Il Drago e l’Agnello, il popolo di Dio minacciato e protetto – Ap 12-14

 

Ai capitoli 12, 13 e 14 troviamo il nucleo centrale dell’Apocalisse. Eccone lo schema:

 

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Il grande conflitto con le potenze delle tenebre è molto duro e richiede molta resistenza. Ciò è spiegato ricorrendo a immagini mitiche.

Le immagini si fanno più realistiche riferendosi all’attualità: la chiesa deve rimanere fedele anche fino alla morte, resistendo all’Impero Romano che pretende l’adorazione del suo imperatore.

Anche nella più dura prova, nel pieno della tribolazione, la chiesa può mantenersi serena e fiduciosa, perché la vittoria sarà di Dio e del suo Cristo.

 

 

La donna, il drago e il bambino – Ap 12:1-6

   “Poi un grande segno apparve nel cielo: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto” (Ap 12:1,2). Dalla terra, il veggente vede un segno in cielo. I segni nel cielo avevano nella rappresentazione apocalittica una valenza di portata cosmica tale da determinare il corso della storia. Yeshùa stesso si riferì a tali segni celesti in Mt 24:29,30: “Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”.

   Nell’identificazione di questa “donna” occorre essere molto attenti. Ci sono qui elementi mitici che vanno compresi, elementi che il giudaismo privò del loro contenuto pagano per impiegarli nelle proprie espressioni.

   Nel mito. La “donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo” è la regina del cielo. Si tratta di un’immagine delle religioni astrali. Ad esempio, Iside (la dea egizia) era venerata dagli egizi come la madre di tutti gli dèi. Nel mondo antico questa figura veniva rappresentata come un’apparizione cosmica in cui tutto era collegato: luce e tenebre, giorno e notte (“rivestita del sole, con la luna sotto i piedi”).

   Nell’Antico Oriente. Gli antichi orientali raffiguravano i popoli (e anche le città) con immagini femminili. Anche nella Bibbia troviamo quest’uso, così – ad esempio – Gerusalemme è chiamata “figlia di Sion”. – Is 1:8.

   Nell’apocalittica giudaica. Gli ebrei non attribuivano agli astri alcun attributo divino, così per Giovanni il sole, la luna e le stelle non sono altro che abbellimenti, ornamenti della donna. Le 12 stelle simboleggiano le 12 tribù del popolo di Dio.

   La donna vista da Giovanni “era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto” (Ap 12:2). Chi deve partorire? “Ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro” (Ap 12:5). Si tratta di Yeshùa. E non si faccia qui l’errore di intendere la regina del cielo come la madre di Yeshùa, figura tanto cara ai cattolici. Fu la Chiesa Cattolica medievale a darle questo senso. Contro questa interpretazione che è solo religiosa c’è il v. 17: che parla “della discendenza di lei”, riferendola a coloro “che osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù”, i credenti, di cui pure lei è madre.

   La donna è Israele, da cui sorse il Messia. A lei appartengono tutti coloro “che osservano i comandamenti di Dio” (Ap 12:17). L’immagine del parto difficile descritto con le sue grida “per le doglie e il travaglio” (Ap 12:2) corrisponde al paragone che la Bibbia fa per indicare l’arrivo di una sciagura improvvisa: “Perciò i miei fianchi sono pieni di dolori; delle doglie mi hanno còlto, come le doglie di una partoriente; io mi contorco, per quello che sento; sono spaventato da ciò che vedo. Il mio cuore si smarrisce, il terrore s’impossessa di me” (Is 21:3,4). Anche Paolo usa questa immagine riferendosi al “giorno del Signore” e dicendo che “una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta”. – 1Ts 5:2,3.

   “Apparve ancora un altro segno nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le scagliò sulla terra. Il dragone si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, non appena l’avesse partorito”. – Ap 12:3,4.

   Nella Bibbia il dragone personifica il caso che lotta contro Dio, come in Is 51:9 “Non sei tu che facesti a pezzi Raab, che trafiggesti il dragone?” (cfr. Sl 74:12-14). Il colore del dragone è rosso, lo stesso colore usato in Egitto e in Babilonia per connotare i mostri delle tenebre; qui ne indica l’intenzione omicida. Le molte teste del dragone rientrano nella visuale biblica dei mostri del caos, come appare in Sl 74:4 “Tu stesso facesti a pezzi le teste di Leviatan” (Sl 74:14, TNM); Giovanni usa per descriverle uno dei suoi settenari. Le sue 10 corna sono in armonia con Dn 7:7, in cui la bestia d ella visione danielica era “diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna”. L’enorme potenza di questo mostro è mostrata dal fatto che con un tremendo colpo di coda spazza via un terzo delle stelle; il che ci ricorda il piccolo corno di Dn 8:1, che “crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra una parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò”. Con queste immagini spaventose Giovanni intende dire che satana sconvolge l’ordine che regna in cielo.


