Giovanni ha ora una nuova strabiliante visione e descrive per la seconda volta la “nuova Gerusalemme”:

“Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò, dicendo: «Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello». Egli mi trasportò in spirito su una grande e alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, con la gloria di Dio. Il suo splendore era simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino. Aveva delle mura grandi e alte; aveva dodici porte, e alle porte dodici angeli. Sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele. Tre porte erano a oriente, tre a settentrione, tre a mezzogiorno e tre a occidente. Le mura della città avevano dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomi di dodici apostoli dell’Agnello”. – Ap 21:9-14.

   La “santa città, Gerusalemme”, non si trova “su una grande e alta montagna”; qui è però condotto Giovanni perché possa ammirarla dall’alto, panoramicamente.

   Ancora una volta si coglie l’enorme differenza tra Babilonia e Gerusalemme. Quest’ultima ha uno splendore indescrivibile: è soltanto “simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino.

   La città celeste è circondata da “mura grandi e alte” e alle sue porte stanno di guardia gli angeli. “Sulle tue mura, Gerusalemme, io ho posto delle sentinelle”. – Is 62:6.

   Le “dodici porte” cittadine si aprono verso i quattro punti cardinali della terra, così che tutte le popolazioni di ogni dove vi abbiano accesso. Ciò sta a significare che la città del popolo di Dio non comprende solo gli ebrei ma include anche coloro che provengono dal paganesimo.

“Queste sono le uscite della città. Dal lato settentrionale, quattromilacinquecento cubiti misurati; le porte della città porteranno i nomi delle tribù d’Israele e ci saranno tre porte a settentrione: la Porta di Ruben, l’una; la Porta di Giuda, l’altra; la Porta di Levi, l’altra. Dal lato orientale, quattromilacinquecento cubiti e tre porte: la Porta di Giuseppe, l’una; la Porta di Beniamino, l’altra; la Porta di Dan, l’altra. Dal lato meridionale, quattromilacinquecento cubiti e tre porte: la Porta di Simeone, l’una; la Porta d’Issacar, l’altra; la Porta di Zabulon, l’altra. Dal lato occidentale, quattromilacinquecento cubiti e tre porte: la Porta di Gad, l’una; la Porta d’Ascer, l’altra; la Porta di Neftali, l’altra. Il perimetro sarà di diciottomila cubiti. Da quel giorno, il nome della città sarà: ‘Il Signore è là’”. – Ez 48:30-35.

   Come nella visione di Ezechiele, anche in quella apocalittica a ciascuna delle dodici porte è dato il nome di una delle dodici tribù d’Israele. Nell’elenco delle tribù di Ez era ancora presente Dan e mancava Manasse. Ne abbiamo già visto le ragioni commentando Ap 7:4-8.

Tribù in Ez 48:30-35

Tribù in Ap 7:4-8

A nord

Ruben

1

Giuda

Giuda

2

Ruben

Levi

3

Gad

A est

Giuseppe

4

Aser

Beniamino

5

Neftali

Dan

6

Manasse

A sud

Simeone

7

Simeone

Issacar

8

Levi

Zabulon

9

Issacar

A ovest

Gad

10

Zabulon

Ascer

11

Giuseppe

Neftali

12

Beniamino

 

   La città celeste ha “dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomi di dodici apostoli dell’Agnello”. “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare”. – Ef 2:20.

“Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. E la città era quadrata, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza erano uguali. Ne misurò anche le mura ed erano di centoquarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, adoperata dall’angelo”. – Ap 21:15-17.

