“Benché il tempo sia universale, nessuno al mondo è in grado di dire cosa sia. Esso è insondabile come lo spazio. Nessuno può spiegare dove cominciò il tempo o dove esso scorra” (Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, pag. 278, § 3). Questa è una classica dichiarazione sul tempo, largamente condivisa dalle persone comuni. In essa si possono distinguere due affermazioni:

  1. Nessuno saprebbe cosa sia il tempo. Già Agostino, più di quindici secoli fa, scriveva: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so … ma quando cerco di spiegarlo a qualcuno che me lo domanda, non lo so”. –  Confessioni, XI,14.
  2. La seconda affermazione pare una contraddizione della prima. Dopo aver appena detto che “nessuno al mondo è in grado di dire cosa sia” il tempo, si pretende di dare un dato di fatto affermando che ‘il tempo cominciò e scorre’. Ma se nessuno è in grado di sapere cosa sia il tempo, come si può affermare che esso cominciò e che esso scorra?

    Maimonide, il grande pensatore ebreo che nel 1168 formulò la professione di fede ebraica che è tuttora riconosciuta dall’ebraismo, parlando di un’illustre scuola di pensatori arabi, ebbe a dire: “Essi non hanno capito alcunché dell’essenza del tempo. E questo è naturale: se i più grandi filosofi si sono sentiti in difficoltà nell’investigare l’essenza del tempo, e se alcuni d’essi sono stati addirittura incapaci di intuire che cosa sia veramente il tempo, e se anche Galeno ha considerato il tempo come qualcosa di divino e d’incomprensibile, che cosa ci si può attendere da coloro che non indagano sulla natura delle cose?”. – La guida dei perplessi.

   Per le persone il tempo è uno strumento di misurazione. Ma pare che tutta la consapevolezza del tempo stia nella semplice distinzione tra un prima e un dopo. In genere si è coscienti del tempo solo quando si paragonano due eventi, osservando che uno viene prima e l’altro dopo. Tutto qui? E se tutti i movimenti dell’universo cessassero per un momento, in quel momento cesserebbe il tempo? Se l’universo si fermasse e rimanesse immobile per un’ora, e con esso noi e tutto il resto (senza un pensiero, senza un respiro, senza consapevolezza, senza una particella subatomica che svolga la sua attività), in quell’ora il tempo sarebbe fermo? Forse gli mancherebbe un’ora? Oppure cesserebbe di esistere per un’ora? E chi, poi, potrebbe dire che si è trattato di un’ora?

   Eppure, a quanto pare, per molta gente la questione è semplice: il tempo non si sa cosa sia, ma scorre. Ma scorre davvero? Ne siamo proprio sicuri?

   Il fatto è che ci vuole un’intelligenza particolare per comprendere cosa sia davvero il tempo. E ci vuole un’intelligenza illuminata da Dio per capirne il significato ultimo.

   Ma scorre davvero il tempo? Per millenni tutta l’umanità (e con essa intellettuali, filosofi e scienziati dell’epoca) ha creduto che il sole scorresse attorno alla terra immobile. Ma oggi sappiamo che è la terra che scorre attorno al sole. O no? Possiamo essere ingannati dalle apparenze. Già.

   Tutti abbiamo fatto l’esperienza, prima o poi, di assistere ad un paesaggio che “scorre”, mentre noi eravamo seduti accanto al finestrino di un treno che – esso sì – scorreva sui binari. Apparenza. Può accadere qualcosa di simile con la nostra percezione del tempo? Sì. Per le nostre menti, racchiuse nello spazio, il tempo sembra scorrere. Quando però impariamo a capire che sono le cose dello spazio a esaurirsi e che lo spazio è in espansione (quindi più “grande” di quanto non lo fosse miliardi e miliardi di anni or sono), allora iniziamo a comprendere che è lo spazio a muoversi attraverso il tempo.

