Polemica contro i falsi dottori (2:6-23).

   Inizia ora la sezione polemica della lettera contro i falsi dottori da cui provengono le dottrine erronee che si vanno infiltrando anche presso i credenti colossesi.

   Richiesta la vigilanza contro i falsi dottori. Non basta aver accolto Yeshùa, occorre continuare a vivere in lui: “Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui” (2:6). Letteralmente il testo dice: “continuate a camminare” (TNM; greco περιπατεῖτε, peripatèite). Il “camminare” è spesso usato da Paolo (come anche nelle Scritture Ebraiche) per indicare la condotta morale dell’individuo: “Così anche noi camminassimo in novità di vita” (Rm 6:4), “Abbiamo rinunciato alle cose subdole di cui c’è da vergognarsi, non camminando con astuzia, né adulterando la parola di Dio” (2Cor 4:2, TNM), “[Dio] vi [rese viventi] benché foste morti nei vostri falli e nei vostri peccati, nei quali un tempo camminaste”, “Affinché camminiamo in esse [nelle opere buone]”, “Continuate a camminare nell’amore” (Ef 2:1,2,10;5:2, TNM). Anche in Eb 13:9 è usato lo stesso verbo “camminare”, difficile da tradurre in italiano; le nostre versioni dicono: “È bene che il cuore sia reso saldo dalla grazia, non da pratiche relative a vivande, dalle quali non trassero alcun beneficio quelli che le osservavano”, termine reso con “quelli che se ne occupano” da TNM, con “coloro che ne usarono” da CEI e con “coloro che sono andati dietro” da Did; l’autore di Eb dice οἱ περιπατοῦντες (òi peripatùntes), “i camminanti”.

   Lo scopo è di essere sempre più “radicati, edificati in lui” (2:7). “Radicati” e “edificati” sono nel greco due participi presenti: ἐρριζωμένοι καὶ ἐποικοδομούμενοι (errizomènoi kài epoikodomùmenoi), letteralmente “[essenti] radicati e sopredificati”. Il participio presente indica la continuazione di queste due azioni. L’una consiste nell’affondare le proprie radici in Yeshùa in modo da non essere scossi (quanto più una pianta ha radici profonde, tanto meno può essere sradicata dal vento). Giovanni, usando un’espressione simile, riporta il detto di Yeshùa per cui dobbiamo essere uniti al Cristo come il tralcio alla vite: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. […]  Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro” (Gv 15:1-5). La seconda immagine è tratta non dalla botanica ma dall’edilizia: un edificio sta saldo finché poggia su solide fondamenta. Il fondamento dell’edificio spirituale è solo Yeshùa: “Come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù” (1Cor 3:10,11). “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare”. – Ef 2:20.

   È così che si rafforza la propria fede e si sente il bisogno di ringraziare continuamente Dio: “Abbondate nel ringraziamento” (2:7). La fede ci mostra come siano numerosi i benefìci divini, per cui mai dovrebbe cessare il nostro ringraziamento. Si noti il verbo usato: περισσεύοντες (perissèuontes), “sovrabbondanti”, che indica grande abbondanza di ringraziamento. TNM traduce “traboccando di [fede] in rendimento di grazie”. I manoscritti più importanti (א, A, Vg) hanno περισσεύοντες ἐν εὐχαριστίᾳ (perissèuontes ev eucharistìa), “sovrabbondanti in ringraziamento”.

   “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri” (2:8). Blèpete (βλέπετε): “Badate che”. Anziché essere seguito dal congiuntivo, come sarebbe normale (“State attenti che qualcuno non vi porti [congiuntivo] via”, TNM), “Badate che” è seguito dal verbo al futuro. Letteralmente è: “Badate che non qualcuno di voi sarà [ἔσται (èstai), “sarà”, al futuro] depredante”. Paolo sembra sottolineare non un’evenienza (congiuntivo) ma una possibile realtà (futuro). C’è pericolo per la fede quando uno segue “la filosofia” o “la tradizione degli uomini” (2:8). Attenzione a non leggere il testo con mente chiusa e preconcetta. Qui non si proibisce lo studio della filosofia. Paolo dice altrove: “Accertatevi di ogni cosa; attenetevi a ciò che è eccellente” (1Ts 5:21, TNM), il che si riferisce a “ogni cosa” che non è Bibbia, perché nella Scrittura tutto è “eccellente” e non si deve scegliere per attenersi solo a “ciò che è eccellente”. Nella psicologia, nella filosofia, nella letteratura e in tutto lo scibile umano c’è di certo qualcosa che è eccellente e che può essere di utilità al credente. Forse che un credente non potrebbe, ad esempio, laurearsi in Storia del Cristianesimo, che fa parte della facoltà di Filosofia? In 2:8 Paolo non sta quindi proibendo lo studio della filosofia, ma sta proibendo che un credente diventi schiavo di qualche disciplina: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda” (2:8). Una “preda”, appunto (come un uccello o un animale catturato), di filosofie o di tradizioni umane.

