Quali sono le fonti che abbiamo per conoscere la vita dell’apostolo Paolo? In prima linea abbiamo gli scarni cenni autobiografici che si rinvengono nell’epistolario paolino, benché questi cenni abbiamo generalmente l’intento apologetico di mostrare che il suo apostolato non è inferiore a quello dei dodici apostoli, sebbene Paolo non venga mai presentato come uno di loro.

   Sotto quest’aspetto sono importanti Gal 1:11-2:4 (sua vocazione; andata in Arabia, a Gerusalemme e ad Antiochia); 2Cor 11:22;12:10 (suo lavoro, suoi pericoli e sue visioni); 1Cor 15:8 e sgg. (visione di Yeshùa risorto); 1Cor 16:5-9, Rm 1:13, 2Cor 1:15,16 (propositi di viaggio compiuti o solo desiderati); 2Cor 12:7 (insulti di satana). Si tratta però sempre d’indicazioni frammentarie.

   Gli Atti degli apostoli, nella loro seconda parte, sono una descrizione dei viaggi missionari paolini per evangelizzare il mondo (cap. 9, sua chiamata; dal cap. 13, suoi viaggi culminanti a Roma). Si tratta però sempre di un racconto incompleto riferito per sottolineare certi aspetti della chiesa o congregazione, tacendone altri che sarebbero per noi importanti come risulta dal confronto con le lettere paoline. Secondo l’uso del tempo, l’autore di Atti (Luca) mette in bocca all’apostolo dei discorsi storici che in realtà sono stati rielaborati artisticamente da parte del narratore. Così, sappiamo ben poco del periodo successivo alla sua chiamata e della lunga permanenza di Paolo a Corinto e a Efeso. – At 18:1-18;19:1-20:1.

   Da Pietro sappiamo solo che esisteva già una raccolta delle lettere di Paolo che viene chiamato “caro fratello”. – 2Pt 3:15,16.

   Da Clemente Romano abbiamo una conferma dell’andata di Paolo a Roma e della sua morte per la “gelosia” di altri (1Clemente 5,2-6,1). Del progettato viaggio di Paolo in Spagna non abbiamo indizi sicuri né da Clemente né dal Frammento Muratoriano.

Sulla vita di Paolo prima della vocazione

   Come molti ebrei del suo tempo, il futuro apostolo ebbe due nomi di suono alquanto simile, ebraico l’uno ed ellenista l’altro (usato specialmente nel contatto con i pagani). Nomi abbinati greci e semiti sono frequenti nell’onomastica, come Giasone-Yason (da Yeshùa). Nelle iscrizioni sepolcrali delle catacombe romane vi sono nomi latini accanto a quelli semiti.

   Il nome ebraico era Shaùl (שָׁאוּל), il nome del primo re della nazione ebraica, con il senso di “desiderato”. Il nome è esattamente lo stesso, sebbene nel greco il re venga chiamato “Saùl” (Σαοὺλ) e l’apostolo “Sàulos” (Σαῦλος): “Richiesero un re, e Dio diede loro Saul [Σαοὺλ, Saùl]” (At 13:21, TNM) e , proprio nello stesso capitolo, al v. 9: “Saulo [Σαῦλος, Sàulos], che è anche Paolo”. – TNM.

   Come cittadino romano si chiamava Pàulos (Παῦλος), dal latino paulus (“piccolo”).

   Nei primi dodici capitoli di At il futuro apostolo è sempre chiamato Saulo, ma dal capitolo 13 si comincia a chiamarlo Paolo. Questo fatto ha indotto molti a credere che l’apostolo si chiamasse Saulo ma che dopo la sua chiamata assumesse il nome di Paolo. Si parla così di Saulo persecutore e di Paolo “convertito”. Sebbene quest’opinione sia radicata nell’immaginario popolare, biblicamente è una gran sciocchezza. Tanto per cominciare, quando Yeshùa lo chiama sulla via per Damasco, usa il suo nome ebraico: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9:4). E così lo chiama anche Luca subito dopo la chiamata: “Saulo si alzò da terra” (9:8). Ad Anania, incaricato di accogliere il suo nuovo discepolo, Yeshùa comanda: “Cerca in casa di Giuda uno di Tarso chiamato Saulo” (9:11). E Anania così gli si rivolge: “Fratello Saulo” (9:17). Ma improvvisamente, dal cap. 13 Saulo è sempre e solo chiamato Paolo. Perché? Perché avviene un cambiamento di punto focale. At mira a spianare la strada del procedere del vangelo da Gerusalemme a Roma: “Riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (1:8). Il cambiamento di nome ha a che fare con questo. E con il fatto che dal cap. 13 inizia la predicazione ai pagani, presso i quali era più adatto il nome romano. Questo cambiamento ha luogo in 13:9, dove si spiega che si tratta della stessa persona: “Allora Saulo, detto anche Paolo […]”. Si noti: “detto anche”, non ‘divenuto’. Saulo, che ama farsi tutto a tutti, abbandona il suo nome semita per proclamarsi (anche tramite il nome) portatore del vangelo ai pagani. – 13:3-13; circa la presunta conversione di Paolo si veda lo studio L’apostolo Paolo non si convertì mai, in questa stessa categoria.

