Dopo l’annuncio dell’angelo, Miryàm si recò a trovare Elisabetta “con premura”. Così sembra si debba tradurre quel metà spudès  (μετὰ σπουδῆς)  che normalmente è tradotto “in fretta” (Lc 1:39). Miryàm fu spinta dall’affetto verso la sua parente, in ossequio anche alla notizia avuta dall’angelo. Il “si alzò” è un ebraismo, usato da Luca una sessantina di volte, che indica l’accingersi a compiere qualcosa.

   Miryàm andò “nella regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1:39) dove Elisabetta abitava. Quella città pare essere stata individuata in Ain Karin (= “sorgente della vita”), 7 km a ovest di Gerusalemme. La lezione “nella regione montuosa, nella città di Yutta” non è sostenibile. In effetti, la cittadina di Yutta esisteva e si trovava a 10 km a sud di “Ebron, nella regione montagnosa di Giuda” (Gs 21:11, TNM) ed è menzionata in Gs 21:16. Yutta viene identificata con l’attuale Yatta. In Lc 1:39 il testo greco ha Ἰούδα (Iùda) e non è accettabile una lezione Iutta (Ἰούττa), sia per il “t” (τ) al posto del “d” (δ), sia per il mancato raddoppiamento della consonante. La scelta più appropriata pare proprio Ain Karin: 1. si trova proprio in una regione montagnosa; 2. le versioni arabe di Lc hanno proprio “Ain Karin” invece di “città della Giudea”; la tradizione, sin dal 6° secolo localizza la visita di Miryàm proprio in questo luogo. La testimonianza più antica è quella di Teodosio, che così scrisse: “Da Gerusalemme al luogo dove dimorava santa Elisabetta ci sono 5 miglia”, il che corrisponde ai 7 km da cui dista il luogo, e che potevano essere facilmente percorsi dal sacerdote Zaccaria per assolvere i suoi compiti.

   Giunta a casa della sua parente, Miryàm (la giovane) saluta Elisabetta (l’anziana): “Entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta” (Lc 1:40). Luca non riporta il saluto di Miryàm, ma possiamo immaginarlo, dato che il saluto di allora consisteva nel ripetere più volte shalòm (שלום; “pace”). Tuttora in Israele si usa salutare con: Shalòm! Shalòm! Al tempo si soleva dire: “Pace, serenità e prosperità siano con te!”.

   “Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo” (Lc 1:41). Non è necessario pensare (come fecero Ambrogio e Origène) a una santificazione avvenuta da parte di Miryàm quale veicolo di grazia accanto a Yeshùa. Questa idea è del tutto estranea alla Scrittura.

   Elisabetta “ad alta voce esclamò: ‘Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno!’” (Lc 1:42). Questo saluto ricalca formule di saluto in uso tra gli ebrei. Nel libro apocrifo di Giuditta (sebbene apocrifo, e quindi non facente parte della Scrittura, esso testimonia sugli usi degli ebrei) troviamo un saluto simile: “Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra”. – Giuditta 13:18.

   Elisabetta chiama Miryàm “la madre del mio Signore” (Lc 1:43). Questo titolo, come quello equivalente di “fratello del Signore” (Gal 1:19; 1Cor 9:5) va inteso secondo la concezione dinastica dei semiti: è così infatti che si parla dei membri della famiglia del sovrano. Elisabetta parla di “madre del Signore” nel senso di madre del re-messia. La dignità regale del figlio ricade naturalmente anche sulla madre. Questo non ha proprio nulla a che fare con la formula blasfema “Madre di Dio” usata dai cattolici. Nel mondo antico la madre di un figlio di stirpe regale svolgeva un ruolo chiave. Data la poligamia del re, si creavano molti intrighi a corte, e una madre poteva ottenere che il figlio avesse il regno. Quando Baldassarre è atterrito dalla misteriosa scritta apparsa su una parete del salone in cui si svolgeva il convito, è confortato dalla madre che, presa in mano la situazione, ordina di chiamare Daniele per spiegare quei segni incomprensibili: “La regina udì le parole del re e dei suoi grandi, ed entrata nella sala del banchetto disse: ‘Vivi in eterno, o re! I tuoi pensieri non ti spaventino e non ti facciano impallidire! C’è un uomo, nel tuo regno, in cui è lo spirito degli dèi santi. […] Si chiami dunque Daniele’” (Dn 5:10-12). Quando Betsabea intercesse per il figlio Salomone presso l’ormai vecchio Davide, “s’inchinò e si prostrò davanti al re” (1Re 1:16); ma quando suo figlio Salomone è già re, è onorata dal figlio: “Il re si alzò per andarle incontro, le si inchinò, poi si risedette sul trono, e fece mettere un altro trono per sua madre, la quale si sedette alla sua destra” (1Re 2:19), e quando lei gli dice che deve chiedergli una cosa, lui risponde: “Chiedimela pure, madre mia; io non te la negherò” (v. 20). La madre del re aveva quindi un’importanza enorme. Così anche Miryàm, “madre del Signore”, il re messianico. Ma da questo a renderla mediatrice tra i credenti e il re Yeshùa intronizzato in cielo corre una distanza tanto grande che la Bibbia non la colma. Anche Betsabea, alla fine, non ottenne nulla dal figlio.

