Alcune volte si fanno delle obiezioni contro la Scrittura a motivo dei contrasti esistenti tra un passo e l’altro. Spesso la critica testuale risolve tali difficoltà. Le continue trascrizioni della Bibbia produssero degli errori, che si cercano di togliere con il confronto dei codici. È, infatti, impossibile trascrivere un testo lungo senza alcun errore.

   La critica testuale è quindi di grande importanza. Ispirato è il testo originario, non le trascrizioni. Queste lo sono nel grado con cui esse si accordano con il testo primitivo. Di qui la necessità di riscoprire l’originale. È il lavoro cui si dedicano e dedicarono con pazienza i critici, come il Kittel per le Scritture Ebraiche, l’Aland e il Nestle per le Scritture Greche.

   Le regole per stabilire il testo primigenio, identiche a quelle usate per gli altri libri antichi non sacri, consistono nel raffronto dei vari codici. Qui il lavoro è reso più arduo dal loro alto numero (specialmente per le Scritture Greche). Tuttavia, le varianti sono ben poche e non hanno grande risonanza. Di solito consistono in “Dio” al posto di “Yhvh”; scrittura arcaica di vocaboli, come se al posto di “essi” vi fosse “eglino”.

   La critica ci fa togliere o mettere in dubbio dei brani e delle glosse (annotazioni) marginali.

  1. a) Brani:
  • Dn: casta Susanna, Daniele e il dragone, Daniele e Abacuc. – Dn 13 e 14.
  • Finale di Mr, che ora si tende a ritenere non genuina e (almeno tra i non cattolici) anche non ispirata.
  • Gv 7:53–8:11: la donna adultera che certo non è di Gv e, secondo alcuni, proverrebbe da Lc.
  1. b) Glosse o brani più piccoli:
  • 1Sam 13:1: “Saul aveva [?] anni quando cominciò a regnare, e regnò due anni su Israele” (TNM). La Vulgata ha: “Filius unius anni Saul cum regnare coepisset duobus autem annis regnavit super Israhel” (“Saul aveva un anno quando cominciò a regnare, e regnò due anni su Israele”). Probabilmente si tratta di un errore: al posto di “aveva [-] anno” (la cifra manca nel Masoretico), la Vulgata ha: “Aveva un anno” (sic). La LXX manca di questo versetto che probabilmente è una glossa introdottasi nel testo; il numero fu all’inizio omesso perché fosse aggiunto più tardi, ma poi lo scrittore se ne dimenticò. Il numero “due anni” di regno è certamente inesatto, in quanto Saul governò di più. Il libro degli Atti dice: “Richiesero un re, e Dio diede loro Saul figlio di Chis, uomo della tribù di Beniamino, per quarant’anni”. – At 13:21, TNM.
  • Il “Padre nostro”: alla fine di Mt 6:13 si aggiunge: “Poiché a te appartiene il regno e la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen”. Questa lezione è presente in K (Parigi, 9° secolo), L (Parigi, 8° secolo), b 13 (circa 9 manoscritti greci), Didachè, Diatessaron. Oggi queste parole si ritengono una glossa liturgica (pure usata dai Valdesi) introdottasi nel testo sacro. Questa glossa ha una certa somiglianza con 1Cron 29:11-13: “A te, Signore, la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore, la maestà, poiché tutto quello che sta in cielo e sulla terra è tuo! A te, Signore, il regno; a te, che t’innalzi come sovrano al di sopra di tutte le cose! Da te provengono la ricchezza e la gloria; tu signoreggi su tutto; in tua mano sono la forza e la potenza, e sta in tuo potere il far grande e il rendere forte ogni cosa. Perciò, o Dio nostro, noi ti ringraziamo, e celebriamo il tuo nome glorioso”. Poteva trattarsi di un’annotazione (glossa), come i riferimenti che si trovano a margine nelle nostre Bibbie moderne, finita poi per errore nel testo.

   Critica testuale delle Scritture Greche. Le varianti provengono dal fatto che non è stato conservato il testo originale. Esso, scritto con materiale assai deperibile (come il papiro), non poté conservarsi a lungo. Infatti, i papiri si sono conservati specialmente in Egitto (e nelle grotte di Qumràn) dove il clima era particolarmente asciutto e ne permetteva una conservazione più lunga.