   Così si legge in una pubblicazione religiosa: “Il tempo ha certe caratteristiche che si possono comprendere. L’apparente velocità con la quale trascorre può essere misurata. Inoltre esso scorre in una sola direzione. Come il traffico in una via a senso unico, il tempo trascorre inesorabilmente in quell’unica direzione, in avanti, sempre in avanti. Qualunque sia la velocità del suo movimento in avanti, non lo si può mai far retrocedere. Viviamo in un presente momentaneo. Comunque, questo presente è in movimento e scorre di continuo verso il passato. Non si arresta” (Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, pag. 278, § 4). Apparenza, tutta apparenza. Così sembra a noi, vincolati dallo spazio.

   La verità è che siamo noi a scorrere nel tempo, non noi fermi con il tempo che scorre. Il paesaggio del tempo, che dal finestrino della nostra vita sembra scorrere, in realtà è fermo. Noi, il mondo e l’universo intero scorriamo nel tempo immobile. Il tempo che noi chiamiamo “tempo” è solo il tempo relativo. Relativo a noi.

   Che nome dare a questo tempo relativo che a noi sembra scorrere? Una parola appropriata c’è: temporalità. Il tempo è fermo e lo spazio si muove nel tempo: la relazione tra spazio e tempo è la temporalità, il tempo relativo.

   Lo spazio è quell’entità da noi non molto conosciuta e in espansione che è occupata dall’universo. È la realtà in cui viviamo. Eppure non è la forma ultima di realtà. Essa ha avuto un inizio. “In principio Dio creò i cieli e la terra” (Gn 1:1, TNM). E prima? Prima c’era Dio. Egli era già lì quando “creò i cieli e la terra”. E il tempo?

   Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, pag. 278, al § 3, dice: “Nessuno può spiegare dove cominciò il tempo”. Dunque non sarebbe iniziato con la creazione dell’universo, altrimenti non si potrebbe affermare che “nessuno può spiegare dove cominciò”. Si noti il tentativo di un ragionamento che sfugge alla logica: si dice che “nessuno può spiegare dove cominciò”. E qui c’è un primo errore, perché si presuppone che il tempo iniziasse in un “dove”, ovvero in qualche luogo o momento. Ma cosa c’entra il tempo con un “dove” da collocarsi necessariamente in uno spazio (sia pure spirituale)? D’altra parte, se si dicesse che nessuno sa quando iniziò, la domanda obbligata sarebbe subito: E prima che iniziasse? Un altro errore è nell’assunto “cominciò”. Siamo proprio certi che il tempo abbia avuto un inizio? E se l’ha avuto, prima del tempo non c’era il tempo? Pare proprio di cadere in una trappola simile a quella in cui cade una mente limitata (limitata perché umana, non perché stupida) che domanda: Ma prima di Dio chi c’era?

   Tutta l’insostenibilità del ragionamento tentato da Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile diventa d’un tratto logico se si mette al positivo e se si usa la parola “temporalità”: Chiunque può spiegare dove cominciò la temporalità. E possiamo anche sapere quando. La temporalità iniziò alla creazione, quando Dio iniziò a creare.

   Il tempo è la dimensione di Dio. Come Dio è eterno, il tempo – che a lui appartiene – è eterno. Come Dio non cambia, il tempo non cambia. Presso Dio non c’è passato, presente e futuro. C’è l’essere. Dio è l’Essere.

   Quando Dio portò all’esistenza lo spazio, questo venne a trovarsi nel tempo, nel tempo di Dio, quel tempo fermo ed eterno che appartiene a Dio. E lo spazio iniziò a scorrere nel tempo. Ma attenzione: lo spazio (il nostro universo) è il fiume che scorre, il tempo sono le sponde ferme del fiume dello scorrimento dell’universo. La creazione non è ferma, mentre il tempo lo è. La creazione si muove nel tempo eterno e immobile. Lo spazio invecchia, le cose dello spazio si consumano e finiscono. Il tempo rimane, immutabile e sempiterno, insieme a Dio.

