Yeshùa era figlio di Miryàm ed “era figlio [in senso legale], come si credeva, di Giuseppe” (Lc 3:23). La paternità di Yeshùa risale a Dio; Giuseppe fu solo il padre adottivo ed egli ne fu consapevole, dato che un angelo gli aveva detto: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù”. – Mt 1:20,21.

   Una madre e un padre adottivo. La famiglia di Yeshùa era tutta lì? No, a leggere quanto la gente di Galilea riferiva: “Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?”. – Mt 13:55,56.

   Yeshùa aveva dunque fratelli e sorelle. La Scrittura non si può ignorare. Tuttavia, specialmente in ambito cattolico, si sostiene che questi fratelli e sorelle di Yeshùa fossero in realtà dei cugini. Altri interpretano la parola “fratelli” in senso spirituale, cioè come discepoli di Yeshùa. Quest’ultima ipotesi è da scartare inequivocabilmente. Per due ragioni. La prima è che la Scrittura distingue tra fratelli e discepoli: “Egli [Yeshùa] con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli” (Gv 2:12); il testo greco è chiaro: κάι οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ (kài òi mathetài autù, e i discepoli di lui), quindi non ‘con i suoi fratelli e discepoli’ ma “con i suoi fratelli e i [κὰι οἱ, kài òi, e i] suoi discepoli”. La seconda prova è che a quel tempo “i suoi fratelli non esercitavano fede in lui” (Gv 7:5, TNM) e quindi non erano suoi discepoli.

   Rimane quindi l’ipotesi dei “cugini”, che andrà esaminata.

Yeshùa, “il primogenito”

   “Ella diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2:7). Questo passo viene addotto da alcuni quale prova che Miryàm ebbe altri figli, dato che Yeshùa viene chiamato “primogenito”, ovvero primo di una serie. Così i Testimoni di Geova: “La dichiarazione che Gesù era il “primogenito” di Maria (Lu 2:7) conferma che Giuseppe e Maria ebbero altri figli” (Perspicacia nello studio delle Scritture, Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania, 1988, volume I, pag. 970, voce “Fratello”, sottovoce “I fratelli di Gesù”). È questo un fatto probante?

   In verità, no. Sono state ritrovate almeno trentacinque iscrizioni, che risalgono al periodo tra i Maccabei e la fine del tempo apostolico, che fanno luce sull’uso del termine “primogenito”. Ad esempio, nell’epitaffio di Arsinoe (una giovane madre ebrea morta nel 25 E.V.) appare la parola “primogenito” (πρωτότοκος, protòtokos), la stessa usata da Luca (in 2:7). Questo epitaffio recita: “Questa è la tomba di Arsinoe, o viaggiatore. Piangi, pensando che ella fu in tutto sfortunata, sventurata. Fu lasciata orfana di madre mentre era ancora piccola. Il dolore del parto del suo primogenito [πρωτότοκος, protòtokos] la condusse alla morte”. Da questa iscrizione possiamo vedere che il termine “primogenito” significava per gli ebrei non il primo di una serie ma colui che apriva la matrice (è chiaro che la madre, morta nel partorire il primogenito, non poté avere in seguito altri figli).

   È dunque completamente fuori strada chi adduca il termine “primogenito” per dimostrare che Yeshùa ebbe altri fratelli. Il termine, preso in se stesso, nulla dice né a favore né contro il fatto che Yeshùa avesse o no altri fratelli. Sarà solo dall’esame di altri testi biblici che si potrà sapere se il termine “primogenito” riferito a Yeshùa abbia valore di “unigenito” o di primo di una serie.

