Parabola o realtà storica che sia, il libro di Giona ha un immenso valore spirituale.

   Sembra che sia una reazione al gretto spirito ebraico dell’epoca postesilica in cui vigeva un forte particolarismo nazionalista. La nazione ebraica doveva essere luce delle nazioni: “Molti popoli vi accorreranno, e diranno: ‘Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri’. Da Sion, infatti, uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore” (Is 2:3). Ma essa tradì la sua missione divina. Avevano sentimenti di odio verso i non ebrei. Lo stesso Neemia, che in quel tempo ebbe un ruolo importantissimo nel ripristinare la Legge, ebbe sentimenti di questo tipo verso gli stranieri, tanto che riguardo a quei giudei che s’imparentavano con i non ebrei dice: “Li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli, e li feci giurare nel nome di Dio che non avrebbero dato le loro figlie ai figli di costoro, e non avrebbero preso le figlie di quelli per i loro figli né per sé stessi”. – Nee 13:25.

   Giona raffigura il popolo di Israele che ebbe la missione di predicare alle nazioni il vero culto dell’unico vero Dio e il volere di Dio, ma che si era sottratto a tale compito augurandosi la distruzione dei nemici, secondo il legalismo a oltranza di certi gruppi fanatici. Proprio come Giona che scappò per non predicare, proprio come Giona che voleva la distruzione dei niniviti. Anche nel libro di Ester – che si riferisce a quel periodo – ci si rallegra dell’uccisione dei nemici.

   Come Giona fu inghiottito dal grosso pesce perché non voleva portare il messaggio divino a degli stranieri, così Dio fece inghiottire il popolo di Israele da nazioni nemiche (la Babilonia, l’Egitto, l’Assiria). Le potenze avversarie di Israele sono spesso raffigurate sotto il simbolo di un “mostro che è nel mare” (Is 27:1). Questo mostro marino inghiotte Israele:

“Certamente rivolgerò la mia attenzione a Bel in Babilonia, e certamente gli caverò di bocca ciò che ha inghiottito”. –  Ger 51:44, TNM.

   Come Giona fu liberato dalle fauci del grosso pesce, così Israele è liberato dalla bocca dal mostro marino che l’aveva inghiottita:

“Nabucodonosor, re di Babilonia, ci ha divorati, ci ha schiacciati, ci ha posti là come un vaso vuoto; ci ha inghiottiti come un dragone [תַּנִּין (tanìn)]; ha riempito il suo ventre con le nostre delizie, ci ha cacciati via. – Ger 51:34.

   Scampata, Israele è riammessa nella sua funzione di essere luce delle nazioni, proprio come Giona che scampato riceve nuovamente l’ordine di predicare. Ma il comportamento degli ebrei è sempre quello di un tempo: non può ammettere che Dio voglia salvare altri popoli al di fuori di Israele e s’indigna al pensiero che i pagani possano godere della luce divina.

   Anche il cantico di Giona (cap. 2) ci induce a questa interpretazione. Il suo ringraziamento non accenna per niente alla sua situazione nello stomaco del pesce, parla solo di “onde” simbolo di pericolo mortale: “Tu mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato, tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto” (Gna 2:4). Quando Giona prega non sa ancora come va a finire, eppure dice che Dio lo ha “fatto risalire dalla fossa” (Gna 2:7). Il cantico di Giona è un centone (componimento letterario composto da vari pezzi) che riguarda più di tutto la salvezza di Israele:

Il centone del cantico di Giona

Gna

(TNM)

Pezzo del centone

Riferimento

Sl

(TNM)

2:2

“Dalla mia angustia chiamai Geova, ed egli mi rispondeva. Dal ventre dello Sceol invocai soccorso. Tu udisti la mia voce” “Chiamai Geova nella mia angustia, Ed egli mi rispondeva” 120:1
“Nella mia angustia invocavo Geova”, “egli udiva la mia voce” 18:6

2:3

“Tutti i tuoi flutti e le tue onde, mi passarono sopra”

“Tutti i tuoi flutti e le tue onde,

Sono passati sopra di me”

42:7

2:4

“Dissi: ‘Sono stato cacciato d’innanzi ai tuoi occhi’” “Dissi: ‘Certamente sarò sterminato d’innanzi ai tuoi occhi’” 31:22

2:5

“Le acque mi circondarono fino all’anima” “Le acque sono giunte fino all’anima” 69:1
“Acque sono scorse sulla mia testa”. – Lam 3:54.