   Paolo ha in mente una “filosofia” ben precisa (quella che seduce alcuni credenti di Colosse), una filosofia fantastica e vuota, che poggia sulle tradizioni degli uomini. Si tratta di una certa credenza relativa ad angeli o esseri spirituali, che tratterà subito dopo.

   Paolo ammette una tradizione, ma quella giusta: “Vi lodo perché vi ricordate di me in ogni cosa, e conservate le mie istruzioni come ve le ho trasmesse” (1Cor 11:2). Ma Paolo, proprio come Yeshùa, è contro la tradizione umana che interferisce con la verità biblica. Non basta, ovviamente, che una tradizione sia semplicemente umana per rigettarla. È tradizione (di certo umana) che le persone vadano in vacanza durante certe feste pagane, che vadano a sciare durante il Natale, che mangino un panettone o un dolce chiamato “colomba” in certi periodi, che si riposino di domenica (il giorno del dio sole) e così via. Dovremmo evitarlo? Neppure per sogno. Yeshùa era contrario alla tradizione umana che contrasta con la verità di Dio se viene adottata dal credente. “I farisei e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani con grande cura, seguendo la tradizione degli antichi” (Mr 7:3). Dovremmo forse mangiare senza lavarci prima le mani? Ma no. I farisei si lavavano le mani “con grande cura”, il che non significa accuratamente (come tutti dovrebbero fare), ma con un rituale religioso. Anche oggi chi va in Israele può notare in certi locali kashèr (approvati dai rabbini) delle caraffe negli shirutìm (bagni pubblici) dei ristoranti: servono agli ortodossi a versarsi alternativamente l’acqua un certo numero di volte prima su una mano e poi sull’altra. Questa è una tradizione umana religiosa cui né Yeshùa né i suoi discepoli si attennero mai (Mr 2:7). “Perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione?” (Mt 15:3). Uno può avere ovviamente tutte le tradizioni umane che vuole, ma non quelle che trasgrediscono i comandamenti. “Così avete annullato la parola di Dio a motivo della vostra tradizione”. – Mt 15:6.

   Tornando alla filosofia (e potremmo includere anche la teologia, che è poi la filosofia che riguarda Dio), possiamo dire che è certo permesso riflettere sulla Scrittura, ma non si deve mai equiparare il nostro ragionamento sulla Bibbia alla Bibbia stessa.

   La filosofia o tradizione di cui Paolo parla ai colossesi, anziché esaltare Yeshùa pretendeva di elevare “gli elementi dell’universo [τὰ στοιχεῖα τοῦ κόσμου (ta stoichèia tu kosmu)]”. – 2:8.

   Stoichèia (στοιχεῖα) è un sostantivo plurale neutro, numero Strong 4747, che nelle Scritture Greche ha questo significato:

  1. Qualsiasi prima cosa, da cui gli altri di qualche serie prendono la loro origine, un elemento, primo principio
    1. Le lettere dell’alfabeto come gli elementi del discorso, non però i caratteri scritti, ma i loro suoni parlati
    2. Gli elementi da cui ogni cosa proviene, le cause materiali dell’universo
    3. I corpi celesti, o come parti del cielo o perché in loro gli elementi dell’uomo, della vita e del destino dovevano risiedere
    4. Gli elementi, rudimenti, principi primari e fondamentali di qualsiasi arte, scienza o disciplina (come della matematica, la geometria di Euclide).

(Vocabolario del Nuovo Testamento)

   Lo sviluppo semantico di stoichèia passa quindi da “elemento di una lista” (come le linee di un orologio solare o le lettere parlate dell’alfabeto) al senso di “primi elementi di una cosa”. Può quindi indicare qualcosa come il nostro “abc”: “Dopo tanto tempo dovreste già essere maestri; invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi [τὰ στοιχεῖα (ta stoichèia)] degli oracoli di Dio; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido”. – Eb 5:12.

   Il termine stoichèia, accolto dalla filosofia, indicò gli ”elementi fondamentali”. Con questo senso lo troviamo nella letteratura ebraica apocrifa: “Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprender la struttura del mondo e la forza degli elementi [στοιχείων (stoichèion)]” (Sapienza 7:17, LXX); “Gli elementi [τὰ στοιχεῖα (ta stoichèia)] scambiavano l’ordine fra loro, come le note di un’arpa variano la specie del ritmo, pur conservando sempre lo stesso tono”. – Sapienza 19:18, LXX.