   La persona comune percepisce la temporalità come fosse il tempo, lo vede scorrere come vede scorrere il paesaggio dal finestrino di un treno in corsa. Scambia la temporalità per il tempo. Ma s’inganna. La temporalità (il nostro tempo relativo) è evanescente: ha un prima e un dopo. Appartiene allo spazio. Il tempo in sé invece non cambia. Non dovremmo mai parlare dello scorrere del tempo, ma dello scorrere dello spazio attraverso il tempo. Il tempo non invecchia: siamo noi ad invecchiare. La temporalità sì, invecchia con noi. Il tempo è oltre lo spazio. Il tempo trascende ogni divisione tra passato, presente e futuro.

   Dio vive nel tempo, non nella temporalità. Se non si comprende questo, si fa di Dio un essere a immagine e somiglianza dell’uomo.

   “La mia propria mano pose le fondamenta della terra, e la mia propria destra stese i cieli. Li chiamo, perché stiano insieme” (Is 48:13, TNM). Si noti l’uso del presente: Dio li chiama – ora, anche ora – “perché stiano insieme”. Dio è nell’eterno presente del suo tempo. “Il Creatore dei cieli e il Grande che li distende; Colui che stende la terra e il suo prodotto, Colui che alito al popolo su di essa, e spirito a quelli che vi camminano” (Is 42:5, TNM). Dio fa tutte queste cose ora, in questo momento, in ogni momento, sempre. Noi, nella nostra temporalità, diciamo che l’ha fatto, lo fa e lo farà. Dio dice che lo fa: il suo tempo ha solo il presente. “Se egli rivolge il cuore a qualcuno, [se] ne raccoglie a sé lo spirito e il respiro, ogni carne spirerà insieme, e l’uomo terreno stesso tornerà alla medesima polvere” (Gb 34:14.15, TNM): il presente di Dio è futuro per l’uomo.

“Mostra[ci] proprio come contare i nostri giorni”. – Sl 90:12, TNM.

   Dobbiamo imparare a comprendere che il tempo non esiste in funzione dello spazio, ma che lo spazio è in funzione del tempo. Saper contare i nostri giorni è qualcosa di più di quanto detto da La Torre di Guardia del 1° settembre 1999: “Cosa significa contare i propri giorni? Non significa vivere ossessionati dall’idea della morte. Mosè stava pregando Geova di insegnare ai Suoi servitori a usare bene i giorni che rimanevano loro in modo da onorarLo. State contando i giorni della vostra vita, considerando ciascun giorno una preziosa risorsa da impiegare alla lode di Dio?” (pag. 20, § 6). Saper contare i nostri giorni implica che ci rendiamo conto che la temporalità può essere uno sprofondare nel nulla oppure un entrare nella pienezza del tempo di Dio, l’eternità. Guardando il tempo dalla prospettiva di Dio (e non dal nostro piccolo finestrino da cui sembra che tutto scorra), nulla è perduto. Nella nostra temporalità tutte le cose periscono, e noi con loro. Ma in Dio il tempo non muore mai. Ciò che davvero dura rimane nel tempo di Dio. “Smettete di accumularvi tesori sulla terra [nello spazio], dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri sfondano e rubano. Piuttosto, accumulatevi tesori in cielo [nella dimensione eterna di Dio], dove né la tignola né la ruggine consumano, e dove i ladri non sfondano né rubano”. – Mt 6:19,20, TNM.

   Chi sa intuire e sentire la realtà del tempo è consapevole dell’unità che esiste tra passato, presente e futuro nell’eterna consapevolezza di Dio.

   Noi viviamo in due tempi:

  1. Nella temporalità, nel tempo relativo dell’universo, che è  breve.
  2. Nel tempo, quello di Dio, eterno.

   Per la breve durata della nostra vita (che misuriamo in giorni, mesi e anni nella temporalità) noi siamo contemporanei di Dio. Il nostro tempo (quello relativo, la temporalità) è frantumato in momenti, in periodi, in giorni e in notti. Il tempo vero, quello di Dio, è indiviso.

   L’eternità non inizia quando il tempo finisce. Il tempo è eternità. Quando questa eternità incontra lo spazio, s’infrange e diventa tempo relativo, temporalità misurabile.

