I doni dei filippesi

 

Paolo ringrazia ora per i doni che ha ricevuto dai filippesi tramite Epafròdito (4:18): “Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me” (4:10). Ciò mostra come l’amore dei filippesi per Paolo sia rifiorito in quest’occasione: “Ci pensavate sì, ma vi mancava l’opportunità”. – V. 10.

   Paolo presenta poi un meraviglioso principio di vita spirituale: bastare a se stessi. “Io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo” (v. 11). Meglio come traduce TNM: “Ho imparato, in qualsiasi circostanza mi trovi, ad essere autosufficiente”, anche se poi, purtroppo, aggiunge in una nota in calce: “O, ‘contento (soddisfatto)’”. La parola del testo greco è αὐτάρκης (autàrkes) – da cui deriva il nostro “autarchia” – e significa non avere bisogno di altri, essere autosufficiente per il proprio sostentamento.

   Questo essere “autosufficiente”, a Paolo era possibile perché era abituato ad accontentarsi del suo stato; era abituato a navigare nell’abbondanza quando c’era ma anche a vivere nella povertà. “Io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell’abbondanza e nell’indigenza” (4:11,12). È sempre Paolo che scrive: “Davvero, è un mezzo di grande guadagno, [questa] santa devozione con autosufficienza”, “Avendo nutrimento e di che coprirci, di queste cose saremo contenti” (1Tm 6:6,8, TNM), “Afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!”. – 2Cor 6:10; cfr. anche 11:27.

   Questa capacità di adattamento non deriva per Paolo da uno sforzo personale né da uno spirito di boriosa sufficienza (cosa che pretendevano i filosofi stoici), ma dalla potenza di Yeshùa che rende possibile anche quanto è umanamente impossibile: “Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica” (4:13). Quest’ultima espressione è ben diversa da quella di Seneca: “Il saggio si accontenta”. – Epist. 9,11,12.

   Al v. 14 Paolo lascia discretamente capire che l’aiuto dei filippesi è stato di grande utilità dato che ne aveva proprio bisogno: “Avete fatto bene a prender parte alla mia afflizione”. Quest’aiuto dei filippesi fu un aiuto eccezionale perché Paolo non aveva mai permesso ad altri di aiutarlo con dei doni: “Voi sapete, Filippesi, che […] nessuna chiesa mi fece parte di nulla per quanto concerne il dare e l’avere, se non voi soli” (v. 15). Ciò sta a dimostrare quali stretti legami ci fossero tra lui e i credenti di Filippi.

   Dal v. 16 veniamo a sapere che già a Tessalonica (cfr. At 20:6) per ben due volte i filippesi avevano aiutato Paolo: “Anche a Tessalonica mi avete mandato, una prima e poi una seconda volta, ciò che mi occorreva”.

   Paolo fa capire che accettando l’offerta dei filippesi egli non ha di mira il proprio vantaggio, ma l’aumento di considerazione che egli ha dei filippesi: “Non lo dico perché io ricerchi i doni; ricerco piuttosto il frutto che abbondi a vostro conto” (v. 17), “il frutto che porta più credito a conto vostro”. – TNM.

   L’offerta dei doni è qui presentata come un sacrificio spirituale che i discepoli possono compiere, un’offerta “che è un profumo di odore soave, un sacrificio accetto e gradito a Dio” (v. 18). “Non dimenticate poi di esercitare la beneficenza e di mettere in comune ciò che avete; perché è di tali sacrifici che Dio si compiace” (Eb 13:16). Paolo rievoca il profumo soave emesso dai sacrifici ebraici: “Il Signore sentì un odore soave” (Gn 8:21), “Farai fumare tutto il montone sull’altare: è un olocausto al Signore; è un sacrificio di odore soave fatto mediante il fuoco al Signore” (Es 29:18). “Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave”. – Ef 5:2.

   Il profumo vale perché simboleggia la condizione spirituale di chi offre il sacrificio: “Ridurrò le vostre città a deserti, desolerò i vostri santuari e non aspirerò più il soave odore dei vostri profumi” (Lv 26:31; cfr. Am 5:21,22), “La mia preghiera sia in tua presenza come l’incenso, l’elevazione delle mie mani come il sacrificio della sera”. – Sl 141:2.

Saluti finali

   “Salutate ognuno dei santi in Cristo Gesù. I fratelli che sono con me vi salutano. Tutti i santi vi salutano e specialmente quelli della casa di Cesare”. – 4:21,22.

   I “santi” sono i discepoli di Yeshùa, divenuti tali con il loro battesimo che li ha innestati in Cristo e separati (“santi” significa separati) dai non credenti.

   “Quelli della casa di Cesare”: questa frase è già stata esaminata nell’introduzione. Se Paolo scrive da Roma, indica le persone della casa imperiale (abitanti sul Palatino), che comprendevano anche funzionari, schiavi, liberti e soldati. Se Paolo scrive da Efeso, indica i delegati dell’imperatore che sorvegliavano la città. – Cfr. 1:13.

   “La grazia del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito vostro” (4:23). Si tratta di un augurio finale scritto probabilmente dallo stesso Paolo. – Cfr. Col 4:18.