Titolo. L’autore di Ecclesiaste si presenta nella figura di Salomone, figlio di Davide. Sul valore di quest’attribuzione si riveda bene ciò che è stato già detto nel precedente studio Ecclesiaste – Nome del libro e autore circa l’autore del libro. Qui ribadiamo che la procedura – non solo stilistica, ma soprattutto didattica – di attribuire dei detti ad un personaggio biblico importante è cosa normale per l’ebreo. La letteratura ebraica è piena di frasi del tipo “Mosè disse …”, “Abraamo rispose …”. L’ebreo che le legge sa benissimo che così non fu, ma ne riceve un insegnamento. Non si dimentichi mai che la Scrittura fu scritta da ebrei, sì ispirati, ma pur sempre ebrei che parlavamo ebraico e che pensavano con la mentalità degli ebrei. Il lettore occidentale moderno prende cantonate terribili se legge semplicemente una traduzione delle parole senza conoscere il modo di esprimersi ebraico. Questo è l’errore tipico che fanno i moderni “cristiani”. Se poi la loro matrice è anglo-americana, l’errore è quasi obbligato per via della loro mentalità. Ec 1:1 recita: “Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme”. E il lettore occidentale subito conclude: Non è scritto chiaro e tondo che si tratta di Salomone? Si fa presto a leggere dopo più di duemila anni una traduzione e a intenderla alla maniera del terzo millennio. Ma si fa anche presto a sbagliare. L’esame interno del libro e l’esame dell’ebraico mostrano che il libro non fu e non poteva essere stato scritto al tempo di Salomone (che, tra l’altro, non è vi mai neppure nominato). Se potessimo tradurre a beneficio del lettore occidentale, dovremmo dire: ‘Parole dell’Ecclesiaste, alla maniera del figlio di Davide, re di Gerusalemme’. L’ebreo non sarebbe mai un’espressione simile, ma direbbe (come in effetti dice): “Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme”.

   Poema sul lavoro (1:2-11). Salomone, richiamando la sua esperienza personale, mostra la vanità di tutto ciò che si compie, la vanità di ogni fatica umana.

“Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?”. – Ec 1:2,3.

   La vita umana appare al pensatore ispirato come uno sforzo vano per raggiungere l’inafferrabile felicità. Le generazioni si susseguono le une alle altre, come il perenne avvicendarsi della natura con i suoi cicli stagionali e diurni.

   Anche le innovazioni umane sono ripetizioni di eventi già passati e destinate fatalmente a ricadere nell’oblio. Anche se le scoperte segnano oggi un indubbio progresso del tutto nuovo (si pensi alla radio, alla televisione, alla telefonia mobile, all’informatica, alle missioni spaziali – solo per fare alcuni esempi), di fatto rimane pur sempre vero, anche oggi, che l’uomo – nonostante il grande progresso – non ha ancora trovato la felicità.