   Dato il gran numero dei codici delle Scritture Greche (circa 264 completi o parziali in aumento con la continua scoperta di papiri), le varianti sono enormi, oltre 200.000. Tuttavia, esse non hanno eccessiva importanza in quanto spesso riguardano aggiornamenti di vocaboli non più usati (come se al posto del nostro “imperocché” si sostituisse “poiché”). Ben poche sono le varianti che toccano la sostanza, e anche in tale caso l’errore di una lezione può essere chiarito con la critica testuale e riprovato da altri passi che conservano la vera dottrina biblica. Alcuni studiosi hanno consacrato tutta la loro vita allo studio del testo biblico, come B. F. Westcott e F. J. Hort (The N.T. in the Original Greek, Cambridge, London, 1881, II volume, Introduction); Von Soden, Nestle, e altri. Ora abbiamo per la critica l’utile volume di Metzeger, A Textual Commentary on the Greek N.T. (Bible Societies). In Italia abbiamo C. M. Martini del Pontificio Istituto Biblico che si è specializzato nelle lezioni del testo occidentale. Utili le edizioni critiche di Kurt-Aland, di Merx e di altri.  Questi studiosi si sono dedicati a ricostruire le varie famiglie nelle quali si possono ripartire i vari codici.

   La lettura liturgica degli scritti apostolici che poi entrarono a far parte delle Scritture Greche era fatta dalle congregazioni primitive dei discepoli di Yeshùa: “Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che sia letta anche nella chiesa dei Laodicesi, e leggete anche voi quella che vi sarà mandata da Laodicea [andata perduta]” (Col 4:16). Queste letture richiedevano la continua copiatura degli scritti, che avveniva nei centri più importanti. Con tali trascrizioni sono sorte delle varianti locali, che diedero origine a quattro famiglie principali:

  1. Testo alessandrino (Westcott e Hort lo chiamarono testo neutrale, ma è discutibile). Sorse in Alessandria con le seguenti caratteristiche:
  • ama le forme più brevi e rudi;
  • non vi troviamo le rifiniture linguistiche del testo bizantino;
  • è il gruppo più importante;
  • ne sono testimoni: Vaticano (B), Sinaitico (א o S), del 4°secolo.

   Con l’acquisto dei papiri Bodmer A (eccetto i Vangeli), P66, P75 (copiati alla fine del 2° secolo o inizio del 3°), si può sapere che il testo risale ad un archetipo del principio del 2° secolo.

  1. Testo occidentale. Diffuso in Italia, in Gallia, in Nord Africa (e talvolta in Egitto), è usato da Marcione, Cipriano, Taziano, Ireneo e Tertulliano. Fanno parte di questo testo i seguenti codici: P38 (Egitto, anno 300 circa), P 48 (fine del 3° secolo), Codice Beza (D) del 5°-6° secolo (Vangeli e Atti), Claromontano (D) del 6° secolo (lettere di Paolo), W (Washington del 4°-5° secolo). Presenta le seguenti caratteristiche:
  • parafrasi;
  • inserzioni di frasi (armonizzazione);
  • omissioni (specialmente fine di Lc).

   Oggi (ad eccezione delle varianti pietrine dovute a intento teologico) vi è la tendenza a valorizzare di più il testo cesariense, che sarebbe anteriore alle grandi revisioni del tempo di Origène. In questo testo dominano alcune aggiunte che tendono ad esaltare Pietro, come l’aggiunta secondo cui Pietro parlerebbe nella riunione di Gerusalemme per “lo spirito santo” (At 15:7). Un’altra aggiunta riguarda At 1:23 in cui solo Pietro (e non gli apostoli) designerebbe i due candidati al posto di Giuda. Altra aggiunta in At 2:14 in cui Pietro sarebbe il primo a parlare alla folla. In At 15:12° si aggiunge che i presbiteri approvano le parole di Pietro, mentre la folla zittisce. Alla voce di Pietro – altra aggiunta – Tabita apre gli occhi “immediatamente”. – At 9:40.

  1. Testo cesariense. È sorto in Egitto al principio del 3° secolo (P45) e fu poi trasferito da Origène a Cesarea e di lì a Gerusalemme. Venne usato da Cirillo di Gerusalemme e dagli armeni che avevano in questa città una colonia e che lo portarono in Georgia (influì sulla versione georgiana).