   Miryàm proruppe allora nell’inno di ringraziamento che viene detto Magnificat (Lc 1:46-55). Gli ebrei (ma anche le ebree) prorompevano facilmente, in modo estemporaneo, in inni di lode verso Dio. Un’altra Miryàm, dopo il passaggio del Mar Rosso si abbandonò alla lode: “Maria, la profetessa, sorella d’Aaronne, prese in mano il timpano e tutte le donne uscirono dietro a lei, con timpani e danze. E Maria rispondeva: ‘Cantate al Signore, perché è sommamente glorioso’” (Es 15:20,21). E così Anna, dopo aver dato alla luce un figlio: “Anna pregò e disse: ‘Il mio cuore esulta nel Signore, il Signore ha innalzato la mia potenza, la mia bocca si apre contro i miei nemici perché gioisco nella tua salvezza. Nessuno è santo come il Signore, poiché non c’è altro Dio all’infuori di te; e non c’è rocca pari al nostro Dio’”. – 1Sam 2:1,2.

   Dall’inno di Miryàm risalta la sua familiarità con la Sacra Scrittura, in quanto esso è tutta una rievocazione di frasi scritturali, specialmente contenute nel antico di Anna.

   Di fronte a tanta bellezza, è triste leggere le opinioni di vari “studiosi” della Bibbia. Secondo alcuni si tratta di un inno pre-“cristiano” messo da Luca sulla bocca di Miryàm. Così la pensa il domenicano P. Nenoit per il fatto che nell’inno non vi sarebbe alcuna chiara allusione alla nascita messianica (Rev. Bibl., 1958, pag. 429). Secondo P. Déaut, invece, Miryàm avrebbe cantato la liberazione dalla schiavitù egiziana, dato che al v. 54 ella dice: “Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia” (La nuit pascale, Roma 1963, pag. 310). Secondo altri ancora l’inno sarebbe stato una composizione di Luca ricalcata su passi delle Scritture Ebraiche (J. T. Forestell, Old Testament Background of the Magnificat, in Mar. Stud. 12, pagg. 205-254). Secondo quello e secondo questo, insomma. Ma secondo la Scrittura l’inno è di Miryàm. Ci si arriva anche con il buon senso: è logico supporre che Miryàm ed Elisabetta abbiano pure dovuto esprimere i sentimenti sorti in loro stesse per le loro meravigliose esperienze. E poi, la Bibbia dice chiaramente che fu Miryàm a prorompere spontaneamente in quell’inno. Un’ulteriore dimostrazione si ha dalla critica letteraria esposta di seguito.

Il Magnificat (Lc 1:46-55)

   È ben difficile dividere in strofe l’inno di Miryàm. Ciò indica che esso fu spontaneo e non composto ad arte precedentemente. A solo scopo di studio, forse si può accogliere la seguente tripartizione:

   1. L’umile gratitudine di Miryàm (1:46-49, PdS).

 

“Grande è il Signore: lo voglio lodare.

Dio è mio salvatore:

sono piena di gioia.

Ha guardato a me, sua povera serva:

tutti, d’ora in poi, mi chiameranno beata.

Dio è potente:

ha fatto in me grandi cose,

santo è il suo nome.”

 

I parallelismi che si notano sono frutto della conoscenza delle Scritture Ebraiche da parte di Miryàm.

