Dato che non sappiamo come tradurre con certezza il tetragramma, il traduttore della Scrittura si trova davanti ad un dilemma. Vediamo come è stato affrontato dai vari traduttori. Prendiamo ad esempio Gn 2:4, che è il passo biblico in cui per la prima volta compare il tetragramma. La traduzione del tetragramma (יהוה) viene evidenziata in rosso; il maiuscoletto dell’originale è rispettato.

 

CEI

“Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo”

Diodati

“TALI furono le origini del cielo e della terra, quando quelle cose furono create, nel giorno che il Signore Iddio fece la terra e il cielo”

Nuova Diodati

“Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati, nel giorno che l’Eterno DIO fece la terra e i cieli”

Nuova Riveduta

“Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati. Nel giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli”

Luzzi

“Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati, nel giorno che l’Eterno Iddio fece la terra e i cieli”

Parola del Signore

“Questo è il racconto delle origini del cielo e della terra quando Dio li creò. Quando Dio, il Signore, fece il cielo e la terra”

Garofalo

“Questa è la storia dell’origine del cielo e della terra, quando vennero creati. Nel giorno in cui Jahve Dio fece la terra e il cielo”

TNM

“Questa è la storia dei cieli e della terra nel tempo in cui furono creati, nel giorno che Geova Dio fece terra e cielo”

Bible de Jérusalem

“Telle fut la genèse du ciel et de la terre, quand ils furent créés. Au temps où Yahvé  Dieu fit la terre et le ciel”

La Sankta Biblio in esperanto

“Tia estas la naskiğo de la ĉielo kaj la tero, kiam ili estis kreitaj, kiam Dio la Eternalo faris la teron kaj la ĉielon”

Vulgata

Istae generationes caeli et terrae quando creatae sunt in die quo fecit Dominus [“Signore”] Deus caelum et terram.

LXX

Αὕτη ἡ βίβλος γενέσεως οὐρανοῦ καὶ γῆς, ὅτε ἐγένετο, ᾗ ἡμέρᾳ ἐποίησεν ὁ θεὸς [theòs (“Dio”)] τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν

   La Settanta (LXX) è la traduzione greca delle Scritture Ebraiche. Essa fu iniziata verso il 280 a. E. V.. Questa traduzione seguiva la consuetudine di sostituire il tetragramma con i termini greci κύριος (Kǘrios, “Signore”) o θεὸς (Theòs, “Dio”). Questo almeno stando ai manoscritti che risalgono al 4° e 5° secolo della nostra èra. Di recente, però, sono state scoperte copie più antiche, rotoli in pergamena datati al 1° secolo della nostra èra. Queste – benché frammentarie – hanno rivelato che vi è presente il tetragramma. Non la traduzione del tetragramma, ma il tetragramma in lettere ebraiche antiche, in caratteri paleoebraici. Nella lingua greca antica, infatti, non esiste la traduzione del tetragramma. Il nome “Geova” che si trova nella letteratura biblica della Watchtower in lingua greca appartiene al greco moderno. Nel greco antico (e quindi anche nelle Scritture Greche) la parola non esiste proprio. Riassumendo i dati dell’indagine fatta sul come i traduttori hanno reso il tetragramma, abbiamo i seguenti nomi sostitutivi utilizzati:

• “Eterno”, a volte specificato con ETERNO, per ricordate che dietro c’è il tetragramma originale;

• “Signore”, a volte specificato SIGNORE, per ricordate che dietro c’è il tetragramma originale;

• “Yahvè”, “Jahvè”;

• “Geova” (TNM);

• “Jeova”, “Ieova”;

• κύριος (Kǘrios, “Signore”) oppure θεὸς (Theòs, “Dio”), nelle copie più recenti della LXX;

• יהוה, in alcune copie più antiche della LXX.

   Più interessante ancora è vedere come i primi traduttori delle Scritture Ebraiche in greco si siano trovati di fronte a varie scelte possibili quando si è trattato di tradurre o trascrivere il tetragramma. Eccole:

▪ Riprodurre il “nome” con caratteri dell’alfabeto ebraico quadrato: P. Fuad 266 (LXXP. Fouad Inv. 266), del 1° secolo a. E.

  V., in Dt 18:5;

▪ Riprodurlo con caratteri paleoebraici: Sl 91:2 nella Versione di Aquila (Aq) e Sl 69:13,30,31 in quella di Simmaco

  (Sym); entrambe le versioni vengono fatte risalire al 2° secolo E. V.;

▪ Abbreviare il tetragramma con l’uso di due yòd con un trattino in mezzo (י-י): P. Ossirinco 1007 di Gn, del 3° secolo E.

   V.;

▪ Sostituire il tetragramma con le lettere greche IAO (Lv 3:12;4:27 del P. 4QLXXLevb, risalente al 2° secolo a. E. V.;

▪ Sostituire il tetragramma col termine kǘrios: P. Chester Beatty (P45,46,47).

   Il nostro modestissimo parere è che “Signore” o “SIGNORE” sia una scelta non buona in quanto non fa altro che avvalorare il nascondimento del tetragramma proprio con la parola “Signore” (Adonày), come fecero i masoreti. In quanto a “Eterno” o “ETERNO”, ci sembra che questa parola, per quanto degna, abbia poco a che spartire con il tetragramma. Per ciò che riguarda “Yahvè” o “Jahvè”, ci sembrano meglio del certamente errato “Jeova” o “Ieova”, ma non siamo così sicuri che sia la pronuncia giusta, sebbene molto probabilmente lo sia. Del tutto da scartare è la forma “Geova”, in quanto dimostrata sicuramente errata e, oltretutto, offensiva per Dio perché gli attribuisce un nome illegittimo creato ad arte dai masoreti per nascondere la vera pronuncia del tetragramma. Inoltre, gli ebrei non pronunciavano di certo questo nome spurio: sapevano di dover leggere Adonày. Ora, perché mai noi dovremmo essere così sciocchi da leggere alla lettera un nome che nessuno leggeva proprio perché non era un nome vero? Ci rendiamo conto che ciò può urtare la suscettibilità del singolo Testimone di Geova. Per lui “Geova” è il vero Dio con cui pensa di avere un’intima relazione. Tuttavia, anche la povera vecchietta di paese che si rivolge alla statua della Madonnina con piena fiducia ha una fede (seppure a modo suo), e – per quanto errata – nessuno dovrebbe permettersi di offenderla. Forse anche qualche Testimone di Geova aveva prima una simile fede nella Madonna. E forse la sua sensibilità fu scossa quando apprese che si trattava solo di una statua e che la madre di Yeshùa è semplicemente morta e nulla più sa di ciò che avviene sulla terra ne potrebbe saperlo. Allo stesso modo potrebbe rimanere turbato apprendendo la falsità del nome “Geova”. Come rendere allora il tetragramma nelle traduzioni? Non abbiamo certo la pretesa di indicare una strada sicura ai traduttori. Sappiamo però come non va reso, e le ragioni le abbiamo esposte. Ci sembra poi di individuare nel metodo seguito dalla LXX in origine un modo corretto: lasciare il tetragramma così com’è. Nelle traduzioni italiane potrebbe essere traslitterato in lettere latine: Yhvh. E come dovrebbe essere letto? Un’indicazione forse ci viene dagli ebrei. E non si tratta di leggere Adonày. Gli ebrei devoti si ricolgono a Dio chiamndolo hashèm (השם), “il Nome”.