“Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, sul suo capo vi erano molti diademi e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni; ed egli le governerà con una verga di ferro, e pigerà il tino del vino dell’ira ardente del Dio onnipotente. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei re e Signore dei signori”. – Ap 19:11-16.

   Il cielo si apre: Yeshùa appare e trionfa sui nemici! Siamo al compimento finale. In Ap 12:5 si trattava di un bambino destinato a “reggere tutte le nazioni con una verga di ferro”, ora è un vincitore che “giudica e combatte con giustizia”, al comando dell’armata celeste. I suoi nemici sono la bestia e il falso profeta del cap. 13.

   Cavalca un cavallo bianco. Yeshùa che ritorna è solennemente a cavallo, vestito in maniera regale, alla testa degli eserciti celesti. Questa immagine è ben diversa da quella con cui si presentò da uomo umile entrando a Gerusalemme, quando condussero un “asinello a Gesù, gli posero addosso i loro mantelli, e Gesù vi montò sopra”. – Mr 11:7, PdS.

   “Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero”. “Gesù Cristo, il testimone fedele” (Ap 1:5) è “il testimone fedele e veritiero”. – Ap 3:14.

   Giudica con giustizia. Yeshùa adempie ciò che di lui era profetizzato in Is 11:4: “Giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese”. Yeshùa è un sovrano giusto che ama la giustizia.

   Re e giudice. Il suo portamento indica le sue alte funzioni: occhi come “una fiamma di fuoco”, “sul suo capo … molti diademi”. La sua “veste tinta di sangue” richiama Is 63:1-3:

“Chi è costui che giunge da Edom,

da Bosra, vestito splendidamente?

Costui, magnificamente ammantato,

che cammina fiero della grandezza della sua forza?

«Sono io, che parlo con giustizia,

che sono potente a salvare».

Perché questo rosso sul tuo mantello

e perché le tue vesti sono come quelle di chi calca l’uva nel tino?

«Io sono stato solo a calcare l’uva nel tino,

e nessun uomo di fra i popoli è stato con me;

io li ho calcati nella mia ira,

li ho calpestati nel mio furore;

il loro sangue è spruzzato sulle mie vesti,

ho macchiato tutti i miei abiti”.

   “Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano”. Yeshùa lo aveva detto: sarebbe venuto “nella gloria del Padre suo con i santi angeli” (Mr 8:38). E già profetizzava Mt 25:31: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli …”. Anche Paolo lo aveva profetizzato: “Il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza”. –  2Ts 1:7.

   “Portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui”. In verità, il nome è detto subito dopo: “Il suo nome è la Parola di Dio”. Una contraddizione? No, perché il nome “scritto” rimane sconosciuto ma quello pronunciato è comprensibile. Tale nome – “la Parola di Dio” – rientra nella presentazione che la cultura ebraica faceva del giudice celeste, come testimonia la letteratura ebraica non biblica: “La tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile”. – Sapienza 18:15, CEI.

   “Sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome”. Si noti la differenza con la bestia cavalcata dalla prostituta. Essa è “piena di nomi di bestemmia” (Ap 17:3), mentre Yeshùa ha per nome il titolo che Dio stesso gli ha dato: “Re dei re e Signore dei signori”. “Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”. – Flp 2:9-11.

   La battaglia decisiva deve ora essere combattuta. Ma, come già al cap. 18, lo scontro non viene descritto ma solo annunciato insieme alle conseguenze:

“Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole. Egli gridò a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: «Venite! Radunatevi per il gran banchetto di Dio; per mangiare carne di re, di capitani, di prodi, di cavalli e di cavalieri, di uomini d’ogni sorta, liberi e schiavi, piccoli e grandi». E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. Il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che era sul cavallo, e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni”. – Ap 19:17-21.

   Le parole angeliche sono simili a quelle profetiche di Ezechiele: “Ti darò in pasto agli uccelli rapaci” (Ez 39:4), “Di’ agli uccelli d’ogni specie e a tutte le bestie dei campi: ‘Riunitevi, venite! Raccoglietevi da tutte le parti attorno al banchetto del sacrificio che sto per immolare per voi … Mangerete carne di prodi e berrete sangue di prìncipi della terra … Mangerete grasso a sazietà, berrete sangue fino a inebriarvi, al banchetto … alla mia mensa sarete saziati di carne di cavalli e di bestie da tiro, di prodi e di guerrieri d’ogni razza’, dice il Signore, Dio”. – Ez 39:17-20.

   Va notato che ancor prima che la battaglia finale abbia inizio, gli uccelli rapaci sono invitati a cibarsi delle carogne degli confitti. Ciò indica la certezza dell’esito. La vittoria di Yeshùa è data per scontata. Si noti anche il contrasto con la “cena delle nozze dell’Agnello” (Ap 19:9). Questo banchetto è orripilante: vi si servono cadaveri.

   Senza descrivere la battaglia, Giovanni passa dal prologo all’epilogo: “Vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta …. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo”. La bestia e il suo falso profeta sono annientati. Non è davvero il caso di vedere nello “stagno ardente di fuoco e di zolfo” l’inferno cattolico. Sono distrutti, infatti, l’Impero Romano (la bestia) e la sua macchina pubblicitaria (falso profeta). E dei loro seguaci che ne è? Non sono relegati in un presunto castigo eterno, ma uccisi al momento: “I restanti furono uccisi con la lunga spada di colui che sedeva sul cavallo” (Ap 19:21, TNM). Nessuno si salva. Manca ancora qualcuno, però: satana, l’istigatore di tutto.