Il dragone

“Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo”. – Ap 12:9.

Raab, il mostro marino

“Risvègliati, risvègliati, rivèstiti di forza, braccio del Signore! Risvègliati come nei giorni di una volta, come nelle antiche età! Non sei tu che facesti a pezzi Raab, che trafiggesti il dragone?”. – Is 51:9.

Il Leviatano

Si tratta del coccodrillo. – Cfr. Gb 41:1-34; in ebraico la parola “mare” è applicata a qualsiasi specchio d’acqua, compresi i fiumi.

ü  “Ecco il mare, grande e immenso, dove si muovono creature innumerevoli, animali piccoli e grandi. Là viaggiano le navi e là nuota il leviatano che hai creato perché vi si diverta”. – Sl 104:25,26.

ü  “Spezzasti la testa al leviatano”. – Sl 74:14.

   La realtà può essere vista in due modi: mitico oppure storico. Nel modo di pensare mitico il mondo non viene visto come appare, ma è immaginato quale risultato di scontri tra forze divinizzate che misteriosamente stanno dietro alla realtà. Nei miti, perfino i fatti storici sono visti come conseguenza non di lotte politiche e sociali, ma di contrasti tra esseri divini. Tali miti riguardano specialmente l’origine del mondo e i primordi dell’umanità. La Bibbia non ignora questi miti antichi (che erano diffusi presso i sumeri, gli accadi, i fenici), ma li usa in modo molto sobrio, più come tratti poetici che come realtà. L’intento biblico è di mostrare la superiorità del Dio d’Israele su tutto il creato. C’è un’enorme differenza tra il maestoso racconto della creazione della Genesi (cap. 1) e l’epopea babilonese Enuma Elish. In quest’ultima Marduc fabbricò il mondo con il corpo del mostro Tiamat, suo rivale, dopo averlo debellato con enormi difficoltà. La Bibbia, invece, anche quando allude alla lotta di Dio con esseri anti-divini, ne parla solo di sfuggita e solo per enfatizzare la superiorità infinita del Dio israelitico. Il passo di Sl 74:14 – “Spezzasti la testa al leviatano, lo desti in pasto al popolo del deserto” -, sotto la figura del primitivo mostro acquatico raffigura la liberazione di Israele dall’Assiria e dalla Babilonia: “In quel giorno, il Signore punirà con la sua spada dura, grande e forte, il leviatano, l’agile serpente, il leviatano, il serpente tortuoso, e ucciderà il mostro che è nel mare!” (Is 27:1). Abbiamo qui una storicizzazione del mito! Il mostro presentato nella mitologia cananea è ridotto nella Bibbia a puro giocattolo nelle mani di Dio.

   Nei libri poetici non mancano le tracce della mitica lotta epica, ma esse sono immagini poetiche anziché realtà ammesse dagli ebrei: “Dio stesso non stornerà la sua ira; sotto di lui devono inchinarsi i sostenitori di colui che infuria” (Gb 9:13, TNM); ciò che è tradotto “i sostenitori di colui che infuria” (frase oscura, come ne appaiono spesso in TNM) e che NR cerca di spiegare con “i campioni della superbia”, sono in realtà nel testo originale ebraico “gli aiutanti di ràhav [רָהַב]”; questo ràhav era un mitico mostro marino. Poeticamente, la Bibbia mostra la superiorità del Dio di Israele sui sostenitori pagani di questi miti.

   In Is 51:9,10 si legge: “Destati, destati, rivestiti di forza, o braccio di Geova! Destati come nei giorni di molto tempo fa, come durante le generazioni dei tempi antichi. Non sei tu quello che fece a pezzi Raab [רָהַב (ràhav), il mitico mostro marino], che trafisse il mostro marino? Non sei tu quello che prosciugò il mare, le acque del vasto abisso? Quello che fece delle profondità del mare una via per far passare i ricomprati?” (TNM). Un ricordo dell’antico valore dell’acqua come male (la pagana Orchessa Tiamat, opposta all’ordine) riappare in diversi libri biblici: i demòni non vogliono essere costretti ad abitare nell’abisso (Lc 8:31), dall’abisso escono gli esseri malvagi (Ap 11:7; 20:1-3). All’abisso presiede un angelo detto Abaddòn o “distruzione”: “L’angelo dell’abisso. Il suo nome in ebraico è Abaddon” (Ap 9:11, TNM). Nella nuova Gerusalemme mancherà ogni traccia del “mare”: “E il mare non è più” (Ap 21:1, TNM), in quanto non vi sarà più il male, simboleggiato appunto dal mare. Non è difficile vedervi l’eco di un linguaggio mitologico dove il dio principale scende in campo contro il caos primitivo. È quanto si cantava nella liturgia di capodanno in Babilonia. Ma di una tale festa non è rimasta ovviamente alcuna traccia liturgica presso gli ebrei, nonostante lo sforzo della scuola esegetica scandinava per provarne l’esistenza.