Il “primogenito” nella Bibbia

   Quanto è reso certo dall’iscrizione di Arsinoe si poteva già dedurre dalla Scrittura. È sufficiente infatti ragionare su Es 13:12: “Devi riservare a Geova ognuno che apre il seno, e ogni primo nato” (TNM). Questo comando di Dio è ripetuto in Nm 3:13: “Ogni primogenito è mio” (TNM). Qui si parla del riscatto del primogenito. Ogni primo maschio, sia degli uomini che degli animali, doveva essere consacrato a Dio. Nel caso degli animali, questi dovevano essere immolati; nel caso degli uomini – dato che Dio aborrisce i sacrifici umani (Lv 20:2-5) – i primogeniti dovevano essere riscattati con un’offerta al tempio. È ciò che avvenne anche nel caso di Yeshùa: “Secondo la legge di Mosè, lo portarono a Gerusalemme per presentarlo a Geova, come è scritto nella legge di Geova: ‘Ogni maschio che apre il seno dev’essere chiamato santo a Geova’, e per offrire il sacrificio secondo ciò che è detto nella legge di Geova: ‘Un paio di tortore o due giovani piccioni’”. – Lc 2:22-24, TNM.

   È chiaro che non si doveva attendere la nascita di altri eventuali figli per compiere l’atto del riscatto. Era sufficiente che fosse nato colui che prima di sé non aveva altri fratelli. Questo era il primogenito indipendentemente dal fatto se in seguito sarebbero nati o no altri fratelli o sorelle.

   Il senso preciso del vocabolo è dato da Nm 3:12: “Prendo in effetti i leviti di tra i figli d’Israele in luogo di tutti i primogeniti che aprono il seno dei figli d’Israele; e i leviti devono divenire miei” (TNM). Per la Bibbia il primogenito non è colui dopo il quale nascono altri figli, ma colui che ‘apre il seno’ o fende la matrice. Questo è confermato anche da Es 13:2: “Santificami ogni primogenito maschio che apre ciascun seno tra i figli d’Israele” (TNM); da Es 13:12: “Devi riservare a Geova ognuno che apre il seno” (TNM); da Nm 8:16: “Quelli che aprono ogni seno, tutti i primogeniti” (TNM); e da Nm 18:15: “Tutto ciò che apre il seno, di ogni sorta di carne, […] il primogenito del genere umano”. – TNM.

   Un’ulteriore riflessione ci è data da Es 12:29: “E avvenne che a mezzanotte Geova colpì ogni primogenito nel paese d’Egitto, dal primogenito di Faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del prigioniero che era nella buca della prigione, e ogni primogenito di bestia” (TNM). Come dobbiamo intendere questo passo? Dobbiamo forse restringerlo ai primogeniti che avevano altri fratelli, escludendone gli unigeniti? Sarebbe oltremodo ridicolo. In quell’occasione furono colpiti tutti i primogeniti  siano essi stati primogeniti con altri fratelli o solo unigeniti.

   Secondo la Bibbia il “primogenito” non ha bisogno di avere altri fratelli per essere tale: subito dopo la nascita egli era chiamato בכר (bekòr, primogenito), termine che la LXX traduce col greco πρωτότοκος (protòtokos, primogenito).

   Non c’è davvero ragione di intendere in modo diverso il “primogenito” (πρωτότοκος, protòtokos) applicato da Luca a Yeshùa. Sarà solo da altri passi biblici che potremo dedurre se il primogenito di Miryàm abbia o no avuto altri fratelli e sorelle.

I vari significati del vocabolo “fratello” nella Bibbia

   Il termine “fratello” assume nella Bibbia diversi significati, sia in senso spirituale che carnale.

   Senso spirituale. In tal senso designa i componenti del popolo di Dio, sia di Israele che della congregazione dei discepoli di Yeshùa. Pietro, parlando ai suoi connazionali (ebrei), li chiama “fratelli“ (At 2:29); e questi si rivolgono a Pietro e agli altri apostoli chiamandoli nello stesso modo: “Dissero a Pietro e agli altri apostoli: ‘Fratelli, che dobbiamo fare?’” (At 2:37). Pietro ricorda loro quanto detto da Mosè sul futuro messia: “Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta”. – At 3:22.

   I discepoli di Yeshùa sono fratelli tra loro, senza nessuna supremazia gli uni sugli altri: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23:8). Tra questi Yeshùa è il primogenito: il “Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli”. – Rm 8:29.