   Le sue caratteristiche principali sono:

  • miscuglio di lezioni occidentali e alessandrine;
  • tende talvolta verso l’eleganza di espressione;
  • sta a metà strada tra l’alessandrino e il bizantino.
  1. Testo bizantino. Fu detto:
  • testo siriaco da Westcott e Hort;
  • koine da Von Soden;
  • ecclesiastico da Lake;
  • antiocheno da Ropes.

Vi prevale la lucidità, l’eleganza di espressione, accordo con il greco parlato. Sono armonizzati tra loro dei passi diversi (conflazione). Sorto forse in Antiochia, fu portato a Costantinopoli e diffuso in tutto l’impero di Bisanzio.

  • Il codice A, che contiene i Vangeli, Atti, le Lettere e l’Apocalisse, giunse poi alla stampa secondo il testo fissato nel 6°-7° secolo.
  • Prima edizione: Erasmo 1516, Basilea; Stephanus 1550, editrice regia; 3° edizione, Paris; i fratelli Elzevir a Leida

poi ad Amsterdam nel 1663 presentano il testo receptus (comune).

  • La forma corrotta bizantina fu poi riveduta con i lavori di Costantino Tischendorf (1869-72) e Westcott-Hort 1881 (Cambridge).

   Una lezione testimoniata da più famiglie ha maggiori probabilità di essere genuina. La sua diffusione nei codici sia per numero che per geografia (luogo), che per il loro valore (א, B, C) è di grande peso per la genuinità della lezione.

  Vediamo ora alcuni motivi che hanno dato luogo a lezioni diverse:

Motivi non volontari

  1. Salti di vocaboli per finali simili (omotèleuton). Quando una parola (o una finale identica) si ripete in due linee successive, è facile saltare nella lettura o copiatura dalla prima alla seconda. È un fenomeno che avviene anche oggi spessissimo. Ad esempio, si riscontra in Ez 14:20:

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   Vari codici hanno saltato un intero verso (il 20) perché – come si vede – dalla finale identica del precedente versetto 19 sono saltati a quella successiva del versetto 21, scrivendo direttamente il versetto 22 (R, F, vari minuscoli, copto, altri).

   2. Dittografia: consiste nello scrivere due volte una o più lettere. Ad esempio, in Gv 19:29: “C’era lì un vaso pieno di vino acido. Perciò posero una spugna piena di vino acido su un [ramo di] issopo e gliela portarono alla bocca” (TNM). La parola incriminata è “issopo”. Viene il dubbio in quanto un ramo di issopo sarebbe un controsenso: è difficile che sia stato usato un ramo così flessibile per elevare una spugna appesantita dall’assorbimento del liquido sino alla bocca di Yeshùa sul palo. L’equivoco può essere stato causato dal copista che trovando l’originale ὑσσ περιθέντες (ΰssò perithèntes) che significa “messa la spugna su una lancia”, abbia trascritto ὑσσώπῳ περιθέντες (üssòpo perithèntes) che significa “messa la spugna sull’issopo”. Tra l’altro, se fosse davvero “issopo” il greco avrebbe specificato: ‘su un ramo di issopo’. Due manoscritti minuscoli hanno giustamente ὑσσῷ (ΰssò), “lancia”. La lezione “issopo” certamente fu dovuta alla ripetizione della sillaba ωπ (op) che fece il copista (allora le parole non si staccavano, ma si seguivano le une alle altre per risparmiare spazio):

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  1. Aplografia: eliminazione di una o più lettere che si dovrebbero invece ripetere. Per questo motivo in Mt 27:17 (“Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù il cosiddetto Cristo?”, TNM) alcuni codici hanno “Yeshùa Barabba”, anziché il solo “Barabba”. È difficile che il nome di Yeshùa vi sia stato aggiunto per errore, mentre è più facile che sia scomparso. Tre motivi militano per tale ipotesi:
  2. a) Eliminazione volontaria per togliere il nome di Yeshùa che urtava abbinato a un sovvertitore. Si voleva in tal modo distinguere meglio Yeshùa da Barabba.
  3. b) Il testo greco ha:

Τίνα θέλετε ἀπολύσω ὑμῖν Βαραββᾶν ἢ Ἰησοῦν τὸν λεγόμενον Χριστόν;

Tina thèlete apolǜso ümìn Barabbàn e Iesùn ton legòmenos Christòn?

Chi volete libero per voi Barabba o Yeshùa il detto unto?

