“Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire tra breve, e che egli ha fatto conoscere mandando il suo angelo al suo servo Giovanni. Egli ha attestato come parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo tutto ciò che ha visto. Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!”. – Ap 1:1-3.

   Il nome del libro biblico di Ap gli fu dato quando esso fu accolto nel canone, e fu ricavato dalla sua prima parola: Ἀποκάλυψις (Apokàlypsis), che in greco significa “rivelazione”. L’introduzione del libro (1:1-3) è strettamente collegata alla sua conclusione: “«Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco». «Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro». Io, Giovanni, sono quello che ha udito e visto queste cose . . . Poi mi disse: «Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino” (Ap 22:6-8,10). Sia nell’introduzione che nella conclusione sono indicati, con solennità: origine divina della rivelazione, suo redattore, contenuto e destinatari. Ambedue terminano con una beatitudine: “Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte”, “Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”. – Ap 1:3;22:7.

   Si noti che il titolo attribuito in seguito al libro – Rivelazione di Giovanni -, pur essendo corretto, si allontana un po’ da ciò che Giovanni stesso dice. Infatti, egli non collega la prima parola (“rivelazione”) al proprio nome, che menziona solo in seguito, ma indica Yeshùa come fonte autorevole: “Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede”. Lui, Giovanni, è solo l’incaricato che deve scrivere e far conoscere il messaggio. Già nei Vangeli Yeshùa rivela ai suoi discepoli la venuta del “figlio dell’uomo”, come in Mr 13, Mt 24 e Lc 21. Così, anche qui, Yeshùa svela il futuro ai suoi servi, “poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Am 3:7). Yeshùa, il Profeta per eccellenza, ha ricevuto la rivelazione direttamente da Dio, e ora utilizza un angelo per farla avere a Giovanni.

Ἀποκάλυψις Ἰησοῦ χριστοῦ

Apokàlypisis Iesù christù

Rivelazione di Yeshùa unto

 

   La rivelazione, prima ancora di essere resa nota ha già tutta la sua autorevolezza testimoniata dalla sua origine che risale a Dio stesso, per passare alla conferma testimoniale di Yeshùa, poi a quella dell’angelo e infine a quella di Giovanni. Il quale doveva essere ben noto alle comunità, perché egli menziona solo il suo nome senza aggiungervi la sua carica ministeriale. Giovanni si definisce “servo” con l’incarico di far conoscere il messaggio, che in tal modo risalta ancora di più. Ma qual è questo messaggio così importante?

   Il messaggio consiste in una apokàlypsis, una “rivelazione”. Si tratta di svelare, di togliere il velo, a qualcosa di nascosto. Ciò che è rivelato concerne il futuro. Ma ciò è già importante per il presente, anzi lo determina. Al veggente è data facoltà di guardare nel mondo celeste e di vedere ciò che è invisibile e segreto. “C’è un Dio nel cielo che rivela i misteri”. – Dn 2:28.

   Sin dall’inizio Giovanni parla di testimonianza. Il concetto di testimonianza ha un grande valore nella Bibbia. In Is 43 si assiste alla chiamata delle nazioni come in un’aula di tribunale: “Si adunino tutte assieme le nazioni, si riuniscano i popoli! … Procurino i loro testimoni e stabiliscano il loro diritto, affinché, dopo averli uditi, si dica: «È vero!»” (v. 9). Nell’udienza viene poi chiamata Israele alla sbarra: “I miei testimoni siete voi, dice il Signore, voi, e il mio servo che io ho scelto, affinché voi lo sappiate, mi crediate, e riconosciate che io sono. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me, non ve ne sarà nessuno. Io, io sono il Signore, e fuori di me non c’è salvatore. Io ho annunciato, salvato, predetto, e non un dio straniero in mezzo a voi; voi me ne siete testimoni, dice il Signore; io sono Dio” (vv. 10-12). Israele deve testimoniare nel foro popolare che Dio è l’unico Dio e che ha scelto Israele. Anche i discepoli di Yeshùa sono e devono essere testimoni: “Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute” (At 10:39), “Voi siete testimoni di queste cose” (Lc 24:48), “Mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra»”. – At 1:8.

   Vi è uno stretto rapporto tra testimonianza e sofferenza. Dalla stessa parola greca che significa “testimone”, e che è μάρτυς (màrtys), deriva la parola “martire”. Giovanni, che “ha attestato come parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo tutto ciò che ha visto” (Ap 1:2), si trovava “nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1:9). Il veggente parla di “quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che gli avevano resa” (Ap 6:9). Quando il dragone s’infuria, va a “far guerra a quelli che restano della discendenza di lei che osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù” (Ap 12:17). Sia l’angelo sia Giovanni fanno parte dei servi “che custodiscono la testimonianza di Gesù” (Ap 19:10). Nella sua visione, Giovanni vede “quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio”. – Ap 20:4.

   Proprio come gli antichi profeti d’Israele furono perseguitati e dovettero soffrire a causa del messaggio che Dio aveva loro affidato, anche il testimone profetico Yeshùa, “il testimone fedele” (Ap 1:5), “il testimone fedele e veritiero” (Ap 3:14), dovette soffrire.

   L’introduzione giovannea si chiude con una beatitudine: “Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte”. – Ap 1:3.

 

Le 7 beatitudini di Ap

1

1:3

“Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia”

2

14:13

“Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore”

3

16:15

“Beato chi veglia”

4

19:9

“Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”

5

20:6

“Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione”

6

22:7

“Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”

7

22:14

“Beati quelli che lavano le loro vesti”