2:6

“Dalla fossa facevi risalire la mia vita” “Hai tratto la mia anima dallo stesso Sceol” 30:3

2:7

“Quando la mia anima venne meno dentro di me” “Quando il mio spirito venne meno dentro di me” 142:3

2:9

“Con la voce del rendimento di grazie certamente sacrificherò a te” “Offri rendimento di grazie come tuo sacrificio a Dio” 50:14
“La salvezza appartiene a Geova” “La salvezza appartiene a Geova” 3:8

 

   Si noti anche Gna 2:5 attentamente. In NR è tradotto: “Sono cacciato lontano dal tuo sguardo! Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?”; in TNM: “Sono stato cacciato d’innanzi ai tuoi occhi! Come contemplerò ancora il tuo santo tempio?’” (in TNM è al v. 4). Stando a queste traduzioni, il testo sembrerebbe dire che Giona, cacciato, non potrà vedere il Tempio. Non è così. Diodati ci mette sulla strada giusta: “Io sono scacciato d’innanzi agli occhi tuoi; ma pure io vedrò ancora il Tempio della tua santità”. Dice una cosa diversa: sebbene cacciato, “pure io vedrò ancora il Tempio della tua santità”. Questo è conforme all’ebraico:

נִגְרַשְׁתִּי מִנֶּגֶד עֵינֶיךָ אַךְ אֹוסִיף לְהַבִּיט אֶל־הֵיכַל קָדְשֶׁךָ

nigràshty minèghed enècha ach osìf lehabìt el-hechàl qodshècha

fui cacciato da di fronte occhi di te eppure continuerò guardare di tempio [la] santità di te

   Il testo quindi dice: “Sono stato cacciato dai tuoi occhi, eppure continuerò a guardare il Tempio della tua santità”. Ma come poteva Giona, nello stomaco del pesce, non sapendo ancora che sarebbe stato salvato (e quindi prevedendo la morte), affermare che nonostante tutto avrebbe continuato a vedere il Tempio? C’è in Giona il modello degli esuli ebrei, inghiottiti dal mostro marino babilonese, che – nonostante siano stati cacciati dallo sguardo di Dio – continuano a vedere il suo Tempio ovvero la stessa gente ebrea in esilio. Profetizzando la venuta di Yeshùa il Messia, di lui è detto che “entrerà nel suo tempio” (Mal 3:1). Yeshùa fu mandato alla nazione di Israele. Zaccaria, parlando di lui, profetizza: “Ecco un uomo, che si chiama il Germoglio, germoglierà nel suo luogo e costruirà il tempio del Signore” (Zc 6:12). Questo concetto del tempio-popolo è ribadito da Paolo: “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2:20-22). Ai pagani convertiti Paolo dice: “Non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (Ef 2:19), anzi, – come dice il testo greco – “membri della casa di Dio” (TNM), οἰκεῖοι τοῦ θεοῦ (oikèioi tù theù). “E la sua casa siamo noi” (Eb 3:6), dice Paolo.

   Giona, nel suo cantico (2:9), dice: “Quelli che onorano gli idoli vani allontanano da sé la grazia”. Si accenna qui agli idoli che costituiscono un pericolo perenne per Israele che è in esilio.

   La frase: “Adempirò i voti che ho fatto” (2:10), non si capisce che ci starebbe a fare sulla bocca di Giona prossimo alla morte nello stomaco del pesce. Ciò mostra ulteriormente che lo scrittore sacro, più che pensare a Giona, pensava alla dura situazione di Israele oppressa dall’esilio, di cui già vede la liberazione e la salvezza.

   Nell’ambiente razzista del giudaismo postesilico il libro di Giona si apre a un concetto alto e profondo che troveremo solo nell’ambiente di Yeshùa. Si osservi il tocco delicato con cui lo scrittore ispirato accenna agli innocenti bambini dei pagani di Ninive, quei niniviti che sono i più grandi nemici di Israele: “E io [dice Dio] non dovrei preoccuparmi di Ninive […]. Dopo tutto in essa vivono più di centoventimila […]”. – 4:11, PdS.

   Si osservi anche la grazia con cui l’autore dipinge i marinai: “I marinai ebbero paura e ciascuno chiese aiuto al suo dio” (Gna 1:5), “I marinai si dissero l’un l’altro: ‘Tiriamo a sorte per sapere chi di noi è la causa di questa disgrazia’. La sorte indicò Giona. Allora gli chiesero: ‘Dunque sei tu la causa di questa disgrazia? Che cosa fai qui? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? Qual è il tuo popolo?” (Gna 1:7,8. PdS). Quando Giona racconta loro la sua disubbidienza a Dio, commentano: “Hai commesso un’azione terribile!” (Gna 1:10, PdS). Giona chiede loro di essere buttato a mare, “i marinai invece, remando con tutte le loro forze, tentarono di portare la nave a una spiaggia” (Gna 1:13, PdS). Ma il tentativo è vano e il pericolo aumenta “perché la tempesta infuriava sempre più. Allora si rivolsero al Signore: ‘Ti preghiamo, Signore, se quest’uomo morirà non punirci come se avessimo ucciso un innocente!’” (Gna 1:13,14, PdS). Infine, “i marinai ebbero così paura del Signore che gli offrirono sacrifici e promisero di servirlo” (Gna 1:16, PdS). L’autore sacro tratta con riguardo i marinai, dipingendone la maniera cortese, il rispetto per la vita altrui, il sentimento religioso. Tutto ciò ci fa ammirare quei rozzi marinai che svelano un carattere delicato. Subito tremano davanti a Yhvh e gli offrono sacrifici.