   Senso carnale. In questo senso può indicare diversi gradi di parentela in una stessa tribù o in una stessa famiglia.

   Ovviamente, vi può essere un senso stretto. Sono chiamati fratelli i figli degli stessi genitori, come Caino e Abele (Gn 4:8); come Giacomo e Giovanni (Mt 4:21;17:1); come Marta, Miriam e Lazzaro (Gv 11:5,17,21,23). Sono chiamati fratelli anche i figli di un solo genitore (che noi chiamiamo fratellastri), come Abraamo e Sara (Gn 20:12), come Ismaele e Isacco. – Gn 16:15;21:2,3,9.

   In senso più largo, il termine è applicato nella Bibbia a membri dello stesso ceppo. Abbiamo già visto che tutti i membri di Israele si definivano fratelli, per cui a maggior ragione sono fratelli i membri di una stessa famiglia. Lot, nipote di Abraamo, è chiamato da questi fratello (Gn 13:8;14:12); i cognati di Rebecca le fanno gli auguri chiamandola “sorella” (Gn 24:60); Labano dice a suo nipote Giacobbe: “Perché tu sei mio fratello, mi serviresti tu gratuitamente?”. – Gn 29:15, Did.

   Il termine “fratello” è applicato nella Bibbia anche ai cugini. I primi cugini di Aaronne sono detti “fratelli” dei suoi figli Nadab e Abiu (Lv 10:4); “I figliuoli di Merari furono Mahali, e Musi. I figliuoli di Mahali furono Eleazaro, e Chis. Ed Eleazaro morì, e non ebbe figliuoli, ma sol figliuole; ed i figliuoli di Chis, lor fratelli, le presero per mogli”. – 1Cron 23:21,22, Did.

   In senso largo, ma sempre in ambito carnale, “fratelli” sono nella Bibbia i parenti in genere. Questo spiega le quantità, talora elevate, dei “fratelli” che troviamo nella Scritture: i 120 “fratelli” di Uriel: Uriel era il principale, ed avea seco centoventi dei suoi fratelli”, i 220 “fratelli” di Asaia: “Asaia era il principale, ed avea seco dugentoventi de’ suoi fratelli”, i 130 “fratelli” di Ioel: “Ioel era il principale, ed avea seco centotrenta de’ suoi fratelli”, i 200 “fratelli” di Semaia: “Semaia era il principale, ed avea seco dugento de’ suoi fratelli”, gli 80 “fratelli” di Eliel: “Eliel era il principale, ed avea seco ottanta de’ suoi fratelli”, i 112 “fratelli” di Amminadab: “Amminadab era il principale, ed avea seco cento dodici de’ suoi fratelli” (1Cro 15:5-10, Did); gli addirittura 690 “fratelli” di Ieuel: “Ieuel, ed i suoi fratelli in numero di seicennovanta”. – 1Cron 9:6, Did.

I fratelli di Yeshùa: fratelli in che senso?

   È già stato provato con la Bibbia che i fratelli di Yeshùa non potevano essere suoi fratelli in senso spirituale (ovvero discepoli) dato che “neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7:5). Per di più, non possono davvero essere considerati discepoli e fratelli spirituali quei suoi fratelli che con sua madre si accostarono a Yeshùa, mentre questi predicava a Capernaum, con l’intento di portarlo via ritenendolo un pazzo: “E quando i suoi parenti lo udirono, uscirono per prenderlo, poiché dicevano: ‘È fuori di sé’”. Costoro erano sua madre e i suoi fratelli: “Vennero sua madre e i suoi fratelli”. – Mr 3:21,31, TNM.

   Si deve dunque concludere che tali “fratelli” erano membri della famiglia carnale di Yeshùa. La domanda ora è: se ne può determinare meglio il grado di parentela? La risposta è sì.