   Dio non è soggetto alla temporalità né confinato nell’eternità. Un momento del tempo di Dio può coincidere con la nostra temporalità. Ciò che Dio fa per l’umanità accade nel suo tempo e nella nostra temporalità. Per noi accade una volta; visto da lui accade sempre.

   “Il terzo mese da che i figli d’Israele erano usciti dal paese d’Egitto, lo stesso giorno, giunsero nel deserto del Sinai” (Es 19:1, TNM). Cos’ha di speciale questo versetto? Proprio nulla, nella traduzione. Nella Bibbia ha invece un significato prezioso. La data che vi è indicata è precisa, rintracciabile sul calendario della temporalità umana. L’evento avvenne quella volta, in quella data, una sola volta. Evento del passato che appartiene alla storia passata del popolo di Dio. Ma …

   Ma il testo biblico appare strano ai traduttori:

בַּיֹּום הַזֶּה בָּאוּ מִדְבַּר סִינָי

bayòm hazèh bàu midbàr synày

nel giorno questo vennero deserto Sinày

   Che, messo in bell’italiano, suona: “Nel terzo mese dall’uscita dei figli di Israele dalla terra d’Egitto, in questo giorno arrivarono al deserto del Sinày”. Questo passo fece scervellare gli antichi rabbini. Non si doveva forse dire “in quel giorno”? Perché la Scrittura dice: “In questo giorno”? I traduttori moderni non si sono dati tanta pena. NR taglia corto: “Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d’Egitto, i figli d’Israele giunsero al deserto del Sinai”. E TNM cerca di adattare: “Il terzo mese da che i figli d’Israele erano usciti dal paese d’Egitto, lo stesso giorno, giunsero nel deserto del Sinai”. Certo questi traduttori non si curano molto di un semplice hazèh (הַזֶּה), “questo”. Non sono ebrei come quei rabbini o come Yeshùa che vedeva più probabile la fine dell’universo piuttosto che la trascuratezza di una sola particella di una singola lettera della Toràh (di cui Esodo fa parte), figuriamoci poi un’intera parola. Quell’evento accadde nel tempo di Dio e nella temporalità umana. Per l’uomo avvenne in quella data. Per Dio accade sempre: il suo popolo esce oggi dall’Egitto e oggi riceve la sua Toràh.

   Il tempo interrotto è temporalità, il tempo ininterrotto è eternità. Il concetto è difficile da capire per la mente umana limitata. Ma ciò non deve comportare che si debba piegare il tempo di Dio alle nostre suddivisioni temporali in passato, presente e futuro. Nella temporalità due istanti non sono mai contemporanei. Ma nel tempo l’eternità è una e indivisibile. Nell’eternità ogni momento è contemporaneo di Dio. Il mondo è nel tempo e procede attraverso Dio. “In lui viviamo, ci moviamo, e siamo” (At 17:28): “In lui”, greco ἐν (en, “in”), e non “mediante lui”, come traduce TNM.

   Per l’uomo comune il tempo è solo temporalità fuggevole. Per l’uomo con Dio il tempo è eternità sotto le mentite spoglie della temporalità.

La concezione del tempo nella filosofia e nella scienza

   Vivendo nello spazio, nel mondo delle cose, ci riesce difficile capire delle realtà che non si presentino come cose da poter toccare o almeno vedere. Non è questa la principale difficoltà di chi non crede nell’esistenza di Dio? Se Dio si potesse vedere … . La stessa cosa accade con il tempo. Dato che non possiamo né vederlo né toccarlo, la sua realtà ci sfugge. Perfino il grande pensatore, conoscitore perfetto della filosofia e matematico, B. Russell, ebbe a dire che il tempo è “una caratteristica poco rilevante e superficiale della realtà” (Our Knowledge of the World, New York, pag. 166). Anzi, per lui “riconoscere l’irrilevanza del tempo apre la porta al sapere”. – Ibidem, pag. 167.