   Scompaiono nella Bibbia tutte le divinità intermedie, forze naturali personificate, indispensabili in ogni narrazione mitologica. Anche le tenebre e l’abisso primordiali, ai quali si accenna, sono trasformati in esseri docili e ubbidienti al comando di Dio.


   Il dragone ha intenzioni omicide: attende che la donna partorisca per divorarne il figlio. “Ed ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono” (Ap 12:5). La descrizione identifica chiaramente Yeshùa:

 

“Deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro”. – Ap 12:5.

“Io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra. Tu le spezzerai con una verga di ferro”.

– Sl 2:8,9.

“Darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro”. – Ap 2:26,27.

“Egli le governerà con una verga di ferro”. – Ap 19:15.

 

   Il figlio viene salvato da Dio, “ma la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentosessanta giorni” (Ap 12:6). Questi tre anni e mezzo si riallacciano, come abbiamo già esaminato, al periodo in cui la chiesa è protetta da Dio durante la sua tribolazione.  La donna è la vera Israele, il popolo delle 12 tribù, da cui proviene il Messia.

   Parlando della nascita di Yeshùa, qui nulla è detto della sua crescita, della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione. Giovanni intende far risaltare che Yeshùa è ora con Dio e che apparirà alla fine dei giorni per giudicare le nazioni. Qui è la donna che è protagonista. Mentre Yeshùa è presso Dio e in attesa di tornare, la donna-Israele-chiesa è sorretta da Dio nella sua tribolazione nel deserto delle prove. Il riferimento al bambino serve a motivare l’azione violenta di satana che si scaglia contro la chiesa.

   Giovanni sta dicendo che con la venuta di Yeshùa è iniziata l’ultima battaglia del maligno.


La regina del cielo

Come il mitico dragone, la regina del cielo appartiene a miti antichissimi. La dea “Regina del cielo”, menzionata in Ger 7:18 (cfr. 44:17), cui la Bibbia si oppone con veemenza, è collegata ad Asheràh o Astarte. Asheràh – in violazione ai comandi divini – sembrerebbe che fosse venerata nell’antica Israele come la moglie di El, Dio (cfr. W. G. Dever, Dio ha una moglie?, Eerdmans, 2005). “Tolse dalla casa del Signore l’idolo d’Astarte, che trasportò fuori da Gerusalemme verso il torrente Chidron; lo bruciò presso il torrente Chidron, lo ridusse in cenere, e ne gettò la cenere sulle tombe della gente del popolo”. – 2Re 23:6.

   Ora si noti il passo di 2Re 23:6 tradotto da TNM: “Fece portare il palo sacro”. Qui, l’”idolo di Astarte” diventa “il palo sacro”, e così anche in CEI. La versione Did rende la parola con “bosco”; NR con “Ascerah”. L’ebraico ha Asheràh (אֲשֵׁרָה), “Astarte”. La dea Astarte aveva come simbolo il tronco di un albero privato dei suoi rami e rozzamente modellato ad immagine, piantato nel terreno. A questi idoli fa riferimento Dio quando dà istruzioni agli ebrei prima che entrino nella Terra Promessa: “Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese nel quale stai per andare, perché non diventino, in mezzo a te, una trappola; ma demolite i loro altari, frantumate le loro colonne, abbattete i loro idoli [asheràyu (אֲשֵׁרָיו), qui al plurale]; tu non adorerai altro dio” (Es 34:12,13; cfr. anche Gdc 6:5, in cui la parola è al singolare). Da un esame dei testi biblici risulta che quando il nome femminile asheràh אֲשֵׁרָה)) compare al plurale femminile אֲשֵׁרֹות (asheròt) o al plurale maschile אֲשֵׁרִים (asherìm) indica proprio questi pali, gli idoli di Astarte (cfr. Van der Toorn, Becking, van der Horst, Dizionario di divinità e demoni nella Bibbia, Eedermans, 1999). Quest’uso diverso che la Bibbia fa della parola al singolare e al plurale (maschile e femminile) ha confuso i traduttori della Bibbia, creando le attuali incongruenze.

