Alcuni studiosi, pur ammettendo che le sue lettere dal carcere siano state scritte da Paolo a Roma, fanno un’eccezione per quella ai filippesi che – per stile e contenuto – è più vicina alle grandi epistole paoline che non le altre lettere dal carcere. Questi studiosi ritengono che Flp sia stata scritta antecedentemente da Efeso. Anche se le ragioni non sono definitive, è utile prenderle in considerazione.

   Una ragione starebbe nel fatto che la prigionia di Paolo sarebbe presentata in Flp come un fatto recente, accaduto da poco: “Sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo” (1:30). Ciò – si sostiene – sarebbe incomprensibile nel caso di una prigionia romana poiché questa doveva essere un fatto ben noto da tempo.

   A Roma i soccorsi dei filippesi sarebbero arrivati con molto ritardo, vista l’enorme distanza tra Filippi e Roma. Paolo lo sapeva. Non si capirebbe dunque come mai Paolo possa scrivere loro che fino al quel momento non avevano avuto occasione di soccorrerlo: “Finalmente avete rinnovato le vostre cure per me; ci pensavate sì, ma vi mancava l’opportunità”, “Anche a Tessalonica mi avete mandato, una prima e poi una seconda volta, ciò che mi occorreva”. – 4:10,16).

   La minore distanza tra Filippi ed Efeso (sette giorni di camino) renderebbe più facile lo scambio di notizie. Così si spiega come Epafròdito abbia saputo in fretta che i suoi concittadini erano preoccupati per lui: “Ho ritenuto necessario mandarvi Epafròdito […] egli aveva un gran desiderio di vedervi tutti ed era preoccupato perché avevate saputo della sua malattia” (2:25,26). La minore distanza spiegherebbe anche i ripetuti viaggi (almeno quattro o cinque) supposti nella lettera.

   La prigionia di cui si parla nella lettera sembra avere un epilogo imminente: “Ho questa ferma fiducia: che rimarrò e starò con tutti voi” (1:25), “Spero dunque di mandarvelo [Epafròdito] appena avrò visto come andrà a finire la mia situazione; ma ho fiducia nel Signore di poter venire presto anch’io” (2:23,24). Ora, questa fiducia in una liberazione imminente non si addirebbe alla prigionia romana. L’epilogo suscita sentimenti opposti: da una parte fiducia nella liberazione e dall’altra la prospettiva di un rischio mortale: “Ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte” (1:20). La probabilità di essere liberato o di essere giustiziato si spiegherebbe meglio con la caparbietà e l’insidiosità dei nemici giudaizzanti che potevano anche corrompere il magistrato e rovesciare la situazione ai danni di Paolo. Questa possibilità sembra del tutto improbabile a Roma, dove i giudei non avevano certo questa possibilità e dove poi tutto sembrava volgere per il bene; per di più, a Roma non c’era la prospettiva di una fine tragica. Questi sentimenti mancano del tutto nelle altre lettere.

   Anche il tono rovente della polemica anti-giudaizzante si spiegherebbe meglio con la stesura della lettera in un tempo vicino alla stesura di quella ai galati. “Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare; perché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne”. – 3:2,3.