Essere luce del mondo

Flp 2

12 “Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore;
13 infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo.
14 Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute,
15 perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo,
16 tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato.
17 Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi;
18 e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me”.

   “Voi che foste sempre ubbidienti” (v. 12): ubbidienti non a Paolo, ma al vangelo. Non vi è qui alcun riferimento all’autorità apostolica. L’ubbidienza dei filippesi fu continua sia quando Paolo era in mezzo a loro che – ancora di più – ora durante la sua assenza.

   “Timore e tremore” (v. 13) sono due parole tradizionalmente congiunte e denotano il comportamento della creatura umana davanti a Dio che è così eccelso e sublime. È presente anche in Ef 6:5: “Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore”. Questo “timore e tremore” lo aveva anche Giuseppe che tentato dalla moglie di Potifar rispose: “Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?”. – Gn 39:9.

   “Adoperatevi al compimento della vostra salvezza” (v. 12), ossia della salvezza che ci riguarda (genitivo oggettivo) e che, anche se è dono di Dio, deve essere attuata con il nostro sforzo (“adoperatevi”). I credenti sono chiamati sozòmenoi  (σωζόμενοι, Lc 13:23), vale a dire coloro che sono sulla via della salvezza, in contrasto con coloro che sono sulla via della dannazione (“quelli che periscono”, 1Cor 1:18). Anche se i credenti sono chiamati “i salvati” (sozòmenoi), devono sempre vigilare per non perdere questa salvezza. L’adoperarsi per compiere la salvezza implica il compiere delle opere. Non si tratta di opere giustificanti (concetto che riguarda “le opere della Legge”), ma di opere che mostrano che siamo giustificati. Tutti gli atti della nostra vita, compreso mangiare e bere, devono essere attuati per la gloria di Dio: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio”. – 1Cor 10:31.

   “È Dio che produce in voi il volere e l’agire” (v. 13). Dio non solo ci aiuta a “volere” qualcosa (anche la Legge ci aiuta a volere il bene), ma in più ci aiuta ad attuare questo volere. Qui non c’è la discussione filosofica del come Dio ci aiuti a compiere ciò che egli vuole. Non si discute del come mai – dato che egli ci dà il volere – noi possiamo essere liberi. Paolo vuole solo consolare i filippesi. Dice, in pratica: Lavorate con fiducia, perché Dio è con voi, non solo vi fa volere ma vi aiuta anche nel compimento della vostra volontà. Questo avviene perché Dio vuole che il suo “disegno benevolo” (Ef 1:5,9), il suo “beneplacito” (TNM), sia realizzato. Da ciò si deduce che la persona non può affatto gloriarsi per la sua salvezza, ma deve solo glorificare Dio.

   “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute” (v. 14), o – tradotto meglio – “senza mormorii e discussioni” (TNM). Mormorii e discussioni verso e con chi? Con gli altri credenti? Con il prossimo? Certo anche con loro, ma soprattutto con Dio. Le due parole (“mormorii”, “discussioni”), sostenute da una medesima proposizione (“Fate ogni cosa”), riguardano Dio. Il popolo ebraico mormorò contro Dio nel suo cammino attraverso la steppa sinaitica: “Alcuni di loro mormorarono, e perirono colpiti dal distruttore” (1Cor 10:10). I credenti devono mostrarsi come veri figli di Dio evitando mormorazioni. Le “discussioni” sono sempre presentate nella Bibbia in senso cattivo e riguardano i ragionamenti contro Dio. “Si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato” (Rm 1:21). “Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo?”. – 1Cor 1:20.

   I credenti devo essere “irreprensibili e integri” (v. 15), “irriprovevoli e innocenti” (TNM). Ciò significa privi di ogni pensiero o desiderio malvagio. “Senza macchia, senza ruga o altri simili difetti” (Ef 5:27). Solo essendo irriprovevoli e innocenti ci si può distinguere “in mezzo a una generazione storta e perversa” (v. 15; cfr. Dt 32:5). “Storta” è un perfetto indicativo in cui la condizione di essere “fuori strada” permane al presente. La “generazione” indica la successione delle persone nell’agire male. – Cfr. At 7:52.