   A. Einstein parla del “concetto del tempo locale” e di “quello del tempo nella fisica” (A. Einstein, Fisica e realtà).    Egli osservò che due persone possono sentire lo stesso suono in tempi diversi, secondo la loro posizione nello spazio; e concluse che la successione cronologica di eventi separati tra loro per la distanza fosse arbitraria. Dato che il suono è uno solo e uguale per tutte e due le persone che lo sentono, si deve parlare di relatività della simultaneità. Per l’osservatore astronomico questo fatto è cruciale, dato che deve determinare la successione cronologica di eventi separati. Quale stella è più distante dalla terra di un’altra? Einstein riesce a saperlo misurando la distanza che separa una stella dalla terra e dividendo tale distanza per la velocità della luce. Così si arriva a conoscere il tempo impiegato dalla luce di quella stella per giungere sulla terra. Semplice. Se sappiamo che la nostra automobile viaggia costantemente a 60 km orari e dobbiamo percorrere 30 km, basta fare 30/60 (30 km diviso 60 km/ora = 0,5 ore ovvero mezz’ora ovvero 30 minuti). Così, nel caso della stella basta fare questa semplice operazione: distanza stella-terra diviso velocità della luce = tempo impiegato dalla luce stellare per giungere sulla terra). Tuttavia, occorre conoscere la velocità della luce. E la scoperta avviene qui: la misurazione dello spazio dipende dalla simultaneità.

   Cerchiamo di capirlo, parlando di dimensioni spaziali. Poniamo un oggetto nello spazio; diciamo una Bibbia in una stanza, su un tavolino. Possiamo vedere facilmente la prima dimensione: Diciamo che la Bibbia si trovi a due metri dalla parete anteriore: è la prima dimensione. Ma non ci basta però per sapere dove si trovi davvero la Bibbia: potrebbe essere sulla sinistra anziché sulla destra, e la distanza dalla parete anteriore sarebbe sempre di due metri. Ci occorre una seconda dimensione: Ora abbiamo la distanza dalla parete di sinistra: la seconda dimensione. Nella stanza, avendo queste due dimensioni, la Bibbia può essere solo lì e in nessun altro posto della stanza. Potrebbe essere però su un tavolino alto 90 cm o 110 cm. Le due dimensioni precedenti sarebbero sempre valide, ma non ci dicono a che altezza dal pavimento si trova la Bibbia. Ci vuole la terza dimensione. È sufficiente? Sì, per identificare la collocazione della Bibbia nello spazio. No, per collocarla nella temporalità. Infatti, se la Bibbia viene aperta, le tre dimensioni precedenti ci dicono dove ma non ci dicono quando. La quarta dimensione ci dice il quando. Diciamo, per completare l’esempio, che la Bibbia è stata aperta il 1° dicembre dello scorso anno alle ore 17,00.

   Ecco quindi l’insieme spazio-tempo (tempo è qui inteso come temporalità, ovvero il tempo relativo), espresso matematicamente combinando lo spazio e il tempo in una struttura a quattro dimensioni.

   Per Einstein spazio e tempo non sono più considerati come classi differenti di concetti fisici: il mondo è un insieme quadridimensionale. La teoria della relatività riduce tutte le leggi della natura a coincidenze o incontri di punti definiti da tali coordinate.

   È stato affermato che, grazie ad Einstein, spazio e tempo sono ora considerati virtualmente identici. Beh, è una conclusione che sorprenderebbe lo stesso Einstein. La teoria della relatività non giunge affatto a questa conclusione. Lo scienziato stesso afferma: “La non divisibilità del continuum quadridimensionale degli eventi non comporta però l’equivalenza delle coordinate dello spazio con quelle del tempo. Al contrario, dobbiamo tener presente che la coordinata del tempo è definita fisicamente in modo del tutto diversa dalle coordinate spaziali” (Il significato della relatività, Edizioni Einaudi, Torino). L’astronomo A. S. Eddington, accogliendo pienamente la teoria della relatività, ammette imbarazzato: “Il tempo è … il Cielo sa cosa”.

   La percezione del tempo noi l’abbiamo quando chiudiamo gli occhi: lo spazio non c’è più, ma sentiamo che stiamo durando. Lo spazio è qualcosa che consideriamo esterno: noi siamo nello spazio, lo spazio è intorno a noi. Ma il tempo è qualcosa che riguarda proprio noi: lo sentiamo dentro, non all’esterno.