   Nell’ambito carnale, ormai accertato, ci sono tre possibilità con cui questi “fratelli” potevano avere un legame di sangue (ovviamente da parte di madre) con Yeshùa: 1. cugini, 2. fratellastri, 3. veri fratelli. Scopriamo quale grado di parentela la Bibbia indica inequivocabilmente.

   Iniziamo con lo scartare il più fantasioso: fratellastri. Con questo termine s’intende che i fratelli di Yeshùa erano figli di Giuseppe ma non di Miryàm. Questa interpretazione avvenne in oriente (in occidente i fratelli furono interpretati come cugini). La prima origine di questa ipotesi si ebbe nei racconti fantastici dei Vangeli apocrifi, tra cui primeggia il Protovangelo di Giacomo (3° secolo E.V.). Vi si legge che tra i vari pretendenti alla mano di Miryàm c’era anche Giuseppe, ma che poi si oppose al matrimonio dicendo: “Ho figli e sono vecchio, e lei invece è ragazza: non vorrei divenire oggetto di beffe per i figli di Israele” (13). Stando a questo Vangelo apocrifo, i sacerdoti costrinsero Giuseppe ad accettare come sposa colei che era stata designata da Dio. Anche il più tardivo Pseudo-Matteo presenta Giuseppe mentre s’incammina verso l’Egitto con i suoi tre figli, con Miryàm e con Yeshùa (18:1). La Storia di Giuseppe, un apocrifo ancor più tardivo, ci dà addirittura il nome delle sue due figlie, che sarebbero Assia e Lidia.

   Tutti questi passi citati dagli apocrifi non sono altro che frutto di pura fantasia. La Bibbia non presenta alcun indizio da cui dedurre che Giuseppe era vedovo al tempo in cui sposò Miryàm o che fosse già vecchio. Inoltre, nel racconto biblico della fuga in Egitto tutto è contrario alla presenza di altri figli: “Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‘Àlzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto’”, “Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre”, (Mt 2:13,14); e così al rientro dall’Egitto in Israele: “Àlzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele”, “Egli, alzatosi, prese il bambino e sua madre, e rientrò nel paese d’Israele” (Mt 2:20,21). In queste frasi scarne ma precise non c’è posto per altri supposti figli di Giuseppe. E ancora: alla morte di Giuseppe è Yeshùa che prende, come primogenito, la direzione della famiglia: “Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone? Le sue sorelle non stanno qui da noi?” (Mr 6:3); qui è presentata la famiglia di Yeshùa, e qui Giuseppe non è nominato; Yeshùa è chiamato “falegname”: indizi che Giuseppe doveva essere già morto. In caso di altri figli di Giuseppe, maggiori di Yeshùa, non avrebbero avuto loro la direzione della casa? Questa ipotesi di altri figli di Giuseppe, fratellastri di Yeshùa, è senza dubbio fantasiosa. Rimangono quindi solo due altre ipotesi: i fratelli di Yeshùa erano suoi cugini o fratelli veri?

   L’ipotesi dei cugini è strenuamente sostenuta in ambito cattolico. Esaminiamo quindi le argomentazioni addotte e passiamole al vaglio della Scrittura.

   L’argomentazione più usata dai cattolici è che la lingua ebraica, non avendo un termine per “cugino”, lo designa con il vocabolo “fratello”. Questa argomentazione è vera a metà. È vera nel notare che nell’ebraico biblico non esiste un termine per “cugino”, ma è falsa nel sostenere che l’alternativa obbligata fosse usare la parola “fratello”. Nella Bibbia, quando si voleva specificare meglio i primi cugini c’era un mezzo per esprimere tale relazione di parentela: i cugini sono i figli dello zio (ebraico בן-דוד, ben-dod): “Lo potrà riscattare suo zio [ebraico דוד, dod] , o il figlio di suo zio [= cugino; ebraico בן-דוד, ben-dod]” (Lv 25:49); “Geremia disse: ‘La parola del Signore mi è stata rivolta in questi termini: Ecco, Canameel [cugino di Germia], figlio di Sallum, tuo zio, viene da te’” (Ger 32:7); “Ester – la figlia di Abiail, zio di Mardocheo [e quindi cugina di Mardocheo] che l’aveva adottata” (Est 2:15, cfr, v. 7); “Misael e Elsafan [cugini di Aaronne], figli di Uziel, zio d’Aaronne” (Lv 10:4). Non è quindi vero che gli ebrei non avevano modo di specificare i cugini.

