Esortazioni generali (4:2-6).

   “Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie” (v. 2). Meglio qui TNM: “Rimanendo svegli in essa”. Per pregare occorre rinunciare, proprio come Yeshùa, anche al riposo notturno. Yeshùa trascorreva intere notti a pregare: “Andò sul monte a pregare, e passò la notte pregando Dio” (Lc 6:12), “Vegliate dunque, pregando in ogni momento” (Lc 21:36). Anche al Getsemani si lamenta con gli apostoli che non erano stati capaci di star svegli con lui nemmeno un’ora. – Mt 26:40; Mc 14:37.

   Uno degli scopi principali della preghiera non è tanto la richiesta di grazie particolari, ma il ringraziamento e la lode per tutti i benefìci che da Dio abbiamo: vita materiale e spirituale, dono della fede, vita eterna in Yeshùa. “Siate riconoscenti” (Col 3:15). La richiesta, ovviamente, non è esclusa, ma questa riguarda innanzitutto il Regno di Dio: “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più”. – Mt 6:33; cfr. Lc 12:31.

   Paolo, che si trova in prigione ed è quindi limitato nelle sue possibilità operative, chiede che gli si “apra una porta per la parola” (v. 3), vale a dire che gli si schiuda il carcere per una più vasta evangelizzazione: “Perché possiamo annunziare il mistero di Cristo”. – V. 3.

   “Il mistero di Cristo”: τοῦ χριστοῦ (tu christù), “del cristo”, ossia “del consacrato”. Il genitivo “del” può essere reso in senso oggettivo: il mistero riguarda il Cristo (la sua passione, morte e resurrezione). Così lo prende TNM: “Il sacro segreto intorno al Cristo”. Oppure può essere preso – meglio – in senso soggettivo: il mistero che Cristo ha svelato a Paolo (vale a dire che tutti gli uomini, gentili compresi, possono avere nel Cristo redenzione e salvezza). Dal contesto, che è missionario, è preferibile questa seconda interpretazione. Il passo, infatti, equivale totalmente a quello in cui il “mistero” è presentato agli efesini:

                     “Annunziare il mistero di Cristo

Col 4:3

“Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero […] potrete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo. […] vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo”

Ef 3:3-6

   In 4:3 dobbiamo rilevare un errore di traduzione in alcune versioni. NR ha: “Pregate nello stesso tempo anche per noi”. TNM (che spesso segue NR) ha similmente: “Pregando nello stesso tempo anche per noi”. Forse i traduttori sono tratti in errore dal precedente “siate costanti nella preghiera, rimanendo svegli in essa con rendimento di grazie” (v. 2, TNM), cui sembrerebbe ovvio aggiungere: “Pregando nello stesso tempo anche per noi”. Tuttavia, il testo greco non dice “nello stesso tempo”. Dice ἅμα (àma), una preposizione che significa anche “insieme”. “Pregando insieme ancora per noi” (Did). Viene sottolineata qui l’importanza della preghiera comunitaria, compiuta assieme da più fratelli, che ha più valore di quella individuale in quanto si tratta di preghiera compiuta dallo stesso Yeshùa che prega con loro: “In verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. – Mt 18:19,20.

   Il “mistero di Cristo”, che ha provocato a Paolo tribolazioni (“a motivo del quale mi trovo prigioniero”, v. 3), deve essere manifestato nel miglior modo, così come si conviene e con l’urgenza necessaria, affinché gli uomini possano ottenere la salvezza: “Che io lo faccia conoscere, parlandone come devo”. – V. 4.

   “Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo” (v. 5). Qui Paolo, mentre è chiuso in carcere, suggerisce ai suoi lettori colossesi di lavorare anch’essi per “quelli di fuori”, ovvero quelli al di fuori della congregazione di Yeshùa. Essi devono approfittare di tutte le occasioni, “ricuperando il tempo”. Devono però usare “saggezza”. Spesso le occasioni si perdono perché non si sa adattare sapientemente l’evangelizzazione ai bisogni individuali (presentando dei problemi o delle questioni che non interessano l’individuo).

   Certe discussioni tra studiosi dovrebbero rimanere tra studiosi. Certi approfondimenti che svelano le profondità della Scrittura è meglio che non siano presentate a persone che non sono capaci di capire. Questo vale anche tra credenti. Chi ha una fede semplice potrebbe perderla, anziché approfondirla. Ognuno, credenti compresi, deve avere il cibo adatto alla situazione in cui si trova, il cibo che è in grado di digerire. Se uno non è in grado di capire, non sarà con le discussioni e le contese che capirà. Ne verrebbe solo danno per la sua fede semplice. Se non è in grado, non è in grado. Yeshùa agì proprio così. “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata”. – Gv 16:12.

   “Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno” (v. 6). Come si fa a evangelizzare senza parlare? La parola è necessaria, parlata o scritta che sia. Ma questa parola, dice Paolo, va espressa “con grazia”: piacevolmente, senza durezza, senza astio. Deve essere una parola che è capace di avvicinare quanti più è possibile alla felicità cui ognuno aspira. È per questo che il parlare deve essere anche “condito con sale”. Se il cibo non è condito con sale non è gustoso, non è gradevole: basta un pizzico di sale per cambiare totalmente il gusto di un cibo. “Il sale è buono; ma se il sale diventa insipido, con che gli darete sapore?”. – Mr 9:50.

   Così la nostra parola, espressa con un pizzico di sale, vale a dire con grazia, può rendere appetitosa una verità. Quella stessa verità, presentata senza grazia, sarebbe – per mantenere il paragone con il cibo – del tutto immangiabile. Ecco allora che la nostra parola deve essere appropriata: “Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto” (1Pt 3:15,16). Uno zelo intempestivo o una polemica sterile può rovinare per sempre i contatti e allontanare da Dio delle persone che invece si vorrebbero convertire.