   Non è che poi conosciamo così bene lo spazio. Bastano semplici domande per mandarci in crisi: dove finisce lo spazio? E dopo cosa c’è? E se non finisce come fa a non finire? Fin dove arriva? Tuttavia, ci basta sapere che esso è più o meno infinito (ma la scienza assicura che invece è finito). Lo spazio è vastissimo, ci siamo dentro e ciò ci basta. Ma un contatto intimo con un oggetto non possiamo stabilirlo: come entrare nella sua struttura chimico-fisica, esplorarne gli atomi e le particelle subatomiche?

   La questione cambia alquanto con la percezione del tempo. La percezione che ne abbiamo è intima, eppure elude la nostra comprensione. Ci sono dei concetti che la scienza presuppone ma che non sa spiegare; anzi, che neppure sottopone ad analisi. Tra questi concetti c’è quello del tempo così come viene inteso dalla fisica. Qui le strade si dividono. Diventano parallele che mai s’incontrano, pur non entrando in conflitto. Una strada è quella seguita dalla fisica: tempo è qui qualcosa di concreto e di misurabile. Altra strada è quella della filosofia e ancor di più della spiritualità: si tratta del significato che il tempo ha per la coscienza della persona che medita sulla sua esistenza così breve.

   La teoria della relatività concerne la fisica e riguarda problemi matematici: la misurazione degli eventi nel tempo e nello spazio. In quest’ambito il tempo diventa temporalità, perché incontra lo spazio.

   È ingenuo cercare di trasferire il concetto di tempo della fisica nella metafisica.

L’idea biblica di Dio

   La persona biblica, l’ebreo, vedeva la potenza di Dio dappertutto. La sua preoccupazione era di conoscere la volontà di Dio che governa tutto l’universo, più che conoscere le leggi della natura. Certo la natura, intesa come creazione, lo impressionava. Ma ancora di più, enormemente di più, lo impressionava Dio. Il Salmo 104 canta:

“Loda il Signore, anima mia:

Signore, mio Dio, quanto sei grande!

Sei rivestito di maestà e splendore.

Sei avvolto in un manto di luce.

Hai disteso il cielo come una tenda.

Lassù, sulle acque sta la tua dimora,

fai delle nubi il tuo carro,

avanzi sulle ali del vento.

Ti servi dei venti come messaggeri,

dei bagliori dei lampi come ministri.

Tu hai fatto la luna per segnare il tempo

e il sole è puntuale al suo tramonto.

Distendi le ombre e scende la notte.

Come sono grandi le tue opere, Signore,

e tutte le hai fatte con arte!”

Sl 104 passim, PdS.

   La Parola del Signore (PdS), la versione da cui è tratta questa bellissima traduzione, indica come titolo fuori testo del salmo: “Inno alla creazione”. Ebbene, i bravissimi traduttori di PdS sbagliano. Questo salmo non è un inno alla creazione. È un inno al creatore, Dio.

   Che Dio trascenda la categoria dello spazio è una verità evidente nella Bibbia. Le espressioni bibliche del tipo “Dio è nei cieli” (Sl 115:3, TNM) sono chiaramente delle metafore. Il pensiero ebraico, essendo concreto, non ama le astrazioni. Per Dio, quindi, doveva pur esserci un luogo: idealmente era il cielo. Prendere alla lettera questa espressione significa essere miopi. Il popolo ebraico era solito cantare che Dio “ha scelto Sion; l’ha grandemente desiderata come dimora per sé” (Sl 132:13, TNM); Dio stesso dice: “Questo è il mio luogo di riposo per sempre; qui dimorerò, poiché ne ho avuto grande desiderio” (v, 14). Il Tempio era il luogo in cui Dio dimorava? Sl 11:4 dice che Dio “è nel suo santo tempio”, ma subito aggiunge che “nei cieli è il suo trono” (TNM). Si tratta di metafore.