   Inoltre – cosa più importante -, i fratelli di Yeshùa non sono menzionati nelle Scritture Ebraiche, ma nelle Scritture Greche. La lingua greca, molto precisa, ha termini ben chiari ed esatti per designare “parente”, “cugino” e “fratello”.

   Il termine “parente” è in greco συγγενής (sünghenès) per il maschile e συγγενίς (sünghenìs) per il femminile. Così abbiamo: “Elisabetta, tua parente [greco συγγενίς (sünghenìs)]” (Lc 1:36), in cui Elisabetta non è detta “sorella” di Miryàm, ma parente; “I parenti [greco οἱ συγγενeῖς (òi sünghenèis)], udirono che il Signore le aveva usato grande misericordia” (Lc 1:58), in cui i parenti di Elisabetta sono detti parenti e non “fratelli”; “Nella tua parentela [greco συγγενείας (sünghenèias)]” (Lc 1:61), in cui si dice parentela e non “tra i fratelli”. Prima di tornare a Gerusalemme per cercarvi il figlio smarrito, Miryàm e Giuseppe lo cercano tra i parenti; Luca, che scrive il racconto, li chiama parenti e non “fratelli”: “Pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti [greco ἐν τοῖς συγγενεῦσιν, en tòis sünghenèusin)] ”. – Lc 2:44.

   Il termine “cugino” è in greco ἀνεψιός (anepsiòs). Per cui Marco è detto chiaramente cugino e non “fratello” di Barnaba: “Marco, il cugino [greco ἀνεψιός (anepsiòs)] di Barnaba”. – Col 4:10.

   La domanda è d’obbligo: come mai solo per i fratelli di Yeshùa si sarebbe usato un termine ambiguo mentre in tutti gli altri casi si usano i termini esattamente appropriati? Se la Bibbia avesse voluto sottolineare la perpetua verginità di Miryàm e il fatto che Yeshùa sarebbe stato il suo unico figlio non avrebbe dovuto usare il termine greco preciso per “cugino”?

   I teologi cattolici tentano di aggiungere altre argomentazioni: i fratelli di Yeshùa devono essere suoi cugini, perché questi non sono detti mai figli di Miryàm. Intanto è già stato dimostrato che il termine greco per “cugino” non è applicato mai ai fratelli di Yeshùa. Si deve poi considerare che è solo naturale che i fratelli di Yeshùa, pur essendo figli di Miryàm, vengano ricordati dalla comunità primitiva come fratelli di Yeshùa e non come figli di Miryàm, dato che la loro dignità e influenza proveniva proprio dalla loro relazione con Yeshùa. Ad esempio, leggendo (in Gal 1:19): “Non vidi nessun altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore”, parrebbe davvero molto strano se Paolo avesse invece detto: ‘Non vidi nessun altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il figlio di Miryàm’. Il fatto è che Miryàm non aveva proprio nulla di quell’ascendente che le fu poi attribuito con l’avvento del cattolicesimo romano. Negli scritti degli apostoli Miryàm non è mai nominata; nei Vangeli viene nominata di sfuggita in episodi che la toccano personalmente. Paolo scrisse che Yeshùa nacque da una “donna”, senza nemmeno chiamarla per nome: “Dio mandò il suo Figlio, che nacque da una donna” (Gal 4:4, TNM). Era Yeshùa, e solo Yeshùa, che stava al centro del primitivo messaggio dei credenti.

