Prologo (1:1-12). Può essere suddiviso in tre parti:

1

Saluti

1:1,2

2

Destinatari

1:2

3

Ringraziamento

1:3-8

Il saluto è simile a quello della lettera agli efesini:

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timoteo ai santi e fedeli fratelli in Cristo che sono in Colosse, grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre

Col 1:1,2

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso e ai fedeli in Cristo Gesù. Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo”

Ef 1:1,2

   Qui in Col, però, al saluto si associa Timoteo. Questi, diventato discepolo a Listra (1Cor 4:17; At 16:1,2) accompagnò Paolo in diversi viaggi (At 16;17;19;20); gli fu accanto nella prigionia (Col 1:1; Flm 1:1;2:19); ebbe cura della congregazione di Efeso. – Cfr. 1Tm e 2Tm.

   Si noti l’espressione: “Paolo, apostolo […] per volontà di Dio” (1:1). L’apostolato è una missione che proviene da Dio. Nessuno può arrogarsi di essere “inviato” (questo è il senso della parola greca “apostolo”) se non è stato mandato da Dio. Si noti anche come Timoteo sia chiamato “fratello” (1:1) dall’apostolo: riguardo al suo ministero egli è pari a Paolo.

   I destinatari della lettera sono i discepoli di Colosse, detti “santi” (1:2) perché separati (questo il significato della parola) dal mondo per divenire proprietà di Dio. Sono anche chiamati “fedeli fratelli” (1:2) poiché seguono nella loro condotta le direttive della fede. Il saluto abbina insieme l’augurio greco (“grazia”, χάρις, chàris) con quello ebraico (“pace”, שלום, shalòm). L’augurio include ogni prosperità, felicità e benedizione che provengono ai fedeli soltanto da Dio. Questi discepoli di Colosse erano in gran parte provenienti dal paganesimo o ellenisti.

   Ringraziamento (1:3-8). La preghiera, che qui è presentata come una realtà importante e frequente, ha per oggetto due qualità dei credenti di Colosse: fede in Yeshùa e amore per i fratelli (= “santi”). Non vi può essere vero amore senza fede, come non vi può essere fede senza amore. Quest’amore gerarchicamente si rivolge prima verso i “santi” membri della propria famiglia della fede per poi riversarsi sugli altri. Si noti il metodo della genuina preghiera: si prega Dio, nel nome di Yeshùa. – 1:3.

   La vita dei fedeli è sorretta dalla speranza (1:5; cfr. 1Cor 13:13). Questa speranza deve essere costante (1Ts 1:3). Qui, nel passo di Col, questa speranza riguarda la beatitudine, il premio tenuto in serbo nei cieli: “Speranza che vi è riservata nei cieli” (1:5). Qui “speranza” equivale a premio, felicità celeste, infatti, essa è “riservata nei cieli”. Di questo premio della vita eterna con Yeshùa parla la “buona nuova” (= vangelo) che si fa diffondendo in tutto il mondo portando frutti: “L’annuncio della verità di quella buona notizia che si è presentata a voi, proprio come sta portando frutto e crescendo in tutto il mondo”. – 1:5,6, TNM.

   Paolo descrive qui la giovane congregazione di Colosse che, come il resto dei credenti, si dà alla conquista del mondo. Di fronte alle buone nuove che si diffondono nell’umanità, la “parola di Dio” è l’unica vera buona nuova. Questa buona notizia è un dono gratuito, è “la grazia di Dio” (1:6). L’aver accettato questa buona nuova porta a conoscere Dio e la sua grazia: “Conosceste la grazia di Dio” (1:6). Come avviene questa conoscenza? Non semplicemente mediante quello che oggi si definirebbe (nella mentalità occidentale) uno “studio biblico”. La “conoscenza” biblica ha poco e nulla a che fare con la conoscenza intellettuale e con lo studio. Non si tratta di un corpo di dottrine, di un credo da professarsi. La conoscenza biblica è una conoscenza di esperienza. La grazia di Dio si conosce, in senso biblico, perché la si sperimenta, non perché la si studia sui libri. Si tratta di una nuova vita di cui si fa esperienza. Solo così si può capire ciò che essa veramente è.