 

Lc 1

Riferimenti paralleli

46

L’anima mia magnifica il Signore,

47

e lo spirito mio esulta in Dio,

 mio Salvatore,

Il mio cuore esulta nel Signore.

1Sam 2:1

Esulterò nel Dio della mia salvezza.

Ab 3:8

48

perché egli ha guardato alla bassezza della sua serva.

Se hai riguardo all’afflizione della tua serva e ti ricordi di me, se non dimentichi la tua serva.

1Sam 1:11

Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata,

Sono felice! perché le fanciulle mi chiameranno beata.

Gn 30:13

49

perché grandi cose mi ha fatte il Potente.

Il Signore ha fatto cose grandi per loro.

Sl 126:2

(VR)

   Da notare che la frase “tutte le generazioni mi proclameranno beata” turba il ritmo del parallelismo. È un’altra dimostrazione che l’inno non fu preparato prima. In Pr 31:28 abbiamo invece il parallelismo: “I suoi figli si alzano e la proclamano beata [1], e suo marito la loda [2]”.

   Nella duplice frase “l’anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio” (vv. 46 e 47) “anima” e “spirito” designano tutta la persona di Miryàm che esulta.

   2. Misericordia e potenza di Dio (1:50-53, PdS).

 

“La sua misericordia resta per sempre

Con tutti quelli che lo servono.

Ha dato prova della sua potenza,

ha distrutto i superbi e i loro progetti.

Ha rovesciato dal trono i potenti,

ha rialzato da terra gli oppressi.

Ha colmato o ipoveri di beni,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.”

 

   Da sé stessa lo sguardo di Miryàm si volge poi all’attività di Dio che usando misericordia verso quanti lo temono eleva gli umili e sazia gli affamati.

      Anche qui i parallelismi che si notano sono frutto della conoscenza delle Scritture Ebraiche da parte di Miryàm.

 

Lc 1:

Riferimenti paralleli

49

Perché grandi cose mi ha fatte il Potente.

Santo è il suo nome;

50

e la sua misericordia si estende di generazione in generazione

su quelli che lo temono.

La bontà del Signore è senza fine per quelli che lo temono, e la sua misericordia per i figli dei loro figli.

Sl 103:17

51

Egli ha operato potentemente con il suo braccio;

ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;

Con braccio potente hai disperso i tuoi nemici.

Sl 89:10

52

ha detronizzato i potenti,

e ha innalzato gli umili;

[Il Signore ha abbattuto il trono dei potenti,

al loro posto ha fatto sedere gli umili.]

[Siracide

10:14, CEI]*

53

ha colmato di beni gli affamati,

Egli ha ristorato l’anima assetata e ha colmato di beni l’anima affamata.

Sl 107:9

e ha rimandato a mani vuote i ricchi.

Quelli che una volta erano sazi si offrono a giornata per il pane.

1Sam 2:5

(VR)

* Il Siracide non fa parte della Bibbia, ma è pur sempre letteratura ebraica che gli ebrei conoscevano.

 

3. La salvezza di Israele (1:54,55, PdS).

 

“Fedele nella sua misericordia,

ha risollevato il suo popolo, Israele.

Così aveva promesso ai nostri padri:

a favore di Abramo e dei suoi discendenti per sempre”.

 

   Ora il pensiero di Miryàm si volge alla nazione che sta per ricevere il soccorso misericordioso di Dio promesso ad Abraamo.

   Ancora espressioni tratte dalle Scritture Ebraiche, che Miryàm conosceva bene:

 

Lc 1:

Passi paralleli

54

Ha soccorso Israele, suo servitore,

ricordandosi della misericordia,

Si è ricordato della sua bontà e della sua fedeltà verso la casa d’Israele.

Sl 98:3

55

di cui aveva parlato ai nostri padri,

verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre.

Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe,

la tua misericordia ad Abraamo,

come giurasti ai nostri padri, fin dai giorni antichi.

Mic 7:20

(VR)

 

   Miryàm “rimase con Elisabetta circa tre mesi” (Lc 1:56), forse fin dopo la nascita del bimbo (proprio in quel momento v’era più bisogno della sua presenza presso la sua parente). Luca, che ama finire i racconti, descrive il ritorno di Miryàm prima di parlare della nascita del bambino: “Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi; poi se ne tornò a casa sua. Compiutosi per lei il tempo del parto, Elisabetta diede alla luce un figlio”. – Lc 1:56,57.