   Gli ebrei fecero sempre fatica a disfarsi di questi idoli: “I figli d’Israele fecero ciò che è male agli occhi del Signore; dimenticarono il Signore, il loro Dio, e servirono gli idoli di Baal e di Astarte [אֲשֵׁרֹות (asheròt)]” (Gdc 3:7). Figurine di Asheràh sono sorprendentemente comuni nella documentazione archeologica in Palestina: fatto che indica la popolarità del culto di Astarte fin dai primi tempi dell’esilio babilonese (cfr. W. Dever, Arcaeology anf Folk Religion in Ancient Israel, Eerdmans). L’archeologo William Dever ha commentato: “Non sappiamo per certo cosa la fede nel Dio Eterno abbia significato per l’israelita medio. Anche se il testo biblico ci dice che la maggior parte degli Israeliti adoravano solo il Signore, noi sappiamo che questo non è sempre vero . . . Le scoperte degli ultimi quindici anni ci hanno dato una grande quantità di informazioni circa il culto degli antichi israeliti. Sembra che dobbiamo prendere il culto della dea Astarte più sul serio che mai”. – Cfr. T. Thompson, Gerusalemme nella storia antica e nella tradizione, T. & T. Clark Ltd., edizione illustrata del 1° aprile 2004.

Astarte (אֲשֵׁרָה, Asheràh)

Asheràh nella mitologia semitica era una dea-madre. Questa dea appare in un certo numero di fonti antiche, tra cui scritti accadici in cui il nome è Ashratum o Ashratu e scritti ittiti in cui il nome è Asherdu o Ashertu o Aserdu o Asertu. Asràh è generalmente considerata identica alla dea ugaritica Athirat (più esattamente trascritto come A IRAT t). Nei testi ugaritici anteriori al 1200 a. E. V., Athirat è chiamata ym t rt, un yammit t IRAT, “Athirat del mare” o, come più spesso tradotto, “lei che cammina sul mare”, nome riferito da vari traduttori e commentatori alla radice ugaritica affine a r t e collegabile alla radice ebraica sr con lo stesso significato. Potrebbe essere stata identificata con la Via Lattea. In questi testi, Athirat è la consorte del dio el. È anche chiamata elàt, “dea”, la forma femminile di el. È pure chiamata “santità”. In Egitto compare una dea dal nome semitico qudshu (“santità”). Alcuni ritengono che sia Athirat o Ashratu sotto il suo nome ugaritico qodesh (“santo”).

   Tracce di questa dea pagana rimangono ancora oggi. Rimangono nel Cadiscismo (chiamato anche Natib Qadish, espressione ugaritica che significa “la via sacra”), una moderna religione pagana che si propone come continuazione degli antichi culti cananei. Le divinità venerate dai cadisciti includono Athirat, la “Regina dei Cieli”, identificata con la divinità mesopotamica Ishtar o con la semitica Asheràh. Tracce di questa dea pagana rimangono anche nel culto cattolico reso alla “Madonna”, pure chiamata “Regina dei Cieli”. Tracce rimangono anche nell’islam: nel calendario islamico c’è, infatti, il Giorno dell’Ashura, che cade il decimo giorno di muharram.

   Alcuni detrattori della Bibbia hanno preso la testimonianza delle numerose statuine della dèa Astarte, ritrovate e risalenti al Regno di Israele e a quello di Giuda, come prova non solo della popolarità di Asheràh tra gli israeliti, ma per mettere in dubbio il monoteismo biblico. Costoro sostengono che diversi traduttori biblici abbiano cercato di mascherare la dea Asheràh (אשרה) nelle loro traduzioni. Citano, ad esempio, Dt 16:21: “Non ti devi piantare nessuna sorta di albero come palo sacro presso l’altare di Geova tuo Dio che ti farai” (TNM). Il testo biblico qui vieta di mettere אֲשֵׁרָה (asheràh) accanto all’altare di Dio. La loro tesi è che questo camuffamento vuol evitare quella che secondo loro è una verità, ovvero che la dea pagana Astarte sarebbe stata considerata la moglie di Dio. Questa è una tesi semplicemente assurda. Non conosciamo le motivazioni del traduttore, ma se fossero quelle addotte sarebbero davvero sciocche e inutili, giacché il comandamento citato vieta di collocate אֲשֵׁרָה (asheràh) accanto all’altare di Dio. Anche se da questo passo si dovesse dedurre che, dato il divieto, gli israeliti fossero soliti piantare l’idolo di Asheràh, si noti che viene loro vietato di piantarlo a fianco dell’altare di Dio e non accanto all’idolo di Yhvh, inesistente e mai esistito. Più che camuffamento, sembra cattiva comprensione dell’uso biblico del vocabolo אֲשֵׁרָה (asheràh), come abbiamo evidenziato più sopra. Il monoteismo biblico non è messo mai in discussione. Piuttosto lo è la fedeltà degli antichi ebrei a quel monoteismo. La maggior parte dei riferimenti della quarantina di volte che Asheràh compare nella Bibbia si trovano in Dt, e sempre in un contesto ostile alla dea pagana.