   La parola di Dio era stata portata a Colosse da Epafra: “Secondo quello che avete imparato da Epafra” (1:7). Epafra era membro di quella congregazione: “Epafra, che è dei vostri” (4:12). Oltre che della congregazione di Colosse, Epafra era forse anche il fondatore delle congregazioni di Laodicea e di Gerapoli: “Si dà molta pena per voi, per quelli di Laodicea e per quelli di Gerapoli” (4:13). Qui, Epafra viene detto “compagno di servizio” (1:7), vale a dire schiavo con Paolo nel lavoro: “compagno di schiavitù” (TNM). Viene anche detto “ministro” di Yeshùa (1:7) nei riguardi della comunità: “Fedele ministro di Cristo per voi” (1:7). Stranamente TNM traduce: “A nostro favore”. La Bibbia non dice così. Dice: “Per voi”. La parola greca è ὑμῶν (ümòn), “voi”. Forse la traduzione “nostro” di TNM è dovuta alla scelta del manoscritto, dato che il testo parallelo della Chiesa Ortodossa greca ha  ἡμῶν (emòn), “nostro”. Il testo greco di Nestle-Aland presenta, comunque, la lezione ὑμῶν (ümòn), “voi”. In ogni caso, il Novum Testamentum  Graece et Latine editato da Augustinus Merk (Pontificio Istituto Biblico, Roma, 1984) ha ὑπὲρ ἡμῶν (üpèr emòn), che si traduce “in vece nostra” e non “a nostro favore” come fa TNM. Che senso avrebbe mai dire che Epafra era ministro a favore di Paolo e Timoteo? Il manoscritti Sinaitico, Ephraemi Rescriptus, Bezae Canrabrig e Athos (Ψ) hanno ὑπὲρ ὑμῶν (üpèr ümòn), “per voi”; così anche la Vulgata latina che ha “pro vobis”.  

   La parola “ministro” (1:7) è nel greco διάκονος (diàkonos), numero Strong 1249, che ha il significato di:

1) uno che esegue i comandi di un altro, soprattutto un servitore di un padrone, compagno, ministro

1a) il servitore di un re

1b) un diacono, uno che, in virtù dell’ufficio assegnatogli dalla chiesa, ha cura

dei poveri e ha la carica di distribuire i soldi raccolti per il loro uso

1c) un cameriere, uno che serve cibo e bevande

(Vocabolario del Nuovo Testamento)

   Anche Paolo era “ministro” o “servitore”. – 1:23.

   Si noti l’importanza dello spirito. È lo spirito che suscita l’amore nei fedeli: “Il vostro amore nello Spirito” (1:8; non l’“amore in senso spirituale” di TNM).

   In 1:9-14 abbiamo la preghiera di Paolo. Oggetto della preghiera di Paolo e di Timoteo è la “profonda conoscenza della volontà di Dio” (1:9). Anche qui si tratta di conoscenza in senso biblico, non di una conoscenza teorica acquisita con lo studio (secondo il pensiero occidentale estraneo alla Bibbia). Si tratta di conoscenza pratica che non sgorga da riflessione o ragionamento umano, ma che è frutto della potenza donata dallo spirito: “Conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale” (1:9). Questa conoscenza (fatta per esperienza, in senso biblico) ci dà modo di camminare operando il bene, ci dà modo di conoscere Dio vivendo nell’amore: “Perché camminiate in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (1:10). Solo vivendo nell’amore si conosce che Dio è amore.

   La preghiera invoca anche la potenza di Dio per attuare quel che si conosce per esperienza vissuta: “Fortificati in ogni cosa dalla sua gloriosa potenza” (1:11). Solo Dio che è “forte” (Is 9:6) può concedere la potenza divina che ci rende “sempre pazienti e perseveranti”. – 1:11.

   I credenti devono ringraziare Dio che li ha resi degni d’entrare nell’“eredità dei santi” (TNM): “Ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (1:12). Si noti: “Nella luce”. La congregazione è il regno della luce, distinto dal regno delle tenebre (il mondo, governato dal maligno), secondo una concezione dualistica che è presente anche nei testi di Qumràn. “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio”. – 1:13.