In Ap 12:9 era stato detto che “il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra”. Se ciò suscitò grande gioia in cielo, così non fu per la terra: “Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi! Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso verso di voi con gran furore, sapendo di aver poco tempo” (successivo v.  12). Ora però tocca a lui, e un angelo deve eseguire il giudizio divino.

“Vidi scendere dal cielo un angelo con la chiave dell’abisso e una grande catena in mano. Egli afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo, Satana, lo legò per mille anni, e lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti i mille anni; dopo i quali dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”. – Ap 20:1-3.

   Il maligno è così reso inoffensivo, incatenato per un millennio. L’immagine del carcere in cui satana è incatenato e rinchiuso corrisponde a quella usata dalla Bibbia ebraica con cui è presentata l’incarcerazione delle potenze del male, “come si fa dei prigionieri nel carcere sotterraneo; saranno rinchiusi nella prigione e dopo molti giorni saranno puniti” (Is 24:22). Ora il maligno non potrà più intromettersi negli affari umani e volgere le persone contro Dio. Tuttavia, il suo imprigionamento è a termine. Scaduta la sua reclusione, dopo mille anni sarà nuovamente liberato, anche se per poco.

   Intanto, però, durante la sua assenza, avverrà qualcosa di meraviglioso. Giovanni lo vede e lo descrive:

“Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni”. – Ap 20:4.

   Gli eletti esercitano insieme a Yeshùa, durante il Millennio, la funzione di giudici e di regnanti, ma anche di sacerdoti (cfr. v. 6). L’immagine usata dal veggente è quella che era stata impiegata dal profeta Daniele: “Il potere di giudicare fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi ebbero il regno”, “Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno”. – Dn 7:22-27.

   Chi sono i re e giudici menzionati in Ap 20:4, e chi devono giudicare? Per ora Giovanni non lo dice, anche se si intuisce. I fedeli tornano in vita per regnare “con Cristo per mille anni”, e ciò ci rammenta Ez 37:3,10: “Mi disse: «Figlio d’uomo, queste ossa potrebbero rivivere?» E io risposi: «Signore, Dio, tu lo sai»”, “Lo Spirito entrò in essi: tornarono alla vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, grandissimo”. I martiri risorti, “quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio”, sederanno come giudici insieme a Yeshùa. Lo sapeva già Paolo, che scrisse: “Non sapete che i santi giudicheranno il mondo?” (1Cor 6:2). Di questa risurrezione Giovanni dice “Questa è la prima risurrezione” (Ap 20:5), e aggiunge: “Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni”. – Ap 20:6.

   C’è al v. 5 una frase che occorre capire, ed è questa: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5). Questa frase è presente nei seguenti manoscritti: Codice Alessandrino (A) e Vulgata; manca però in questi altri manoscritti: Codice Sinaitico (א) e Pescitta (Syp). Questi “altri morti” sono quelli che non parteciparono alla “prima resurrezione”, riservata alla chiesa di Yeshùa (1Ts 4:16). Ora, sembrerebbe che “gli altri morti” siano risuscitati alla fine del Millennio. Se così fosse, si creerebbero dei gravi quesiti. Primo fra tutti, perché mai sarebbero resuscitati solo alla fine dei mille anni, quando subito dopo, “quando i mille anni saranno trascorsi, satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni” (Ap 20:7,8)? Sarebbero notevolmente svantaggiati rispetto a chi è vissuto nel Millennio senza l’influsso satanico e sotto il Regno di Dio. Inoltre, subito dopo che il maligno è distrutto, è costituito il “grande trono bianco” (Ap 20:11) e quei “morti furono giudicati” (Ap 20:12). Insomma, risusciterebbero solo per affrontare l’attacco satanico finale e il successivo giudizio. Il che non apparirebbe né logico né misericordioso.

   Occorre quindi analizzare attentamente il testo biblico per non trarre conclusioni affrettate e sbagliate.


Le due risurrezioni

Ciò che rende necessaria la risurrezione è la morte. La morte non fa parte del piano d’amore di Dio. La prima coppia umana non doveva morire ma vivere nella felicità. Fu Dio stesso a menzionare la morte quale castigo per la disubbidienza (Gn 2:15-17). “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”. – Rm 5:12.

