Josè O’Callaghan, lavorando su un’edizione fac-simile di frammento di papiro scritto in greco e proveniente dalla grotta n. 7 di Qumràn, esplorata nel 1955, ritenne di potervi individuare brani delle Sacre Scritture Greche (J. O’Callaghan, Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumrân?, in Biblica 1/53, pagg. 91 e sgg,. 1972). Tali frammenti di papiro furono editi nel 1962 in una raccolta curata da M. Baillet, J. T. Milik e R. De Vaux. – Les petites grottes de Qumrân, Oxford, 1962.

I ritrovamenti di Qumràn

   Qumràn è una località che si trova nello stato d’Israele, sulla riva occidentale del Mar Morto (vicino alla rovine di Gerico). Questo luogo fu costruito tra il 150 e il 130 a. E. V.; nell’anno 68 della nostra èra fu distrutto dalla decima legione romana comandata da Tito. Qumràn divenne famosa nel mondo quando vi furono scoperti gli ormai celebri Manoscritti del Mar Morto. Dapprima le rovine del monastero (in cui si pensa fosse vissuta la comunità degli esseni) furono scambiate dagli archeologi come rovine di una fortificazione romana e quindi escluse da un esame scrupoloso. Però, dopo l’entusiasmante scoperta (nel 1947) di quello che ora è famoso come Rotolo del Mar Morto di Isaia, tale sito archeologico fu rivalutato. Si scoprì allora che le rovine appartenevano ad una comunità ebraica che viveva lì isolata e che i rotoli ritrovati nelle vicine grotte (poste tra dirupi) erano stati nascosti in quei punti dai membri di questa comunità.

   Nel 1947 un pastore beduino, un ragazzo di nome Muhammad Ahmad al-Hamid, detto Muhammad al-Dīb (Maometto il lupo), scoprì per caso (inseguendo una capra) quella che è oggi la grotta n.1. Insieme ad un compagno scoprì poi delle giare di terracotta contenenti dei rotoli avvolti in teli di lino. Tali rotoli furono venduti ad un commerciante in un mercato di Betlemme. L’acquirente era tale Khalil Iskandar Shahin, un cattolico siro, che rivendette i rotoli per 97,20 dollari a Athanasius Yeshue Samuel, metropolita di Gerusalemme. A sua volta costui li portò negli Stati Uniti in cerca di un nuovo acquirente. Intanto, altri tre rotoli furono acquistati dal professor Eliezer Lipa Sukenik, dell’Università Ebraica di Gerusalemme; in seguito, costui acquistò l’intero blocco dei manoscritti dal mercante di Betlemme cui si erano rivolti i beduini. Gli istituti culturali israeliani si diedero allora da fare per recuperare anche i manoscritti di Athanasius Yeshue Samuel, che non li avrebbe mai ceduti ad un ebreo. Grazie anche ai servizi segreti israeliani, fu inventato un intermediario che li acquistò. Nel 1955 Israele annunciava alla nazione che i rotoli erano stati tutti recuperati. Nel 1967 furono esposti. Negli anni successivi altre grotte (sia nelle vicinanze di Qumràn, sia in altre zone del deserto di Giuda) e fessure nelle rocce furono esaminate; una trentina di queste resero materiale manoscritto. Oggi, tutto questo materiale è dislocato nel Museo d’Israele e nel Museo Rockfeller (ambedue a Gerusalemme), ad Amman e nella Biblioteca Nazionale di Parigi; vari frammenti appartengono a istituti privati o a dei privati.

   I Rotoli del Mar Morto sono composti da circa 900 documenti, compresi testi del Tanàch, la Bibbia ebraica o Scritture Ebraiche (circa il 30%). Sono presenti anche numerosi testi apocrifi, come i libri di Enoc, Giubilei, Tobia, Siracide, Salmi non canonici (circa il 40%). Sono poi presenti dei manoscritti della setta essena, come la Regola della Comunità, il Rotolo della guerra, la Regola della Benedizione (circa il 30%). – Cfr. J. Abegg, P. Flint, E. Ulrich, The Dead Sea Scrolls Bible: The Oldest Known Bible Translated for the First Time into English, San Francisco, Harper, 2002.