   Uno dei titoli più antichi di Dio è El shadày (אֵל שַׁדַּי), nome con cui Dio fu conosciuto dai patriarchi (Es 6:3). La traduzione consueta che si fa di tale titolo è “Dio onnipotente”. Siamo davvero così sicuri che questa traduzione, data per scontata, sia quella giusta? Il Dizionario di ebraico e aramaico biblici (di P. Reymond, Società Biblica Britannica e Forestiera, Roma) non ne dà una traduzione, ma lo classifica semplicemente come un termine di teologia biblica. In ebraico שַׁד (shad) significa “mammella”. Recentemente si è collegato shadày con la radice semitica tdy che significa “petto”. Si noti l’immagine che ne deriva: petto-mammella. Nel linguaggio concreto ebraico, questo attributo femminile viene fatto proprio da Dio. Ciò spiegherebbe anche perché Israele sia stata così sensibile al culto della dea cananea della fertilità Ashràh, dea rappresentata con le mammelle.

Astoret (עַשְׁתָּרֹת, Ashtoròt)

Il nome “Astoret” non si trova in genere nelle traduzioni della Bibbia, ma ciò non significa che non ci sia. “Così i figli d’Israele tolsero via gli idoli di Baal e di Astarte, e servirono il Signore soltanto” (1Sam 7:4) In questo passo il nome Ashtoròt compare nel testo ebraico.  E così in diversi passi biblici.

   Questa Ashtoròt era la dea della luna dei fenici (che erano cananei) e rappresentava il principio passivo in natura, la loro principale divinità femminile, spesso associata a Baal, il sole-dio, loro principale divinità maschile, di cui era ritenuta moglie. Equivale ad Astarte. Dea della fecondità, era rappresentata nuda e con i seni e la vulva messi ben in evidenza. Doveva essere collegata anche alla guerra, almeno per i filistei, come si deduce da 1Sam 31:10: “[I filistei] collocarono le armi di lui [del re Saul] nel tempio di Astarte [“Astoret” (TNM); ebraico: עַשְׁתָּרֹות (Ashtoròt)]”.

   Il culto di Astoret era antico. In Canaan era già presente ai tempi di Abraamo (circa 2000 anni a. E. V.), come si deduce dal riferimento biblico ad una città che portava il suo nome: “Chedorlaomer e i re che erano con lui vennero e sconfissero i Refaim ad Asterot-Carnaim” (Gn 14:5). La parola ebraica קַרְנַיִם  (qarnàym) è al numero duale e significa “due corni”: chiaro riferimento ai due corni della luna crescente, che era il simbolo della dea Astoret o Astarte. Un’altra città che recava il nome di questa dea la troviamo in Dt 1:4: “Og, re di Basan, che abitava in Astarot” (cfr. Gs 9:10;12:4). Questa città è menzionata in iscrizioni assire e nelle tavolette di Tell el-Amarna.

  1Re 18:19 menziona “quattrocento profeti di Astarte che mangiano alla mensa di Izebel”. Il culto di Astoret era caratterizzato da orge sessuali nei templi a lei dedicati, dove prestavano anche servizio prostituti e prostitute sacri.

   La parola “Astoret”, עַשְׁתֹּרֶת (Ashtòret), compare per la prima volta nella Bibbia in 1Re 11:5: “Salomone seguì Astarte, divinità dei Sidoni”. Ciò influì sul popolo, tanto che “i figli d’Israele . . . si sono prostrati davanti ad Astarte, divinità dei Sidoni” (1Re 11:33). Qui il nome della dea appare al singolare, come in 2Re 23:13: “Il re [Giosia] profanò gli alti luoghi che erano di fronte a Gerusalemme, a destra del monte della perdizione, e che Salomone re d’Israele aveva eretti in onore di Astarte, l’abominevole divinità dei Sidoni”. A parte questi passi, il nome si verifica spesso al plurale. Un esame dei testi biblici rivela che quando il nome femminile עַשְׁתֹּרֶת (Ashtòret) compare al plurale femminile עַשְׁתָּרֹות (ashtaròt) indica proprio gli idoli di Astoret. – Cfr. Gdc 2:13;10:6; 1Sam 7:3,4