   “Il Signore fa morire e fa vivere, fa scendere e risalire dal regno dei morti” (1Sam 2:6, PdS). Se Dio, nel suo amore, non avesse provveduto il modo di riscattare gli esseri umani, la vita non avrebbe senso e non rimarrebbe che abbandonarsi senza speranza alla inevitabile conclusione della filosofia epicurea che l’apostolo Paolo rammenta: “Se i morti non risuscitano, ‘mangiamo e beviamo, perché domani morremo’” (1Cor 15:32). Il filosofo greco Epicuro (3°-4° secolo a. E. V.) sosteneva che gli dèi non si occupano dell’umanità. In un epitaffio sepolcrale epicureo si legge: “Io non ero, io ero, io non sono, io non me ne curo”; e, in un altro epitaffio: “Mangia, bevi, gioca, tanto finirai qui”. “Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi”. – Epicuro, Lettera sulla felicità.

   Gli esseri umani sono fatti per la vita. Anche per il credente, una vita a termine non ha senso. “Anche i credenti in Cristo, che sono morti, sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita, noi siamo i più infelici di tutti gli uomini”. – 1Cor 15:18,19, PdS.

   La risurrezione è alla base della speranza che abbiamo di essere liberati dal non senso della vita: “Il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio”. – Rm 8:20,21, PdS.

   I credenti, i fedeli, tendono alla risurrezione. La Bibbia parla di alcune risurrezioni miracolose avvenute nella storia di’Israele. Vi accenna l’autore della Lettera agli ebrei in Eb 11:35: “Ci furono donne che riebbero per risurrezione i loro morti”. Tuttavia, come per Lazzaro risuscitato da Yeshùa (Gv 11:43,44), quelle persone morirono di nuovo. Parlando dei martirizzati, Eb 11:35 dice che “altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione, per ottenere una risurrezione migliore”. Questa risurrezione è “migliore” poiché non è temporanea e con essa non si deve poi morire di nuovo. Ecco perché Yeshùa è chiamato “il primogenito dai morti” (Col 1:18). Altri prima di lui erano stati risuscitati, ma poi morirono come tutti. Yeshùa fu il primo a ottenere questa resurrezione “migliore”, dopo la quale non si muore più.

   La prima delle primizie della risurrezione. Nella festività biblica dei Pani Azzimi, doveva avvenire l’offerta dei covoni: “Porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta” (Lv 23:10). Questo evento consisteva nell’agitazione dei covoni costituiti da fasci di spighe d’orzo, che era il primo raccolto dell’anno ovvero la prima delle primizie della terra. Yeshùa è la primizia, “il primogenito dai morti”. – Col 1:18.   

   La prima risurrezione. Nella successiva festa di Pentecoste, chiamata anche “festa della Mietitura” (Es 23:16), si dovevano offrire altre primizie. Era “il giorno delle primizie” (Nm 28:26). La chiesa di Yeshùa è formata dagli eletti, che sono queste primizie. Degli eletti, Paolo dice: “Se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua” (Rm 6:5). Paolo spiega: “Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta” (1Cor 15:20-23). Questa risurrezione avviene “alla sua venuta”, quando Yeshùa tornerà sulla terra con il suo corpo glorioso, quando “la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili” (1Cor 15:52). Questa è la prima risurrezione. “Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni”. – Ap 20:6.

   La seconda risurrezione. Il fatto stesso che la risurrezione degli eletti che compongono la chiesa di Yeshùa sia detta “prima risurrezione” (Ap 20:6), indica che deve essercene una seconda. Degli eletti è anche detto che “regneranno con lui [Yeshùa] quei mille anni” (Ap 20:6); devono quindi esserci persone viventi nel Millennio su cui regnare.

   Ci deve essere “una risurrezione dei giusti e degli ingiusti” (At 24:15). Dei “giusti” fanno certamente parte gli eletti (Rm 8:28-30). La Bibbia mette fra i “giusti” anche i fedeli dell’antichità, come Abraamo (Gn 15:6; Gc 2:21) e altri (Eb 11). Fra i “giusti” c’è anche la “folla immensa” che esce fedele “dalla grande tribolazione” (Ap 7:9-17). Gli “ingiusti” sono tutti gli altri che, in tutta la storia umana, sono morti senza aver praticato la giustizia di Dio. Moltissime di queste persone non ne hanno avuto neppure la possibilità perché non vennero mai a conoscenza della Legge di Dio. Non spetta a noi fare valutazioni. Dio legge nel loro cuore e sa le loro circostanze. Inoltre, Dio, che è amore (1Gv 4:16), desidera “che tutti gli uomini siano salvati”. – 1Tm 2:4.

