Esortazione a stare uniti

 

Flp 1

27 “Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo,
28 per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio.
29 Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui,
30 sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.”

   Il “comportatevi in modo degno” del v. 27 è nel testo greco paolino πολιτεύεσθε (politèuesthe). Il verbo πολιτεύομαι (politèuomai), usato qui da Paolo, indicava al suo tempo l’atteggiamento di un cittadino che si comportava conformemente alle leggi locali. Traduce bene CEI: “Comportatevi da cittadini degni del vangelo”. Come cittadini del regno celeste i discepoli di Yeshùa devono comportarsi in armonia con il vangelo. Era facile per Paolo richiamare questa idea se si pensa che egli fece uso anche a Filippi del suo diritto di cittadino romano. – At 16:12,37.

   Sia che egli possa tornare a Filippi, sia che non lo possa (dunque non era sicuro, ma aveva solo un puro presentimento), l’importante è che egli oda buone nuove dai filippesi (v. 27). Queste buone nuove devono includere i seguenti punti (vv. 27,28):

  • Lo stare fermi o saldi. Ben ancorati al suolo per non essere smossi dal terreno (che qui è il vangelo).
  •  Il combattere. Si tratta di lotta, come si vedeva spesso nelle arene e negli anfiteatri romani. La metafora è la stessa usata da Paolo in Ef 6:10-20. Questo combattimento era sostenuto anche dagli apostoli nella loro lotta per la fede: “Io ritengo che Dio abbia messo in mostra noi, gli apostoli, ultimi fra tutti, come uomini condannati a morte; poiché siamo diventati uno spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini” (1Cor 4:9). Qui gli apostoli sono “in mostra” come “uno spettacolo”. Il greco ha θέατρον (thèatron): “un teatro” (“uno spettacolo teatrale”, TNM).
  • La fede. La fede è qui personificata, come un agente. Combattere per la fede. Altrove la fede è presa come elemento oggettivo, come un complesso di verità da credere. – Gal 3:23.
  • Senza paura. “Per nulla spaventati dagli avversari” (v. 28). La metafora sembra presa dal comportamento di un cavallo pauroso che si lascia atterrire e non si muove o sbanda. Le persecuzioni ci saranno, ma non bisogna averne paura. – Cfr. Ef 3:13.
  • Unità. NR dice: “Insieme con un medesimo animo”. Il greco ha  μιᾷ ψυχῇ  (mìa psüchè), che TNM prende letteralmente: “Con una sola anima”, ma a cui deve premettere, per farsi capire, “a fianco a fianco”. Il senso del greco mìa psüchè è: “come una sola persona”. I filippesi devono sentirsi uniti come fossero una persona sola e resistere senza paura. Chi è isolato si perde con più facilità. La congregazione deve essere tale, un con-gregarsi o uno stare insieme in cui ognuno dovrebbe rafforzarsi a vicenda. Quest’unione è indicata da Paolo con due termini: “spirito” (“fermi in uno stesso spirito”) e “anima” (“con una sola anima”, TNM).
  • Lo spirito indica talvolta lo spirito santo (Rm 8:16), talvolta il principio che dimora in noi dopo il battesimo (Rm 8:10). Ad ogni modo, presso Paolo non è un termine psicologico, ma spirituale che esiste solo nei credenti. Indica che la vita nuova dei credenti li deve spingere ad agire in unione e in unità.
  • L’anima indica il sentimento comune, l’accordo di mente e di cuore, come effetto del possedere un unico spirito, come membri di un’unica famiglia, di un unico corpo. “La moltitudine di quelli che avevano creduto era d’un sol cuore e di un’anima sola” (At 4:32). Che a Filippi ve ne fosse bisogno risulta da quanto sarà poi detto a proposito di Sintìche ed Evodìa. – 4:2.

   Al v. 29 si noti che il soffrire per il Cristo è ritenuto una grazia elargita da Dio: “Vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui”. Le sofferenze diventano fonte di gioia e di benedizione divina viste alla luce della fede. Si rammenti la beatitudine di Yeshùa riguardante i sofferenti e i perseguitati per il suo nome (Mt 5:11,12). Anche gli apostoli si comportarono così quando erano gioiosi di aver sofferto per Yeshùa: “Essi dunque se ne andarono via dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù”. – At 5:41.

   Paolo menziona gli “avversari” dei filippesi (v. 28). Ignoriamo chi fossero con precisione costoro che facevano soffrire quelli di Filippi. Forse Paolo aveva in mente i giudei divenuti discepoli o gli stessi giudei che egli definisce “cani . . . che si fanno mutilare” (3:2). È però più probabile che Paolo si riferisse ai pagani, dato che questi costituivano la maggioranza dei filippesi (gli ebrei erano solo una esigua minoranza tra loro). Infatti, qui si dice che i filippesi devono lottare “per la fede del vangelo” (v. 27), non per la verità del vangelo. Era quindi possibile un’apostasia da parte loro. In più, si dice che anch’essi soffrivano così come vedevano soffrire Paolo: “Sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo” (v. 30). Paolo in quel momento soffriva in carcere per i pagani che ve lo tenevano e che avrebbero dovuto giudicarlo.

   Le sofferenze di Paolo, che i filippesi avevano visto, riguardano quelle da lui subite a Filippi (At 16:12,19,20; 1Ts 2:2). A ciò si aggiungano anche le notizie delle sofferenze che ora l’apostolo soffre (a Roma?, a Efeso?) e che essi conoscono. Si noti la differenza di tempo: “Avete veduto” e “ora sentite” (v. 30). “Vedeste” (TNM), aoristo in greco, che si riferisce a un tempo passato quando Paolo era a Filippi. “Ora udite” (TNM), tempo presente (ora, in questo momento), che logicamente riguarda la prigionia presente.