Secondo la dottrina paolina il credente è morto e risorto con Yeshùa. La morte del discepolo è presentata con le identiche caratteristiche della morte e della resurrezione storiche di Yeshùa. Questa dottrina va chiarita il meglio possibile.

   Il discepolo è “con-crocifisso” con lui: “Sono messo al palo con Cristo [συνεσταύρωμαι (sünestàuromai), “sono concrocifisso”; nel testo greco è al v. 19; συν (sün) signifuca “con”]” (Gal 2:20, TNM). “Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui [συνεσταυρώθη (sünestauròthe), “è stato concrocifisso”]” (Rm 6:6), che diventa – chissà perché – “la nostra vecchia personalità” (?!) in TNM; il greco ha ἄνθρωπος (ànthropos), “uomo”.

   “Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri”, “Io sono stato crocifisso” (Gal 5:24;6:14). Il discepolo è stato crocifisso con Yeshùa ed è rinato mediante la resurrezione di lui: “[Dio] ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti”. – 1Pt 1:3.

   Il credente è stato messo a morte per mezzo del corpo fisico di Yeshùa: “Anche voi siete stati messi a morte quanto alla legge mediante il corpo di Cristo” (Rm 7:4). Come Yeshùa, anche il suo discepolo è crocifisso a causa della Legge: “Per mezzo della legge, sono morto alla legge”. – Gal 2:19.

   Con Yeshùa il suo discepolo è anche risorto e glorificato: “Ci ha risuscitati con lui [συνήγειρεν (sünègheiren), “conrisuscitò”] e con lui ci ha fatti sedere [συνεκάθισεν (sünekàthisen), “fece consedere”] nel cielo”. – Ef 2:6.

   La preposizione “con” (συν-, sün-) inclusa nei verbi citati e il complemento “con cristo” indicano una comunione tra la morte e la resurrezione del credente e quelle di Yeshùa. Anche questa comunione va chiarita il meglio possibile.

   La soluzione è stata tentata dagli studiosi in due direzioni: la prima collega tale morte e resurrezione al momento del battesimo; la seconda le rimanda cronologicamente indietro al momento stesso della morte e resurrezione di Yeshùa. Cerchiamo di scoprire qualcosa di più sulle due ipotesi.

Ipotesi

  1. Prima ipotesi: è nel battesimo che il credente muore e risorge con Yeshùa a nuova vita. Sin dal 4° secolo i cosiddetti “padri” (specialmente quelli greci) insistettero nel mostrare che il battesimo è in se stesso una morte e una resurrezione da collegarsi con quelle di Yeshùa. In questa ipotesi il battesimo è un tipo, un’immagine, un’imitazione della morte e resurrezione di Yeshùa. Si possono citare a sostegno di questa ipotesi Metodio di Olimpo (Convivium 3,8), Cirillo di Gerusalemme (Catechesi Mystagogica 2,4-7), Gregorio di Nissa (Oratio Catech. Magna 35,1), Teodoro di Mopsuestia (Homel. Catech. 12, 6). In tal modo non si tratta di vera solidarietà, ma di pura imitazione. “Come fece lui, così fate anche voi” (Gregorio di Nissa, Orat. Catech. Magna 35,2). Cirillo di Gerusalemme afferma chiaramente: “Come il Cristo fu realmente crocifisso, seppellito e risorto, così voi pure siete ammessi a partecipare simbolicamente alla sua croce, alla sua tomba e alla sua resurrezione” (Cat. Mystag. 3,2). Presso questi “padri” non di rado la morte e resurrezione del credente si attenuano fino a divenire una morte e una resurrezione improprie, vale a dire la morte alla vita peccaminosa per risorgere alla vita della grazia, senza sottolineare appieno il loro rapporto con la morte e la resurrezione di Yeshùa. Per far risaltare meglio la solidarietà con il Cristo, il monaco domenicano olandese Cools cercò di collegare il battesimo alla morte e resurrezione di Yeshùa affermando che la morte e la resurrezione del credente pur essendosi attuate idealmente nel momento in cui Yeshùa morì e risorse (quale rappresentante comune), in realtà si attuano al momento del suo battesimo (J. Cools, La presence mystique du Chist dans le Baptême, pagg. 295-305). Un concetto simile è presentato da A. Feuillet, per il quale Yeshùa sarebbe morto come rappresentante dell’umanità, per cui tutti gli uomini virtualmente sarebbero morti e resuscitati con lui; quando il credente si battezza, verrebbe innestato in quello stato di morte e vita di Yeshùa che avrebbero effetti permanenti (Mort du Christ et mort du chretien d’après les épitres pauliniennes, pagg. 481-513). Secondo un altro studioso, le persone muoiono e risorgono al momento del battesimo perché ripetono e fanno proprio ciò che Yeshùa, progenitore della nuova umanità, fece per primo (R. Schnackenburg, Das Heilsgeschehen bei der Taufe nach dem Apostel Paulus, München). Sono tutte ipotesi interessanti, ma che non spiegano bene le formule paoline citate che parlano di un’identità completa, anche cronologica, con la morte e la resurrezione di Yeshùa. Nelle ipotesi precedenti si tratta di fatti distinti: morte e resurrezione di Yeshùa da un lato, morte e resurrezione del credente dall’altro. Al più, stando a queste ipotesi, si può parlare di morte e di resurrezione del credente come quelle di Yeshùa, non con quelle di Yeshùa (come dice Paolo). Secondo Paolo il credente non partecipa solo a una morte al peccato, ma partecipa alla sua morte storica e alla resurrezione storica di Yeshùa avvenute due millenni or sono. Per Paolo si tratta di un vero supplizio che il credente ha subito, identico a quello subito da Yeshùa; si tratta di una resurrezione vera con la susseguente immissione nella vita gloriosa di Yeshùa. A dispetto delle traduzioni che aggiustano tutto dando un senso di simbolismo, Paolo dice in Ef 2:5,6:

ὄντας ἡμᾶς νεκροὺς τοῖς παραπτώμασιν συνεζωοποίησεν τῷ χριστῷ

 òntas emàs nekrùs tòis paraptòmasin sünezoopòiesen to christò

essenti noi morti per le trasgressioni [ci] ha convivificato al cristo

καὶ συνήγειρεν καὶ συνεκάθισεν ἐν τοῖς ἐπουρανίοις

kài sünègheiren kài sünekàthisen en tòis epuranìois

e conrisuscitò e fece consedere in le (regioni) celesti

  1. Seconda ipotesi: morte dell’umanità redenta al momento stesso della morte e resurrezione storiche di Yeshùa. Per poter capire bene questa ipotesi occorre rifarsi ad una idea biblica: il concetto della personalità corporativa. Secondo la Bibbia il capostipite agisce in nome dei suoi discendenti e ne determina in tal modo il destino, per cui quanto egli ha compiuto può attribuirsi pure a costoro (A. T. Robinson, The Hebrew Conception of Corporate Personality). Questa solidarietà della discendenza con il capostipite poggia sulla personalità corporativa, concetto molto diffuso presso tutti gli orientali: capostipite e discendenza sono considerati come un’unica persona morale. In tal modo la discendenza, che può dirsi già esistente “nei lombi” del padre, porta le conseguenze delle azioni paterne. Troviamo questo concetto, ad esempio, in Eb 7:4-10: “Nella persona d’Abraamo, Levi stesso, che riceve le decime, ha pagato la decima; perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abraamo” (vv. 9,10). Tale solidarietà è dunque unilaterale perché sono i discendenti che portano le conseguenze di ciò che il capostipite compie, mentre questi non è solidale con coloro che da lui sono derivati. C’è una sola eccezione: il caso della “vendetta del sangue”, in cui ogni membro già vivente del clan diventa solidale con l’omicida e perciò corresponsabile del suo delitto e oggetto di vendetta da parte del clan dell’ucciso (Gn 26:10; Gs 7:22-26). Di solito, invece, nella Bibbia la solidarietà è unilaterale e discendente: Canaan impudico avrà per discendenti i cananei dai culti licenziosi che saranno partecipi alla sua sorte di schiavo dei propri fratelli (Gn 9:18-27); gli edomiti, discendenti di Esaù, saranno come Esaù sottoposti agli ebrei discendenti di Giacobbe (Gn 27:37 e sgg.). Lo studioso P. Dacquino ha applicato tale idea alla morte e alla resurrezione del credente, che non si sarebbero attuate nel momento del suo battesimo ma nei due attimi della morte e della resurrezione di Yeshùa, capostipite della nuova umanità redenta. In pratica questa teoria dice che Yeshùa è morto e risorto anche per tutta la nuova umanità che con lui, in quei precisi momenti, era morta e risorta. A sostegno si cita Rm 5:12-21 (P. Dacquino, La nostra morte e la nostra resurrezione con Cristo secondo San Paolo, in “Rivista Biblica” 14). Il battesimo sarebbe quindi non il momento della nostra morte e resurrezione (già attuatesi con quelle di Yeshùa), ma solo l’attimo in cui il credente viene innestato nella nuova umanità.