   Quando avviene questa più vasta e generalizzata risurrezione? Ciò ci riporta al problema iniziale posto da Ap 20:5: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”. Avendo in mente il quadro che è stato tracciato, possiamo ora esaminare attentamente la questione.


   Nel passo di Ap 20:5, la frase “gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” è presente – come già evidenziato – nei manoscritti Alessandrino (A) e nella Vulgata latina; manca però nel Codice Sinaitico (א) e nella Pescitta Siriaca (Syp). Tutti questi manoscritti sono del 5° secolo.

   Va detto anche che il greco di Giovanni non è buono, contiene ripetizioni e presenta passaggi bruschi che possono apparire contrastanti, oltre a essere a volte un vero affronto alla grammatica e alla sintassi greche. Va ricordato che gli apostoli non avevano la missione di scrivere ma quella di evangelizzare; non erano scrittori professionisti che si mettevano a tavolino per scrivere un libro né intendevano creare un’opera d’arte. In più, Giovanni era un illetterato. – At 4:13.

   La frase di Ap 20:5, oggetto della nostra analisi, fa parte di uno dei bruschi passaggi tipici di Giovanni. Nel contesto che parla degli eletti coeredi di Yeshùa (Rm 8:17), Giovanni inserisce un’osservazione che riguarda quelli che vivranno sulla terra.

   Alcuni traduttori fanno del loro meglio per tentare di rendere più comprensibile il passo di Ap 20:5. Una lettura frettolosa potrebbe perfino far cadere nell’errore. Si veda NR: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione”; sembrerebbe che la “prima risurrezione” sia quella degli “altri morti”, cosa che non è perché 1Cor 15:23 e 1Ts 4:16 dicono diversamente. Meglio TNM che mette la frase tra parentesi: “(Il resto dei morti non venne alla vita finché i mille anni non furono finiti). Questa è la prima risurrezione”. La frase “questa è la prima risurrezione”, infatti, si riferisce a quanto appena detto al precedente v. 4. La Bibbia Concordata traduce “quella è la prima risurrezione”, per riferirsi proprio al v. 4.

   Il testo originale greco della frase è questo:

οἱ λοιποὶ τῶν νεκρῶν οὐκ ἔζησαν ἄχρι τελεσθῇ τὰ χίλια ἔτη

oi loipòi tòn nekròn uk èzesan àrchi telesthè tà chìlia ète

i restanti dei morti non vissero finché furono compiuti i mille anni

   Il verbo ζάω (zào), di cui ἔζησαν (èzesan) è indicativo aoristo attivo alla terza persona plurale, significa non solo vivere e respirare ma anche avere una vita piena e vera, degna del nome. In Mt 9:18 uno dei capi della sinagoga chiede l’intervento di Yeshùa per la figlia appena morta, mostrandosi certo che così lei “vivrà”. Per dimostrare la resurrezione dei morti, Yeshùa cita Es 3:6: “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: ‘Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe’? Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi” (Mt 22:31,32). Paolo, parlando di Yeshùa risuscitato, dice che “non muore più” e che “il suo vivere è un vivere a Dio” (Rm 6:9,10); qui si ha il pieno concetto di vita vera. Yeshùa “vive per la potenza di Dio” (2Cor 13:4). Paolo, come credente, si definisce “vivente riguardo a Dio” (Gal 2:19, TNM). La vedova che “che si abbandona ai piaceri, benché viva, è morta”. – 1Tm 5:6.

   Dal raffronto dei passi precedenti, si nota che la vera vita va oltre il semplice vivere e respirare. La vedova libertina è viva, tanto che si gode la vita a modo suo, ma Paolo la definisce morta. Quando Yeshùa dice di lasciare che “che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8:22), definisce i vivi come morti perché la loro vita non vale nulla non essendo in armonia con Dio. I fedeli patriarchi, benché morti da secoli, sono vivi presso Dio che li risusciterà.

   Ora, in che senso “gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5)? Tornano in vita perché respirano di nuovo oppure perché hanno una vita vera come i credenti che sono ‘viventi riguardo a Dio’ (Gal 2:19, TNM)?

