Ringraziamento di Paolo ai filippesi

 

   “Io ringrazio il mio Dio di tutto il ricordo che ho di voi” (1:3). Più conforme al greco: “Ringrazio sempre il mio Dio tutte le volte che mi ricordo di voi”. – TNM.

Flp 1

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“Ringrazio sempre il mio Dio tutte le volte che mi ricordo di voi [TNM];

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e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia

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a motivo della vostra partecipazione al vangelo, dal primo giorno fino a ora.

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E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.

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Ed è giusto che io senta così di tutti voi, perché io vi ho nel cuore, voi tutti che, tanto nelle mie catene quanto nella difesa e nella conferma del vangelo, siete partecipi con me della grazia.

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Infatti Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù.

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E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento,

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perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo,

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ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio”.

   Paolo nella sua preghiera (“E prego che”, v. 9) sente il bisogno di ringraziare Dio per ogni cosa, per cui alla preghiera di richiesta fa precedere il suo ringraziamento. Ciò è conforme all’uso ebraico di iniziare sempre la preghiera con il ringraziamento.  Questo ha per oggetto la “partecipazione al vangelo” (v. 5) dei filippesi, vale a dire la loro opera attiva per il progresso della buona notizia. La congregazione di Filippi era dunque una chiesa missionaria, che con le offerte (4:14-16) e con le sofferenze (2:29,30) aveva contribuito alla diffusione del vangelo sin dal primo momento della conversione. – V. 5.

   Si noti ai vv. 4 e 5 l’apparire delle due note dominanti in questa lettera: la gioia in Yeshùa (che dipende non dalle circostanze – Paolo era incarcerato -, ma dall’unione con Yeshùa) e l’amore dell’apostolo per i filippesi.

   Paolo è anche convinto che i filippesi saranno costanti nella loro fede attiva, non tanto per la forza umana, quanto per la potenza divina. Dio che ha iniziato questa buona opera, la condurrà (futuro volitivo) a termine fino al giorno di Yeshùa. “Ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (v. 6). Va notato qui che la fiducia di Paolo non poggia sull’uomo, che può vacillare, ma su Dio che non viene mai meno. Conseguentemente l’uomo non può gloriarsi, ma deve solo ringraziare Dio per il bene che riesce a compiere. È sempre Dio che chiama, che sostiene e che porta a termine la sua opera.

   Lo studioso attento nota che anche in questa lettera, scritta verso la fine della vita di Paolo, non manca del tutto il pensiero del ritorno di Yeshùa, anche se l’attesa non è più così sconvolgente come quando ne parlava ai tessalonicesi che la ritenevano imminente.

   Mentre nelle Scritture Ebraiche il “giorno del Signore” è il giorno di Yhvh, il Dio Giudice, nelle Scritture Greche quel giorno è il giorno di Yeshùa (v. 6), il giorno in cui il consacrato tornerà con la sua gloria per condannare i colpevoli.

   Questo “giorno”, in cui il male sarà annientato, sarà un giorno di paura non solo per gli increduli ma anche per i credenti non fedeli. “Ahi, che giorno! Poiché il giorno del Signore è vicino, e verrà come una devastazione mandata dall’Onnipotente” (Gle 1:15; cfr. 3:12,13), “Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, si lasciano di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima. Perché sarebbe stato meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo comandamento che era stato dato loro” (2Pt 2:20,21). Sarà il tempo in cui Dio giudicherà e condannerà per mezzo di Yeshùa, suo delegato: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso” (Mt 25:31). Sarà un giorno che recherà del bene agli eletti: “Allora il re dirà a quelli della sua destra: ‘Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo’” (Mt 25:34). Sarà il giorno che segnerà il trionfo di Yeshùa, sconosciuto ai non credenti, ma già noto per fede agli eletti: “Siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza”. – Rm 8:24,25.

   “Vi ho nel cuore” (v. 7). TNM aggiunge un inutile “mio” non presente nel testo greco: “Vi ho nel mio cuore”. Nelle Scritture Greche il “cuore” indica molto di più che non il “cuore” delle nostre occidentali lingue moderne. Paolo non vuole solo dire che i filippesi gli sono cari, ma che essi costituiscono una parte della sua stessa persona. Il cuore biblico – essendo la sede della personalità umana – include la mente, la volontà e i sentimenti. Paolo vuol dire che pensa a loro e sempre li ricorda per la loro partecipazione alla sua attività nel diffondere il vangelo. Bene traduce PdS: “Vi porto sempre nel cuore. Infatti voi tutti partecipate con me alla grazia che Dio mi ha concesso, grazia di difendere fermamente l’annunzio di Cristo”. L’occidentale direbbe: Vi ho in mente.

   “Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù” (v. 8). TNM ha: “Ho ardente desiderio di tutti voi con lo stesso tenero affetto che ha Cristo Gesù”. Per comprendere il modo di pensare e di esprimersi degli ebrei è istruttivo vedere il testo greco:

ἐπιποθῶ πάντας ὑμᾶς ἐν σπλάγχνοις Χριστοῦ Ἰησοῦ

epipothò pàntas ümàs en splànchnois christù Iesù

desidero tutti voi in viscere di unto Yeshùa

   Dunque, Paolo dice: “Vi desidero tutti nelle viscere del consacrato Yeshùa”. “Viscere” va inteso ovviamente in senso figurato. Le viscere erano per gli antichi ebrei la sede dei sentimenti, degli affetti. – Si veda al riguardo lo studio intitolato L’interno del corpo umano nella categoria  Antropologia biblica, nella sezione La Bibbia.

   Perciò, così come Paolo raccomanda di avere in noi la stessa mente che ha Yeshùa (“Mantenete in voi questa attitudine mentale che fu anche in Cristo Gesù”, 2:5, TNM), così qui dice che dobbiamo avere lo stesso amore di Yeshùa. L’apostolo vuol dire che egli ha per loro lo stesso amore che Yeshùa ha per i filippesi. La nostra valutazione del prossimo non dovrebbe pervenire da giudizi personali, da sentimenti individuali, ma dalla valutazione e dall’amore che Yeshùa ha nei suoi riguardi. Si tratta di amare di più quelli che Yeshùa ama di più: i poveri, i deboli, gli oppressi, i perseguitati, i sofferenti, gli orfani, le vedove.