   La delicatezza, quasi la tenerezza, dello scrittore ispirato continua nel dipingere i niniviti. Basta che Giona parli e subito quelli di Ninive si ravvedono rivestendosi di sacco, animali compresi. Gli ebrei, invece, – impersonati da Giona – resistono a Yhvh, sono restii, gli si oppongono, si dicono stanchi e vogliono morire per il comportamento del loro Dio che perdona. Mentre gli ebrei hanno bisogno del castigo per ravvedersi, i niniviti di Giona si ravvedono subito, prima che il castigo li opprima. Il loro ravvedimento, anzi, è tale che la bontà divina rimuove il castigo già decretato.

   Nessuno può sottrarsi a Yhvh che domina ovunque: “È stupenda per me la tua conoscenza; è al di là di ogni mia comprensione. Come andare lontano da te, come sfuggire al tuo sguardo?” (Sl 139:6,7, PdS). La misericordia di Dio è così grande che è sempre pronto a perdonare.

   Un fariseo, commentando la frase del Cantico: “Aprimi, sorella mia, amica mia, colomba mia, o mia perfetta!” (Cnt 5:2), così diceva: “Dio dice sempre a Israele: Figli miei, apritemi una porticina piccola piccola come la cruna di un ago ed io vi aprirò porte così ampie che vi potranno entrare carri e carrozze”. – Profeti, Ed. Dante Lattes, pag. 306.

   Visto così, il libro di Giona diviene una vera perla della letteratura ebraica.

   Per tutte le precedenti ragioni sembra possibile affermare che Giona è uno scritto didattico che riveste un profondo insegnamento spirituale e teologico. È una profezia che annuncia il messaggio delle Scritture Greche. Questa ipotesi non è per nulla un ripiego per sfuggire al miracolo, ma il risultato dell’indagine del libro biblico. Da quest’accurato esame appare come lo scrittore non intendesse affatto narrare una storia, ma una parabola.

   Tuttavia, si deve usare questa comprensione con prudenza, in modo da non scandalizzare i semplici. Se qualcuno legge la Bibbia credendo – per la sua mentalità semplice e non addentro al mondo semitico della Scrittura – che quello che legge è così come lo capisce punto e basta, e se questa persona è sincera nel voler ubbidire a Dio, chi siamo noi per controbattere? “In qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” (At 10:35). “Egli infatti ama tutti quelli che credono in lui e vivono secondo la sua volontà”. – PdS.

   Non insisteremo quindi sull’esatta comprensione della Scrittura. Chi vuol credere a una storia vera, realmente accaduta, narrata in Giona, lo creda. Ma quando ci saranno da confutare le obiezioni di chi trova nel libro serie difficoltà per accettarne l’ispirazione, allora sì che opporremo il rigore dello studioso. “Io sono libero. Non sono schiavo di nessuno. Tuttavia mi sono fatto schiavo di tutti, per portare a Cristo il più gran numero possibile di persone”, “Con i deboli nella fede, vivo come se anch’io fossi debole, per condurli a Cristo. Cerco di adattarmi a tutti per salvarne a ogni costo alcuni”. – 1Cor 9:19,22, PdS.

Conclusione

   Da quanto è stato esposto, dagli aramaicismi e dal tema generale (salvezza decretata per i pagani) si può ritenere che il libro sia stato composto in epoca postesilica (tra il 400 e il 200 a. E. V.). Di certo esisteva già al tempo dell’apocrifo Siracide, che ne parla in 49:10.

   Si può asserire che l’autore anonimo di Giona, ispirato, utilizzando qualche ricordo tradizionale di Giona ben Amittai (il suo amor patrio per aver promesso il ristabilimento dei vecchi confini davidici al re Geroboamo II, 2Re 14:25), abbia inteso sradicare dall’animo dei suoi concittadini il loro spirito razzista per inculcare che Yhvh è il Dio di tutti i popoli e che tutti ama di un medesimo amore.