   Qualche studioso avanza la teoria del cambiamento di nome in omaggio alla conversione del proconsole Sergio Paolo, narrata in 13:6-12. Che ciò non sia scritturale è dimostrato dal fatto che l’apostolo viene chiamato Paolo (v. 9) prima della conversione del proconsole. – V. 12.

Nascita di Paolo

   L’apostolo delle genti nacque verso l’inizio dell’Era Volgare, poiché nella sua prigionia romana egli si dice “vecchio”: “Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù” (Flm 9). La parola greca è πρεσβύτης (presbΰtes). L’americana TNM – che spesso ama le stravaganze – traduce presbΰtes con un giro di parole: “uomo d’età avanzata” e nella nota in calce – come se niente fosse – dice: “O, ‘ambasciatore’”. In 1Tm 5:1, però, traduce la stessa parola con “uomo anziano” (TNM) e al v. 19 dello stesso capitolo solo con “anziano” (TNM). Misteri delle traduzioni. Comunque, la parola greca presbΰtes si applicava allora ad un uomo verso la sessantina.

   Dalla nascita Paolo possedeva il diritto di cittadinanza romana, per cui a Gerusalemme davanti al tribunale che lo accusava affermò con fierezza: “Civis romanus sum” (“Sono cittadino romano”). L’acquisizione di tale diritto era molto difficile, poiché occorreva essere conosciuti personalmente dall’imperatore oppure essersi distinti in azioni militari oppure ottenere tale dignità da qualche funzionario venale. In quest’ultimo modo dovette aver fatto il tribuno Lisia, che al tempo del debole imperatore Claudio abusava dell’amministrazione imperiale: “Il tribuno andò da Paolo, e gli chiese: ‘Dimmi, sei romano?’. Ed egli rispose: Sì’. Il tribuno replicò: ‘Io ho acquistato questa cittadinanza per una grande somma di denaro’. E Paolo disse: ‘Io, invece, l’ho di nascita’”. – At 22:27,28.

   Come aveva ottenuto la cittadinanza romana la famiglia di Paolo? Il direttivo d’oltreoceano dei Testimoni di Geova ipotizza: “Era cittadino romano dalla nascita (At 22:28), avendo forse suo padre ottenuto la cittadinanza per servizi resi allo stato romano” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 2, pag. 477, alla voce “Paolo”, § 2). La verità è che è del tutto infruttuoso almanaccare come e quando gli antenati di Paolo abbiano ottenuto la cittadinanza romana.

   Il fatto che Paolo sia stato battuto con verghe (At 22:24,25) era del tutto contrario alla sua dignità di cittadino romano: la cosa era del tutto vietata. Tuttavia, un abuso di potere era pur sempre possibile: “Quelli che stavano per sottoporlo a interrogatorio, si ritirarono subito da lui; e anche il tribuno, sapendo che egli era romano, ebbe paura perché l’aveva fatto legare”. – V. 29.

   Una tradizione conservataci da Girolamo fa nascere Paolo a Giscala (El Gis), da cui i genitori fuggiaschi dalla Palestina devastata l’avrebbero portato via forse nel 4 a. E. V., durante la sommossa al tempo di Quintinio Varo (Girolamo, De viris illustribus 5PL 23,615; cfr. Ad Philonem PL 25,653). Si tratta tuttavia di un’indicazione di data troppo tardiva e nebulosa per essere preferita all’affermazione di At in cui Paolo si proclama nativo di Tarso: “Io sono un giudeo di Tarso, cittadino di quella non oscura città di Cilicia” (21:39), “Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia” (22:3). Forse fu la famiglia, che prima abitava a Giscala, a trasferirsi a Tarso dove nacque Paolo. Il fatto che i genitori fossero cittadini romani suppone una loro permanenza alquanto prolungata nella città cilicea. Può anche darsi, però, che l’insediamento della famiglia a Tarso non fosse di antica data, giacché stretti legami la vincolavano ancora alla Palestina.