   In tal modo i credenti sono “come astri nel mondo” (v. 15), luminosi con il loro esempio. Anche se imperfetti, sono pur sempre – anche ora, nella loro imperfezione – una luce per il mondo: “Risplendete” (v. 15), al presente. “Voi siete [ora, al presente] la luce del mondo” (Mt 5:14). Paolo incita i credenti a risplendere sempre di più.

   I credenti non sono luce tanto per le loro opere (sempre imperfette) quanto per “la parola di vita” (v. 16), cioè quella che dà la vita. Per comprendere questa idea della parola che dà la vita occorre riferirsi ad altri passi: “La Parola era con Dio, e la Parola era Dio” (Gv 1:1), “Le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (Gv 6:63), “Siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio” (1Pt 1:23). Il centro di questa parola (che il mondo non possiede) è Yeshùa che dà la vita: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6). Questa parola si possiede per fede. Quando essa è comunicata, rende l’acqua battesimale un’acqua di rinascita mediante lo spirito santo: “Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola” (Ef 5:25,26), “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo”. – Tito 2:5.

   “Io possa vantarmi” (v. 16): se i filippesi (da Paolo fatti rinascere con la predicazione e poi da lui seguiti) seguiranno i precedenti suggerimenti (“in modo che”, v. 16), diverranno suo vanto e corona, vale a dire motivo di gioia e di letizia “nel giorno di Cristo” (v. 16), perché egli potrà vedere i frutti del suo lavoro. “Se ne va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia quando porterà i suoi covoni” (Sl 126:6). “Qual è infatti la nostra speranza, o la nostra gioia, o la corona di cui siamo fieri? Non siete forse voi, davanti al nostro Signore Gesù quand’egli verrà? Sì, certo, voi siete il nostro vanto e la nostra gioia” (1Ts 2:19,20). “Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa”. – 1Cor 3:14.

   Il “giorno di Cristo” (v. 16) è il giorno del giudizio, il “giorno del Signore” che sostituisce il “giorno di Yhvh” come era presentato nelle Scritture Ebraiche. Circa la sua data, l’apostolo non dice nulla, benché al versetto seguente (v. 17) appaia che non era atteso prima della sua morte.

   Il correre (“Possa vantarmi di non aver corso invano”, v. 16) è una delle immagini sportive usate da Paolo (ricorre anche in 3:12). Qui la traduzione “invano” inganna, in quanto nel testo non significa “vanamente”. Il greco εἰς κενὸν (èis kenòn), tradotto “invano”, significa letteralmente “verso nulla”, “verso [il] vuoto”. Implica il faticare seriamente per poi trovarsi con le mani vuote.

   Al v. 17 Paolo si prospetta l’ipotesi della sua morte anziché quella di essere liberato dalla sua prigionia. Se morisse, il suo sangue diverrebbe una libazione (offerta di bevanda) – come il vino, l’acqua, il latte o il miele che venivano versati sui sacrifici. Questa libazione renderebbe più preziosa l’offerta dei filippesi a Dio. “Se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede” (v. 17). Da cosa o chi è costituita l’offerta? L’offerta è Paolo o sono i filippesi? Per i Testimoni di Geova è Paolo che viene spiritualmente offerto in sacrificio: “[Paolo] fa l’esempio di una libazione per esprimere il desiderio di dare tutto se stesso a favore dei compagni di fede. (Flp 2:17)” (Perspicacia nello Studio delle Scritture Vol. 2, pag. 422, alla voce “Offerte”, § 1 del sottotitolo “Libazioni”; il corsivo è aggiunto). Però, da un raffronto con il passo parallelo di Rm 15:16 pare che l’offerta sia un atto di Paolo che offre i filippesi convertiti come offerta gradita, e il suo sangue rende più preziosa quest’offerta. Le libagioni, infatti, erano presentate insieme alle offerte. E Paolo s’identifica come libazione “sul sacrificio”.

Flp 2:17

Rm 15:16

“[Se] vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede” “Gli stranieri diventino un’offerta gradita”

   Paolo vuole che anche i filippesi raggiungano la sua maturità spirituale e gioiscano essi pure della morte, come lui stesso se ne rallegra: “Se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio […] ne gioisco e me ne rallegro […] nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me”. – Vv. 17,18.