   Nel sincretismo ellenistico, siccome gli “elementi” erano rappresentati da spiriti, il termine stoichèia giunse ad assumere il valore di “spiriti”. Si parlò così di “36 elementi che sono i dominatori di questo mondo” (in questa concezione anche le stelle avevano il loro spirito). Questa idea degli “elementi” quali “spiriti” era talmente radicata che ancora oggi ne troviamo traccia nel greco moderno: in Grecia, oggigiorno, i “demoni locali” sono ancora chiamati στοιχεῖα (stoichèia). Naturalmente, a questi “spiriti” (considerati divinità) veniva allora offerto il culto:

  • I persiani sacrificavano al sole, alla luna, alla terra, all’acqua e al vento. – Erodoto 1,131.
  • Nella filosofia religiosa, essendo l’uomo ritenuto composto da questi elementi, ogni persona deve curare il suo giusto rapporto con gli elementi (4Maccabei 12:13; questo apocrifo fa parte della serie detta sapienziale e filosofica). Coloro che riconoscevano l’influsso astrale sulla vita erano molto attenti a osservare i cicli degli astri. A questo si riferisce Paolo quando rimprovera: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni! Io temo di essermi affaticato invano per voi”. – Gal 4:10,11.
  • La credenza negli angeli presso i giudei si trasformò presto in un culto: “Io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo [l’angelo apparso]. Ma egli mi disse: ‘Guàrdati dal farlo. Io sono un servo come te’” (Riv 19:10), “Mi prostrai ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate, per adorarlo. Ma egli mi disse: ‘Guàrdati dal farlo; io sono un servo come te’”. – Ap 22:8,9.

   Tutte queste correnti religiose dovettero influire sull’eresia di Colosse. Tutto ciò che gli eretici di Colosse si attendevano dagli elementi dell’universo, Paolo lo mostra esistente solo in Yeshùa. – 2:8,9.

   Paolo parte dall’idea che in Yeshùa abita “tutta la pienezza della Deità” (2:9). A questa pienezza partecipano tutti i fedeli tramite il battesimo che è morte e resurrezione con Yeshùa, remissione dei peccati e vita eterna: “Voi avete tutto pienamente in lui, […] siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio” (2:10-12). Da ciò deriva anche l’abolizione di ogni sudditanza alle potenze dominatrici del mondo: “Egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce” (2:14). Esaminiamo meglio alcuni aspetti di questo brano che si trova in 2:9-15.

   “In lui [Yeshùa] abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (2:9). TNM teme forse quest’affermazione di Paolo così forte, se traduce: “In lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina”. No, il testo greco originale dice proprio τῆς θεότητος (tes theòtetos), “della divinità” e non della “qualità divina”. Anziché alterare la Scrittura, sviando il lettore, occorrerebbe invece capirne il significato. La parola greca θεότης (theòtes), numero Strong 2320, di cui θεότητος (theòtetos) è genitivo singolare, deriva da θεός (theòs), “Dio”, ed è un sostantivo femminile che significa “divinità, lo stato di essere Dio, Divinità” (Vocabolario del Nuovo Testamento). Questa parola indica la “natura divina” e non dei semplici attributi d’essa o la qualità divina. Per la “qualità divina” il greco ha una parola apposita: θειότης (theiòtes), scritto con la ι (iòta, corrispondente alla nostra “i”).

Nominativo

Genitivo

Significato

θεότης

θεότητος

Natura divina,

Divinità

theòtes

theòtetos

θειότης

θειότητος

Qualità divina

theiòtes

theiòtetos

   TNM inverte il significato delle due parole, traducendo in Rm 1:20 “Divinità” quando – lì sì – dovrebbe tradurre “qualità divina” perché la parola greca è θειότης (theiòtes). L’aggettivo derivato da θειότης (theiòtes), “divinità”, è “divino” (θεῖος, thèios), usato in 2Pt 1:3,4 che TNM qui traduce correttamente con “divina” riferito alla potenza (v. 3) di Dio e alla sua natura, sottintesa al v. 4; in At 17:29, dove il greco ha solo “il divino [τὸ θεῖον (to thèion)]”, traduce “l’Essere Divino”.

   Si noti come non venga affatto detto nel testo che Yeshùa sia Dio. Il testo dice che in Yeshùa dimora “tutta la pienezza della natura divina” (traduzione dal greco). Paolo intende dire che “la natura divina” non si trova affatto negli spiriti esaltati da quelli di Colosse, bensì in Yeshùa glorificato.