   I manoscritti sono per lo più su pergamena, ma alcuni scritti sono su papiro. I manoscritti datano tra il 150 a. E. V. e il 70 della nostra èra (cfr. F. F. Bruce, The Last Thirty Years, Story of the Bible, edizioni F. G. Kenyon, 2007). Questi manoscritti antichissimi, racchiusi in anfore, furono preservati dalla furia distruttrice dei romani. Fu fra il 68 e il 73 della nostra èra, negli anni della rivolta ebraica, che gli esseni furono sottomessi dai romani. Per paura della devastazione romana, gli abitanti di Qumràn nascosero i rotoli nelle grotte, dove sono rimasti per due millenni. I più antichi manoscritti biblici erano scritti su papiro, che era particolarmente fragile e deperibile, perciò non sarebbero durati a lungo se non fosse stato per le condizioni davvero eccezionali del clima molto secco delle grotte del Mar Morto.

Il frammento 7Q5

   Tra alcuni di questi papiri si è trovato un frammento che si adatterebbe perfettamente ad un brano del Vangelo di Marco. Questa fu una notizia eccezionale poiché i rotoli sono sicuramente antecedenti la distruzione di Gerusalemme del 70 della nostra èra. Sono datati intorno al 68. Confermerebbero innanzitutto la figura storica di Yeshùa, ed inoltre l’esistenza di brani di scritti sulla sua vita già poche decine di anni dopo la sua morte; scritti molto simili a quelli giunti fino a noi.

   La sigla 7Q5 sta ad indicare: 7 = grotta n. 7; Q = Qumràn; 5 = frammento n. 5. Questo frammento misura circa 39×27 mm ed è scritto in greco su un solo lato. Vi si leggono una decina di lettere, non tutte chiaramente identificabili, disposte su quattro righe (cinque, se si considera anche la prima dove è visibile a malapena un piccolo tratto di inchiostro). Chi desiderasse vedere il frammento può trovarlo in Internet, digitando “7Q5” nella sezione Immagini del motore di ricerca Google.

   All’analisi paleografica, il 7Q5 è risultato essere databile intorno al 50 a. E. V. – 50 E. V.. Il papirologo gesuita Josè O’Callaghan sostenne nel 1972 che tale frammento contenesse una piccola sezione di Mr, più precisamente Mr 6:52,53. Negli anni ’80 gli fece eco il papirologo tedesco C. Peter Thiede. – Cfr. Carsten Peter Thiede, The Earliest Gospel Manuscript?: the Qumran Papyrus 7Q5 and its Significance for New Testament Studies, Exeter, Paternoster Press1992.

   Attualmente tale ipotesi è rigettata in massa dagli studiosi. – Cfr. J. K. Elliot (2004), Book Notes, Novum Testamentum, Volume 45, N. 2, pag. 203, 2003; G. Stanton, Jesus and Gospel, pag. 203, Cambridge University Press, 2004; J. A. Fitzmyer, The Dead Sea scrolls and Christian origins, pag. 25, B. Eerdmans Publishing, 2000.

   Se l’ipotesi di O’Callaghan fosse confermata, avremmo materiale biblico addirittura della metà del primo secolo. Va detto che nella grotta n. 7 sono stati trovati solo manoscritti in greco e nessun reperto in aramaico o in ebraico. Ciò però non è sufficiente per ipotizzare un nascondiglio dei seguaci di Yeshùa, come tentò di fare C. M. Martini (cfr. Note sui papiri della grotta 7 di Qumrân, in Biblica 1/53, pagg. 102 e 103, 1972). La completa estraneità dei discepoli di Yeshùa rispetto agli esseni è ormai un dato di fatto.

   Vediamo ora il testo del frammento 7Q5.