   Altra argomentazione cattolica: i fratelli di Yeshùa dovevano essere cugini, dato che Yeshùa morente non avrebbe affidato la madre ad un apostolo se questa avesse avuto altri figli. Esaminiamo. Narra la Bibbia: “Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: ‘Donna, ecco tuo figlio!’ Poi disse al discepolo: ‘Ecco tua madre!’ E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua” (Gv 19:26,27). Occorre, come sempre, esaminare il contesto. “I suoi fratelli non esercitavano fede in lui” (Gv 7:5, TNM); volevano allontanarlo dalla sua missione ritenendolo un pazzo: “Vennero per prenderlo, perché dicevano: ‘È fuori di sé’” (Mr 3:21,31); pur essendo, come ogni buon giudeo, a Gerusalemme per la festa della Pasqua, questi fratelli di Yeshùa non si erano presi la briga di assistere alla sua morte e di sorreggere la loro madre in quel momento terribile. Presso Miryàm c’era solo Giovanni, “il discepolo che egli [Yeshùa] amava”. È solo logico che Yeshùa, in tale occasione, abbia da affidare la madre al fidato discepolo presente e non ai figli volutamente assenti (fu solo dopo la resurrezione e l’ascensione al cielo di Yeshùa che i suoi fratelli, finalmente credenti, si trovano nella camera superiore insieme a Miryàm, agli apostoli e ad altre donne credenti in attesa dello spirito santo – At 1:12-14). Il comportamento di Yeshùa, mentre moriva, fu dettato dal suo amore per la madre, conformemente alle circostanze.

   Un’altra argomentazione cattolica è che i fratelli di Yeshùa devono essere cugini, dato che la “sacra famiglia” risulta sempre composta da tre persone: “Gesù, Giuseppe e Maria”. Questa “icona” o quadretto della “sacra famiglia” è così diffuso che sembrerebbe attendibile. Esaminando la Scrittura però emerge altro. Della famiglia di Yeshùa la Bibbia parla solo incidentalmente e lo fa nel periodo di tempo in cui Yeshùa era ancora un ragazzo. In quel tempo i suoi fratelli non erano forse ancora nati oppure erano in tenera età. Esaminiamo il caso di Yeshùa dodicenne. Il centro del racconto è Yeshùa, tutto il resto passa in secondo ordine. Se Yeshùa aveva già fratelli, questi potevano essere rimasti a Nazaret presso conoscenti. Le prescrizioni legali del tempo non obbligavano i figli al pellegrinaggio a Gerusalemme prima del compimento del loro tredicesimo anno di età (bar-mitzvà, “figlio del comandamento”). Se erano già nati ed erano a Gerusalemme, sarebbero stati d’inciampo nella ricerca di Yeshùa, per cui forse li avrebbero lasciati presso quei parenti e conoscenti di cui si parla nel racconto (Lc 2:44). Anzi, proprio la presenza di altri figli potrebbe spiegare che Yeshùa sia stato smarrito: dovendo badare ai più piccoli, Miryàm e Giuseppe non s’interessavano troppo del maggiore che aveva già dodici anni (in Medio Oriente l’età del matrimonio iniziava per un ragazzo a tredici anni). Inoltre, la famiglia al completo (contrariamente a quanto sostenuto dai cattolici) compare nella Bibbia, se pure incidentalmente: “Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?”. – Mt 13:55.

   No, non è possibile in alcun modo sostenere che i fratelli di Yeshùa fossero cugini. È insostenibile sia dal punto di vista linguistico che dall’esame delle Scritture. Rimane dunque la terza e ultima ipotesi: i fratelli di Yeshùa erano fratelli veri. Ma questa conclusione non deriva per sola eliminazione delle altre due ipotesi risultate impossibili: è sostenuta dalle Scritture. Vediamo i motivi scritturali:

   1. Si è già visto che la parola greca per “cugino” è ἀνεψιός (anepsiòs). Per la parola “fratello” il greco ha ἀδελφός  (adelfòs). Sono due vocaboli ben distinti che le Scritture Greche usano. Paolo, parlando di Marco, lo dice “cugino di Barnaba [Μάρκος ὁ ἀνεψιὸς Βαρνάβα (Màrkos, o anepsiòs Barnàba)]” (Col 4:10), mentre parlando di Giacomo lo afferma “fratello del Signore [Ἰάκωβον τὸν ἀδελφὸν τοῦ κυρίου (Iàkobon ton adelfòn tu kürìu), qui al caso accusativo]”. – Gal 1:19.