   Vediamo com’è usato il verbo in questione – ζάω (zào) – nell’Apocalisse. Esso compare sette volte. In 1:18 Yeshùa si definisce “il vivente” e dice: “Sono vivo per i secoli dei secoli”; questa è vita vera. In 3:1 alla chiesa di Sardi è detto che ha fama di vivere ma è morta; qui si una vita che non è vera vita. In 4:9 è detto che le quattro “creature viventi rendono gloria, onore e grazie a colui che siede sul trono”; di certo hanno vera vita perché sono ammesse al trono divino. In 7:2 è menzionato il “Dio vivente”, l’autore stesso della vita e della vita vera.

   In 13:14 si parla della bestia satanica che “era tornata in vita”; qui la forma del verbo assomiglia moltissimo a quella in questione: ἔζησεν (èzesen), indicativo aoristo attivo alla terza persona singolare (in Ap 20:5 è al plurale). Questa bestia selvaggia, benché “tornata in vita” (èzesen), fa poi una brutta fine perché è gettata viva nello stagno ardente (19:20). Vediamo quindi che il verbo ἔζησεν (èzesen) può anche indicare un rivivere temporaneo per poi essere annientati nella morte. In 20:4 si parla degli eletti che “tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni”; è indubbio che qui si tratta di vita vera, perché gli eletti regnano con Yeshùa. Qui il verbo è ἔζησαν (èzesan), lo stesso identico usato per “gli altri morti” che “non tornarono in vita [ἔζησαν (èzesan)] prima che i mille anni fossero trascorsi” (Ap 20:5). Che senso gli va dato?

   Come si è visto, quel verbo, in quella stessa forma (indicativo aoristo attivo) può significare:

  • Tornare alla vita temporaneamente per essere poi distrutti. – Ap 13:14.
  • Tornare in vita per rimanere in vita e ottenere così una vita vera. – Ap 20:4.

   Il verbo in sé ci svela quindi solo la possibilità di due significati opposti. È solo dal contesto che possiamo perciò capire se “gli altri morti” che “non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”, riprendono la vita per essere giudicati e morire poi definitivamente oppure per ottenere una vita piena e vera. Esaminiamo quindi le due ipotesi.

  1. “Tornarono in vita” temporaneamente? Ciò comporterebbe che questi morti, risuscitati solo alla fine del Millennio, sarebbero svantaggiati perché esclusi dal millenniale Regno di Dio; situazione notevolmente aggravata perché “quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre” (Ap 20:7,8). Inoltre, siccome sono poi giudicati da Dio (Ap 20:12), c’è da domandarsi che senso avrebbe farli risuscitare per metterli in grave difficoltà e poi giudicarli. Ciò è contrario all’amore e alla misericordia di Dio. Infine, si porrebbe un altro problema: su chi mai dovrebbero regnare gli eletti che “regnarono con Cristo per mille anni” se tali morti fossero risuscitati solo alla fine del Millennio?
  2. “Tornarono in vita” nel senso pieno. Ciò comporterebbe che sono risuscitati durante il Millennio, che vivono sotto il Regno di Dio, che sono istruiti nelle vie di Dio e che possono poi affrontare la prova finale. Alla fine del Millennio, superata la prova, possono davvero tornare in vita nel senso pieno.

   Quest’ultima spiegazione risolve tutti i problemi ed è conforme al piano misericordioso di Dio. È conforme anche alle parole di Yeshùa in Gv 5:25-29:

“L’ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio; e quelli che l’avranno udita, vivranno . . . Non vi meravigliate di questo; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio”.

   Si presti qui attenzione al verbo “udire”, non facendo l’errore di leggerlo letteralmente, all’occidentale. Anche in italiano, del resto, quando diciamo a qualcuno: “Ascoltami”, non intendiamo semplicemente inviarlo ad ascoltare il suono della nostra voce ma indentiamo dire: “Dammi retta”. Così, il verbo greco ἀκούω (akùo) può significare sia ascoltare con l’udito sia prestare orecchio a un insegnamento. Quest’ultimo significato è presente anche più avanti, nello stesso Vangelo giovanneo, in 6:60: “Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”, in cui il senso è che quell’insegnamento non poteva essere accolto. Così anche in Gv 8:43: “Non potete dare ascolto alla mia parola” (cfr. 8:47;10:3,27), non perché fossero sordi ma perché non volevano accettare quanto detto. Noi diremmo che non c’è peggior sordo di chi non vuole udire. Che questo sia il senso si deduce chiaramente anche dai tempi dei verbi usati in Gv 5:25: i morti, tutti, “udranno”, ma solo quelli che “l’avranno udita” vivranno. Detto in italiano: tutti i morti udranno/sentiranno la voce di Yeshùa ma solo quelli che avranno prestato ascolto ovvero “gli aventi ascoltato” (οἱ ἀκούσαντες, oi akùsantes) vivranno.