 

1a linea

] . [

2a linea

                        ] . T ω I A . [

3a linea

] H    K A I   T ω [

4a linea

                             ] N N H C [

5a linea

] Θ H E C [

 

   Le parentesi ] e [ stanno a indicare il testo mancante (all’interno delle parentesi). Il segno . indica una traccia, spiegata nello schema più sotto. In carattere rosso le dieci lettere che appaiono identificate con sicurezza, anche se alcuni studiosi dissentono. In blu le lettere ricostruite. Precisiamo:

 

1a linea

Tracce di èpsilon (Ε) o theta (Θ) o òmicron (Ο) o sigma (Σ*).

2a linea

Dopo l’alfa (A) forse c’è una pi (Π), ma le tracce appaiono troppo basse.

3a linea

All’inizio una probabile eta (H). L’ultima lettera sembra omega (ω) o òmicron (O).

4a linea

Alla fine: traccia arcuata di un sìgma (C). L’apparizione di ΕΓΕΝΝHCΗΝ (eghènnesen) è solo una suggestione.

5a linea

Prima lettera: òmicron (O) o forse thèta (Θ); terza: èpsilon (E) o sigma (C) – il tratto mediano non è sicuro; quarta: sigma (C) o èpsilon (E) o thèta (Θ).

* Il sigma (Σ) era scritto anticamente C.

 

 

Considerazioni paleografiche

 

   Linea 1. La traccia d’inchiostro sulla parte sinistra è molto controversa. O’Callaghan e Thiede ipotizzano essere una èpsilon (E), la “e” greca, qui minuscola. L’Editio Princeps di Boismard non si oppone. Chi si oppone è la studiosa Spottorno, che ipotizza una tàu (T), la lettera “t” greca, qui in maiuscolo. Sulla parte destra del frammento lo studioso Muro vede la una òmicron (O), la lettera “o” greca, corta, oppure di una omega (Ω), la lettera “o” greca lunga. Il fatto è che qui il papiro è danneggiato: ci vuole fantasia per leggervi una lettera.

   Linea 2. Il gruppo centrale ΤΩ è accettato. La tàu (T), la lettera “t” greca, non lascia dubbi. Così anche l’omega (ω). La Spottorno propone invece una gamma (Γ), la lettera “g” greca. Muro ammette il gruppo ΤΩ, dopo il quale la Editio Princeps ipotizza la presenza di uno iota (ascritto) seguito da un’alfa. Il Prof. Thiede vede in questa posizione una sola lettera, una N, confermata anche dal microscopio elettronico del Dipartimento di Investigazione e Scienza Forense della Polizia Nazionale israeliana. La presenza di questa N ha un’importanza sostanziale: la lettura di O’Callaghan sarebbe esatta. Non tutti concordano però con le conclusioni della perizia israeliana. Lo studioso A. Malnati, dell’Università di Strasburgo, propone una M. Il fatto è che nel papiro manca un esempio di M con cui effettuare un confronto. Va detto che dall’osservazione del 7Q5 una M appare improbabile.

   Linea 3. La prima lettera a sinistra è una èta (H), la lettera “e” lunga greca, accettata da O’Callaghan, Thiede e Muro. Le fotografie all’infrarosso fatte del papiro (cfr. P. Benoit in Revue Biblique 79, pag. 322, 1972) confermano. La professoressa Maria Victoria Spottorno vi intravede invece una sigma (che veniva scritto C), la lettera “s” greca. Altre ipotesi vi vedono tracce di una pi (Π), la lettera “p” greca. Di questa terza linea sono sicure le quattro lettere K, A, I, e la successiva T. L’ultima lettera, quella dopo la T, è discussa. Per O’Callaghan e Thiede si tratta di uno iòta (I), la lettera “i” greca.

   Linea 4. La sequenza NNHC è accettata da tutti, compresa la Spottorno. Questa sequenza di lettere è piuttosto rara nella letteratura greca antica. La si ritrova anche nell’apocrifo 1Maccabei in 11:67, dove compare nella parola  “Genèsaret”: ΓΕΝΝΗΣΑΡ (GHENNESAR); si rammenti l’uguaglianza di Σ e di C. Non si pensi però che il 7Q5 faccia riferimento a 1Maccabei in 11:67: il resto delle lettere non combacia. Questa sequenza di lettere è caratteristica delle genealogie: in greco ΓΝΝΗΤΟΣ (GHENNETÒS) significa “generato” e ΓΕΝΝΗΣΙΣ (GHÈNNESIS) “nascita” o “generato” se aggettivo.