   2. L’importanza assunta dai fratelli di Yeshùa, e specialmente di Giacomo, nella comunità primitiva si spiega meglio con il fatto che essi erano fratelli veri di Yeshùa e non cugini. Si pensi che in certi momenti l’autorità di Giacomo a Gerusalemme giunse ad offuscare perfino quella di Pietro: “Quando ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: […] io ritengo che […]” (At 15:13,19), dove quell’ “io ritengo” è nel testo greco ἐγὼ κρίνω (egò krìno) e potrebbe essere meglio tradotto con un “io preferisco/scelgo/decido”.

   3. Va ricordato quanto detto più sopra circa la famiglia di Yeshùa al completo, aggiungendo ora altre osservazioni. La famiglia al completo appare in Mt 13:55: “Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?”. La cosa da notare è l’ordine con cui vengono elencate le persone: prima il padre (creduto tale dai galilei che qui parlano), poi la madre, quindi gli altri fratelli (tra i quali Giacomo, menzionato per primo, appare il maggiore), poi le sorelle. Sarebbe quasi ridicolo credere che l’elenco potesse prevedere padre, madre, cugini e cugine; casomai – se Yeshùa non avesse avuto fratelli – sarebbero stati inclusi solo padre e madre. Ma c’è di più: i galilei stanno in pratica dicendo che da gente simile non ci si può aspettare un profeta; prima era accaduto che si “stupivano e dicevano: ‘Da dove gli vengono tanta sapienza e queste opere potenti?’” (v. 54), poi avevano ricordato a se stessi, a conferma che si trattava solo una famiglia qualunque del posto, i componenti della famiglia stessa (vv. 56,56), infine “si scandalizzavano a causa di lui” (v. 57). Ora, in questo contesto, la menzione dei cugini anziché dei fratelli avrebbe tolto efficacia al loro ragionamento. Lì si parlava della famiglia per dedurne l’impossibilità che in tale ambiente potesse sorgere un vero profeta.

   4. I fratelli di Yeshùa, anche se non sono detti “figli di Miryàm”, sono messi in rapporto con lei come figli. A prelevare Yeshùa per portarlo via, dato che ritenevano che sparlasse, vanno Miryàm e i fratelli di lui: “Quando i suoi parenti vennero a sapere queste cose si mossero per andare a prenderlo, perché dicevano che era diventato pazzo. […] La madre e i fratelli di Gesù erano venuti dove egli si trovava, ma erano rimasti fuori e lo avevano fatto chiamare” (Mr 3:21,31, PdS). A Cana, Miryàm è presente con i fratelli di Yeshùa e con i suoi discepoli (Gv 2:1,2,13). Nel cosiddetto cenacolo, tra gli altri erano presenti Miryàm “madre di Gesù, con i fratelli di lui” (At 1:14). Questi fratelli di Yeshùa formano un gruppo compatto con Miryàm. Normale, trattandosi dei suoi figli; davvero strano, se fossero solo nipoti di lei.

   5. Un aforisma di Yeshùa, frutto indubbio di esperienza personale, fa riflettere: “Nessun profeta è disprezzato se non nella sua patria, fra i suoi parenti e in casa sua” (Mr 6:4). Si noti la successione sempre più ristretta dell’ambente: luogo natale, parentela, famiglia. Chi era opposto a Yeshùa? I suoi fratelli, “poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7:5). Questi non sono semplici cugini, ma fratelli veri in quanto distinti dalla parentela. Sarebbe oltremodo buffo immaginare la successione ‘patria, parentela, cugini’.

   Non ci sono dubbi: Yeshùa ebbe quattro fratelli veri (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda) e almeno due sorelle vere. Essi erano suoi fratelli e sue sorelle carnali.