   La città celeste è enorme. Ha base quadrata ed è cubica. Ciò sta indicare la sua perfezione, perché nell’antichità il quadrato e il cubo erano immagini di perfezione. Vediamone ora le misure, calcolandole nel nostro sistema metrico decimale. Il testo greco originale usa come unità di misura lo στάδιον; uno stadio era pari a un ottavo di miglio romano, ovvero circa 185 metri. Facciamo il calcolo: 12.000 stadi x 185 m = 2.220.000 m = 2.220 chilometri. Questa enorme misura è riferita allo spigolo della cubica città celeste oppure al suo perimetro? Non è facile venirne a capo. Esaminiamo il testo biblico di Ap 21:16:

καὶ ἡ πόλις τετράγωνος κεῖται καὶ τὸ μῆκος αὐτῆς ὅσον τὸ πλάτος

kài e pòlis tetràgonos kèinai kài tò mèkos autès òson tò plàtos

E la città quadrangolare giace e la lunghezza di essa quanto la larghezza

καὶ ἐμέτρησεν τὴν πόλιν τῷ καλάμῳ ἐπὶ σταδίων δώδεκα χιλιάδων

kài emètresen tèn pòlin tò kalàmo epì stadìon dòdeka chiliàdon

e misurò la città con la canna su stadi dodici mila

τὸ μῆκος καὶ τὸ πλάτος καὶ τὸ ὕψος αὐτῆς ἴσα ἐστίν

tò mèkos kài tò plàtos kài tò ýpsos autès ìsa estìn

la lunghezza e la larghezza e l’altezza di essa uguali sono

   Da una parte sembrerebbe che si tratti del perimetro, tuttavia la specificazione “la lunghezza e la larghezza e l’altezza di essa uguali sono” fa pensare che queste singole misure siano di 12.000 stadi ciascuna. Infatti, prima che l’angelo ne misuri le dimensioni, non si può sapere se le tre dimensioni siano uguali. Ciò viene detto alla fine, dopo la misurazione. Per cui, per affermare che “la lunghezza e la larghezza e l’altezza di essa uguali sono”, occorre averle misurate singolarmente. Le loro singole misure sono date perciò da 12.000 stadi ciascuna. Abbiamo insomma una città enorme, splendente e gloriosa che ha una base di 2.220 km  per 2.220 km e un’altezza di 2.220 km. Per averne un’idea, sarebbe come se un suo lato andasse da Milano a Mosca, la cui distanza aerea è pari a  2.285 chilometri. La sua altezza – sempre pari a 2.220 km – raggiungerebbe una quota oltre l’esosfera, dove termina l’atmosfera terrestre e c’è lo spazio interstellare in cui la densità dei gas è uguale a quella dell’atmosfera terrestre e le particelle gassose, non partecipando più alla rotazione del nostro pianeta, si disperdono nello spazio.

  Inutile far calcoli, comunque, perché siamo in presenza di figure simboliche. Il numero 12.000 è quindi pure simbolico. Il 12 richiama le 12 tribù e i 12 apostoli, che caratterizzano la città. Il 1000 è un moltiplicatore che indica il tempo eterno.

  C’è un’altra misura che ci viene data della città: “Ne misurò anche le mura ed erano di centoquarantaquattro cubiti”. Il cubito era una misura lineare (cfr. Dt 3:11). Essa era corrispondeva alla distanza fra il gomito e la punta del dito medio. A quanti cm corrispondeva un cubito? Nel 1880 fu rinvenuta a Gerusalemme, nella galleria che il re Ezechia aveva fatto costruire per portare acqua dalla sorgente di Gihon al pozzo di Siloam, un’iscrizione epigrafica del tempo di Ezechia che commemorava la costruzione del tunnel.  In questa lastra di pietra (alta 50 cm e larga 66 cm), scritta il paleoebraico, si indica la lunghezza della galleria: 1.200 cubiti. Siccome la galleria misura 533 metri, un cubito corrisponde a circa 44,4 centimetri. Se teniamo per buona questa equivalenza, abbiamo che i 144 cubiti delle mura della città celeste corrispondono a 44,4 x 144 = 6393,6 cm = 64 metri circa. La misurazione di 144 cubiti pare debba riferirsi al loro spessore. Infatti, al v. 12 di Ap 21 le mura sono dette sì “grandi e alte”, ma 64 metri rispetto ai 2.220.000 metri di altezza della città sono un nulla. Non si tratta quindi dell’altezza delle mura ma del loro spessore. Anche in questo dato troviamo un simbolismo, evidente nel 144 che è multiplo di 12 (122 = 144).