   Linea 5. Qui è sicura solo la èta (H), che tutti accettano: si legge molto chiaramente sul papiro. La prima lettera, secondo O’Callaghan e Thiede, è una tèta (Θ). Le riproduzioni fotografiche mostrano una lettera tondeggiante: una òmicron (O) oppure, appunto, una tèta (Θ). L’ultima lettera appare come una sigma (C) secondo O’Callaghan e Thiede.

Il confronto

   Vediamo ora il confronto con Mr 6:52,53. Ne riportiamo il testo greco in maiuscole, evidenziando le lettere che combaciano con quelle del frammento 7Q5 (rispettando la colorazione rossa e blu adottata sopra).

 

52 ΟY ΓAΡ ΣΥΝHΚΑΝ EΠI ΤΟIΣ AΡΤΟΙΣ, AΛΛ’ HΝ ΑYΤΩΝ H ΚΑΡΔIΑ ΠΕΠΩΡΩΜEΝΗ.

53 ΚΑI ΔΙΑΠΕΡAΣΑΝΤΕΣ EΠI ΤHΝ ΓHΝ HΛΘΟΝ ΕIΣ ΓΕΝΝΗΣΑΡEΤ ΚΑI ΠΡΟΣΩΡΜIΣΘΗΣΑΝ.

 

   La traslitterazione in lettere latine è: 52 u gar sünèkan epì tòis àrtois, all’èn autòn e kardìa peporomème. 53 kài diaperàsantes epì ten ghen èlthon èis Ghennesarèt kài prosormìsthesan. La traduzione letterale, parola per parola, è: “52 Non infatti avevano capito circa i pani, ma era di loro il cuore indurito. 53 Ed essendo passati oltre su la terra vennero a Genezaret e approdarono”.

   Note.

   Riguardo a Δ – suono “d” – si sarà notato che nel papiro compare una tàu (T) – suono “t” – e non una dèlta (Δ). Perché allora si accetta Δ? Si è postulato quello che in fonologia si chiama “cambio deltatau”: il copista avrebbe confuso tra loro le due consonanti dentali, scrivendo una tau al posto di una delta. È da prendere in seria considerazione che nel 1° secolo il cambio di delta con tau fosse cosa comune nel modo di scrivere e pronunciare alcune parole in Palestina. Lo stesso O’Callaghan spiega: “Quando vidi che alcuni assunsero questo [il cambio delta-tau] come obiezione, mi recai presso la Biblioteca del Pontificio Istituto Biblico e scrissi una nota, che fu pubblicata nella rivista Biblica, circa la frequenza del cambio delta-tau nei papiri biblici. E ripeto quello che ha detto la professoressa Montevecchi, una eminenza in papirologia: obiettare questo cambio delta-tau è quasi ridicolo, a motivo della possibilità e ammissibilità del cambio. E di fatto esistono numerosi casi dello stesso errore, compreso perfino un graffito in greco su pietra, dei tempi di Erode, dove è evidente che avrebbero dovuto badare di più alla scrittura”. – Cfr. J. O’Callaghan, El cambio δ > τ  en los papiros biblicos, in Biblica 54, pagg. 415-16, 1973.

