza limiti di tempo né di spazio. Tuttavia, non è l’osservanza dei Comandamenti che determina la salvezza eterna dell’uomo, la quale è un dono gratuito di Dio dovuto alla morte sostitutiva di Yeshùa. Ciò non comporta che non si debba osservare la Legge di Dio. La sua osservanza da parte del credente è dovuta: dimostra la sua fiducia in Dio, espressa nell’ubbidienza incondizionata.

   A chi non comprende tutto ciò, si potrebbero rivolgere queste parole bibliche: “Su questo argomento c’è molto da dire, ma è difficile spiegarlo a voi, perché siete diventati duri a capire. Ormai dovreste già essere maestri; invece avete ancora bisogno di qualcuno che vi insegni le cose fondamentali del messaggio di Dio. Vi dovete nutrire ancora di latte, invece che di cibo solido. Ma chi si nutre di latte è ancora un bambino, e non sa capire un discorso su ciò che è giusto”. – Eb 5:11-13, PdS.