   Tutti i morti devono risorgere e tutti “udranno” (ἀκούσουσιν, akùsusin – v. 28) la voce di Yeshùa che li istruisce. Ciò non può che avvenire nel Millennio sotto il Regno di Dio. Poi, alla fine, per “gli aventi agito” (οἱ ποιήσαντες, oi poièsantes – v. 29) bene, sarà “risurrezione di vita”, per “gli aventi praticato” (πράξαντες, pràcsantes – v. 29) il male, sarà “risurrezione di giudizio [κρίσεως, krìseos, “sentenza di condanna”]”. Tutto ciò accade dopo che hanno udito la voce, non prima. Anche qui i tempi verbali danno la sequenza. I morti saranno giudicati non per quello che fecero in vita ma per ciò che faranno dopo aver udito l’insegnamento di Yeshùa.

   La risurrezione riporta in vita. Si tratta però di una vita condizionata. Se si agirà male, sarà resurrezione di condanna. Se si ubbidirà a Dio, sarà davvero risurrezione alla vita piena, vera e duratura. È a quest’ultimo buon esito finale che si riferisce Ap 20:5: “Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi”.

   Esaminando l’Apocalisse, va notato che l’attesa del Regno millenario non appare altrove in uno scritto delle Scritture Greche. Paolo parla in modo preciso degli eventi escatologici e scrive:

“Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch’egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti”. – 1Cor 15: 20-28.

   Qui Paolo menziona il regno retto da Yeshùa e ciò che accadrà, ma non parla di mille anni. I giudei pensavano dovesse esserci un regno messianico intermedio, dopo il quale le forze del male sarebbero state distrutte e si sarebbe attuato infine il nuovo mondo. Questa credenza è accolta da Giovanni che parla di un regno millenario e intermedio. Da dove sorge il numero mille? È molto probabile che esso abbia connessione con la settimana planetaria in cui i primi sei giorni riguardano la storia del mondo (6000 anni di storia umana) e il settimo giorno è un sabato millenario.

   Questa idea di sette giorni come sette millenni ha basi bibliche. “Non dimenticate – scrive Pietro in 2Pt 3:8 – quest’unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno”. È basandosi su questo fatto che molte religioni hanno fatto le loro speculazioni cercando di individuare la data della fine del mondo. Previsioni, le loro, tutte miseramente fallite. Se da una parte è pur vero che una certa cronologia biblica è possibile fissarla, dall’altra non si riesce a venirne a capo e sembrerebbe che ci venga proprio impedito. Non a caso Pietro prosegue dicendo subito dopo: “Il giorno del Signore verrà come un ladro” (v. 10). Tuttora, comunque, si sono gruppi religiosi di fanatici che insistono nel voler fissare delle date.

“Quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per radunarle alla battaglia: il loro numero è come la sabbia del mare. E salirono sulla superficie della terra e assediarono il campo dei santi e la città diletta; ma un fuoco dal cielo discese e le divorò. E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli”. – Ap 20:7-10.

   Liberato dalla sua millenaria prigione, il diavolo tenta di formarsi un nuovo esercito malvagio. “Gog e Magog” sono i nomi che Giovanni prende da Ez 38 e 39 in cui si parla del principe Gog e del suo territorio Magog. Si tratta dei nemici di Israele.

“Rivolgi la tua faccia verso Gog del paese di Magog

. . .

Profetizza, e di’ a Gog:

Così parla il Signore, Dio:

‘In quel giorno, quando il mio popolo Israele abiterà al sicuro,

tu lo saprai;

verrai dal luogo dove stai, dall’estremità del settentrione,

tu con dei popoli numerosi con te,

tutti quanti a cavallo,

una grande moltitudine, un potente esercito;

salirai contro il mio popolo Israele,

come una nuvola che sta per coprire il paese.

Questo avverrà alla fine dei giorni: io ti condurrò contro il mio paese

affinché le nazioni mi conoscano,

quando io mi santificherò in te sotto gli occhi loro, o Gog!”. – Ez 38:1,14-16.

   Il loro obiettivo è la città santa, Gerusalemme, dove sarà combattuta la battaglia decisiva. Gerusalemme sarà accerchiata, ma Dio interverrà col fuoco per salvare Israele. Il diavolo sarà allora debellato definitivamente.