   L’allusone fatta da O’Callaghan riguarda l’iscrizione su pietra in una lapide che ai tempi del re Erode il Grande sarebbe stata addirittura posta nel secondo recinto del Tempio di Gerusalemme. Ci troviamo quindi al tempo di Yeshùa. Questa lapide è conservata a Istànbul al Museo Nazionale della Turchia e un frammento è conservato al Museo Rockefeller di Gerusalemme. L’esistenza di tale iscrizione presso il Tempio è confermata anche da Giuseppe Flavio (cfr. Antichità Giudaiche, 15,417). Questa epigrafe contiene la nota intimazione agli stranieri di non superare il confine delimitato dal recinto del Tempio. Lo straniero che varcava la soglia rischiava la vita. Ora, la scritta reca chiaramente la parola ΤΡΥΦΑΚΤΟΝ (TRÜFAKTON); ma questa parola è sbagliata: dovrebbe essere ΔΡΥΦΑΚΤΟΝ (DRÜFAKTON). Si tenga presente che si tratta di un’iscrizione pubblica che era vista e letta tutti i giorni da moltissime persone. Il che conferma che ai tempi di Yeshùa, nel periodo quindi in cui fu scritto il papiro 7Q5 (datato tra il 50 a. E. V. e il 50 E. V.), il cambio delta-tau era cosa comune, almeno per alcune parole, a Gerusalemme.

   I suoni “d” (greco δ) e “t” (greco τ), ambedue dentali, sono molto simili. Nei manoscritti antichi si riscontrano casi di confusione tra queste due lettere. I manuali di fonologia attestano questo fenomeno. – Cfr.  E. Mayser, Grammatik der griechischen Papyri aus der Prolomäerzeit, I, 1, pag- 175, Leipzig, 1906; L. Radermacher, Neutestamentliche Grammatik. Das Griechish des Neuen Testaments im Zusammmenhang mit der Volkssprache, pag. 46, Tübingen, 1925.

   Numerosi passaggi biblici hanno il passaggio da δ a τ; fra essi P66, il papiro più antico del Vangelo di Giovanni, e i papiri più antichi del Vangelo di Luca, P4 e P75 (Cfr. C. P. Thiede, I rotoli del Mar Morto – le radici ebraiche del cristianesimo, Mondadori, 2003). Nei papiri esistono poi esempi documentati di cambio delta-tau prima di uno iota, come nel nostro caso. “In maniera abbastanza naturale vi sono, approfondendo l’esame, altri esempi del passaggio da delta a tau prima di uno iota. [F.T. Gignac ha elencato diversi esempi rilevanti nella sua Grammar of Greek Papyri of the Roman and Bizantine Periods, I Phonology, Milano, 1976, pagg. 80-83.] Per esempio in un documento datato al 42 d.C. troviamo tikes invece di dikes e ancora, in un documento datato al 132 d.C., troviamo tiakosias invece di diakosias”. – C. P. Thiede, Il papiro di Magdalen la comunità di Qumran e le origini del Vangelo, Piemme, 1997.

   Nei manoscritti antichi abbiamo anche il caso opposto: il passaggio da tau a delta; ad esempio, nel Codex Claromontanus (6° secolo) in Eb 10:29 è scritto δοκεῖδε (dokèide) invece di δοκεῖτε (dokèite) che è la forma corretta. Questo fenomeno è presente anche nella lingua italiana. In alcune popolazioni dell’Italia meridionale è comune sentire nella pronuncia una “d” dove ci vorrebbe invece una “t”: ad esempio, mondagna invece di montagna oppure Andonio invece di Antonio. Diversi decenni or sono, le persone poco scolarizzate facevano questo errore anche nello scritto.

   Tornando al frammento 7Q5, la chiave decisiva per identificarvi il passo marciano di 6:52,53 sta nella parola greca Ghennesarèt: Γεννησαρὲτ, la città o regione di Genezaret. La sequenza ννησ (nnes) è infatti ben visibile e leggibile sulla quarta riga del frammento. Potrebbe questa sequenza far riferimento ad un’altra parola di un altro testo? Ben difficilmente, dato che questa sequenza compare raramente nella letteratura greca antica. Qualcuno, è vero, ha suggerito di leggere questa sequenza (ννησ, nnes) come se fosse all’interno della parola ἐγέννησεν (eghènnesen), “generò”; in tal caso il testo farebbe parte di una genealogia. Il fatto è, però, che non si conosce alcuna genealogia che sia rispondente al resto delle lettere.