   In casa di Paolo si doveva parlare aramaico, oltre che greco. Si spiegherebbe così l’“ebreo figlio d’Ebrei” (Flp 3:5), vale a dire giudeo di razza e non proselito, giudeo poi di lingua aramaica e non giudeo di lingua ellenistica. Una sorella dell’apostolo si trovava ancora accasata a Gerusalemme, dove la congiura ordita contro Paolo fu appunto sventata da un nipote dell’apostolo che ne avvisò lo zio materno: “Il figlio della sorella di Paolo, venuto a sapere dell’agguato, corse alla fortezza, ed entrato riferì tutto a Paolo”. – At 23:16.

   Paolo, dunque, nacque a Tarso, “non oscura città di Cilicia” (21:39). In verità, Tarso era una delle più antiche città dell’Asia Minore (moderna Turchia): già verso il 1200 a. E. V. possedeva, al tempo degli ittiti, una grande importanza. Ricordata sull’obelisco nero di Salmanasar III, re d’Assiria (858-824 a. E. V.) e ricordata dal libro apocrifo di Giuditta nell’itinerario di Oloferne (Giuditta 2:23), il suo nome riappare all’epoca di Sennacherib, che la conquistò nel 698 a. E. V.. Le truppe di Ciro la saccheggiarono verso il 528 a. E. V., Alessandro Magno vi penetrò nel 333 a. E. V.. Morto Alessandro il Grande, passò con tutta la Cilicia sotto il dominio di Seleuco Nicatore I che le impose un nome nuovo durato ben poco. Divenne così una metropoli intellettuale, dove fiorirono i più grandi maestri della filosofia stoica.

   Conquistata nel 64 a. E. V. dai romani, Pompeo vi stabilì la capitale della Cilicia, inaugurandovi un’epoca di splendore che si protrasse per un secolo. Tarso fu adornata di numerosi monumenti, ebbe una scuola che non aveva nulla da invidiare a quella di Atene e di Alessandria (cfr. Strabone 14,5,13,14). Su un lago artificiale, Tarso si costruì un suo porto che, attraverso un canale collegato al mare, le permise di svolgere un’intensa attività commerciale.

   Dimostratasi fedelissima all’impero, Tarso ricevette dagli imperatori romani numerose testimonianze di benevolenza. Al tempo di Giulio Cesare le fu dato l’appellativo di juliopolis o “città di Giulio”. Marco Antonio – che a Tarso incontrò Cleopatra per la prima volta – diede alla città l’autonomia. Augusto confermò e accrebbe i privilegi che Marco Antonio aveva concesso ai cittadini tarsioti.

   Pur soggetta all’impero romano, Tarso conservava il modo di vivere, i culti e le usanze orientali, con l’organizzazione propria di una polis (città) ellenistica. A Tarso coabitavano greci, romani, ebrei, siri e anatolici.

   La cittadina dei nostri tempi ha perso, con il porto e le industrie, tutto l’antico splendore. Ora non le rimane che la gloria morale d’aver dato i natali al grande apostolo. I moderni tarsioti preferiscono chiamare “Porta di San Paolo” quella che ufficialmente è la “Porta di Cleopatra” (e che altri storpiano in “Porta della Perfidia”).

   Dalle alture vicine alla città di Tarso molte volte il giovane Paolo dovette abbracciare con lo sguardo le vette nevose del Tauro e le vele bianche delle navi che attraverso il canale giungevano dal Mediterraneo sin sotto le mura cittadine. Ma quelle viste così belle non dovettero lasciare alcuna impronta nell’animo dell’apostolo, che non appare commosso dalle bellezze naturali. Sotto quest’aspetto, Paolo è molto diverso dai profeti e da Yeshùa che sanno trarre dalla natura magnifici spunti d’insegnamento (“Guardate gli uccelli …”, “Guardate i gigli dei campi …” – Mt 6:26,29). Il terreno in cui Paolo mostra un’acuta genialità è invece la psicologia umana. Si veda, ad esempio, Rm 7 in cui tratta della lotta tra il bene e il male che si svolge nella mente umana. Per lui la natura non è altro che un complesso di creature gementi sotto il peso della colpa umana e in attesa della redenzione: “La creazione geme ed è in travaglio”. – Rm 8:22.

   L’interesse di Paolo è piuttosto rivolto all’attività dell’uomo. In questo è in perfetta sintonia con la mentalità moderna. Egli s’interessa delle attività sportive, da cui trae esempi per i suoi insegnamenti. Egli ricorda i giochi ellenici, l’agilità dei romani sotto il peso delle armature. Parla anche degli schiavi dei mercati orientali, dei palazzi costruiti dall’ingegno umano. Sono questi i fenomeni cui s’ispira per trarne i suoi insegnamenti.