   La nuova Gerusalemme è stupenda, bellissima, gloriosa, risplendente, meravigliosa, splendida:

“Le mura erano costruite con diaspro e la città era d’oro puro, simile a terso cristallo. I fondamenti delle mura della città erano adorni d’ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisòlito; l’ottavo di berillo; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l’undicesimo di giacinto; il dodicesimo di ametista. Le dodici porte erano dodici perle e ciascuna era fatta da una perla sola. La piazza della città era d’oro puro, simile a cristallo trasparente”. – Ap 21:18-21.

   “La città era d’oro puro”, non solo puro ma anche trasparente: perché è “simile a terso cristallo”. La sua bellezza è indicibile.

“O afflitta, sbattuta dalla tempesta, sconsolata,

ecco, io incasserò le tue pietre nell’antimonio,

e ti fonderò sopra zaffiri.

Farò i tuoi merli di rubini,

le tue porte di carbonchi,

e tutto il tuo recinto di pietre preziose.

Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore

e grande sarà la pace dei tuoi figli.

Tu sarai stabilita fermamente mediante la giustizia;

sarai lontana dall’oppressione, perché non avrai niente da temere,

e dalla rovina, perché non si accosterà a te”. – Is 54:11-14.

   I materiali menzionati sono preziosi, ricchi. Anche la sua via centrale, che attraversa la città, è “d’oro puro, simile a cristallo trasparente” (Ap 21:21). Qui, al posto di “piazza”, come traduce NR, sarebbe meglio tradurre “strada”, perché la parola greca è πλατεῖα, che indica appunto una “strada”, una “via larga”; bene TNM che ha “ampia via”.

   Dopo aver ammirato tutto questo splendore, Giovanni scruta l’interno della città e riferisce:

“Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua lampada. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. Di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più); e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni. E nulla di impuro, né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello”. – Ap 21:22-27.

   La prima cosa che il veggente nota è che nella città manca il tempio. Ma ne dà subito la spiegazione: Dio e Yeshùa sono il tempio. C’è qui un pensiero molto profondo. Anticamente i santuari erano ritenuti luoghi in cui erano presenti le divinità. Tra l’altro, questo è il motivo per cui gli ebrei ritenevano che in cielo, dimora di Dio, ci fosse il vero Tempio. Ora, il fatto che nella città celeste non c’è tempio, indica che il santuario con la presenza di Dio non serve più: Dio stesso e il suo consacrato abitano nella città. Ora l’adorazione avviene come già aveva detto Yeshùa: “Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità”. – Gv 4:24.

   Giovanni dice anche che “la città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua lampada”. “Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre” (1Gv 1:5). Il giorno luminoso non ha ormai più fine. Questo è anche il motivo per cui “di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più)”. Sempre aperte, le porte cittadine consentono l’afflusso libero e ininterrotto in ogni tempo. E persone che vi accorrono ce ne sono tante: “Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria” e “in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni”.

“Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta,

e la gloria del Signore è spuntata sopra di te!

… su di te sorge il Signore

e la sua gloria appare su di te.

Le nazioni cammineranno alla tua luce,

i re allo splendore della tua aurora.

Alza gli occhi e guàrdati attorno;

tutti si radunano e vengono da te

… sarai raggiante

… Le tue porte saranno sempre aperte;

non saranno chiuse né giorno né notte,

per lasciar entrare in te la ricchezza delle nazioni

e i loro re in corteo

… ti chiameranno la città del Signore,

la Sion del Santo d’Israele

… chiamerai le tue mura: Salvezza,

e le tue porte: Lode

… Non più il sole sarà la tua luce, nel giorno;

e non più la luna t’illuminerà con il suo chiarore;

ma il Signore sarà la tua luce perenne,

il tuo Dio sarà la tua gloria.

Il tuo sole non tramonterà più,

la tua luna non si oscurerà più;

poiché il Signore sarà la tua luce perenne

… Il tuo popolo sarà tutto un popolo di giusti”. – Is 60, passim.

   I popolo pagani che vi abitano non sono più pagani: ora hanno la cittadinanza. “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli” (Flp 3:20). Dalla città è bandita ogni impurità: “Nulla di impuro, né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà”.