     “Per voi Yeshùa” si scrive in greco ὑμῖν Ἰησοῦν (ümìn Iesùn). Dato che le parole si scrivevano tutte attaccate per risparmiare spazio e dato che, per la stessa ragione, la parola Ἰησοῦν (Iesùn) veniva scritta abbreviata utilizzando solo la prima lettera (ι, i) e l’ultima (ν, n), cioè ιν (in), si ha che ὑμῖνιν (ümininin) significa “per voi Yeshùa”. Un copista disattento, sembrandogli superflua la ripetizione ιν, in (due volte), oppure per disattenzione, scrisse in una volta sola, creando la lezione: “Vi liberi Barabba” senza “Yeshùa”.

  1. c) Introducendo “Yeshùa”, il parallelo è assai migliore: Yeshùa il Barabba e Yeshùa il Cristo. Dato che “Yeshùa” significa “Yah salva”, quindi “salvatore”, e dato che Barabba era ritenuto un salvatore per il popolo (un sobillatore per i romani), sarebbe come dire: ‘Volete che vi liberi il salvatore Barabba o il salvatore detto unto?’.
  2. Itacismo: una stessa pronuncia di lettere (vocali) diverse che crea confusione. In Lc 18:25, ad esempio, alcuni manoscritti cambiarono due vocali. Ecco il testo:

εὐκοπώτερον γάρ ἐστιν κάμηλον διὰ τρήματος βελόνης εἰσελθεῖν

eükopòteron gàr estin kàmelon dià trèmatos belònes eiselthèin

più facile infatti è un cammello per cruna di ago passare

   Si noti la parola κάμηλον (kàmelon) e, in modo particolare la η (ê lunga). Questa e lunga (eta) si pronunciava “i” (come nel greco moderno), esattamente come la iota (ι, i). “Itacismo” indica, infatti, la lettura di “i” al posto di “e” (dal nome della e lunga greca, eta). Quindi si scriveva kàmelon e si leggeva kàmilon. Il fatto è che kàmelon significa “cammello” e kàmilon significa “fune”. Il copista ha scritto evidentemente come leggeva (forse sotto dettatura), creando l’assurdo del cammello. La frase più ovvia è: “È più facile che una fune passi per la cruna di un ago che […]”.              

Motivi volontari (vale a dire variazioni introdotte di proposito)

  1. Per migliorare la dizione greca. Così in Gv 1:45 alcuni codici, invece di “Yeshùa, figlio di Giuseppe”, hanno “Yeshùa, il figlio di Giuseppe” che era più elegante.
  2. Per correggere eventuali errori.
  3. a) In Mt 27:9, nei codici principali (א, A, B) si ha: “Allora si adempì ciò che era stato dichiarato dal profeta Geremia” (TNM). Di fatto la citazione proviene da Zaccaria 11:13 (ci sono solo allusioni in Geremia 32:6,sgg. a 17 sicli), per cui alcuni codici omettono il nome (Syp,s) e altri (Syh(margine)) lo mutano in Zaccaria. Due testi (21, it) hanno Isaia, quasi per attribuire a lui, che è il profeta principale, questa citazione. Forse il nome di Geremia è stato messo per dire che Yeshùa era trattato come Geremia, oppure si trattò di una svista.
  4. b) In At 13:33 la citazione “tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” (TNM) è attribuita da alcuni codici (e molti cosiddetti padri) al Salmo primo (pròto) secondo l’uso rabbinico di abbinare assieme nel Salmo 1 tanto il primo che il secondo (lezione preferita da A. C. Clark). Di fatto è nel secondo. Da qui la lezione “secondo” (dèutero), assai più diffusa: “Come è anche scritto nel secondo salmo”, TNM. Forse per adattarla ai LXX? Il P45 elimina la difficoltà mettendo en psalmois (“nei salmi”).
  5. Assimilazione: certi brani di un Vangelo sinottico sono stati resi più simili al passo parallelo di un altro sinottico (o degli altri sinottici). In Mt 1:25 i codici C, D, W e alcuni minuscoli aggiungono “al figlio” il vocabolo “primogenito” tratto da Lc 2:7. Questo non è sufficiente per dimostrare la nascita di altri figli di Miryàm perché (come risulta dall’epitaffio di Assinoe) era detto “primogenito” il figlio che non aveva altri prima di sé prescindendo dalla eventuale nascita di successivi fratelli. Assinoe si lamenta, infatti, di essere morta nel mettere alla luce il suo “figlio primogenito” (la tomba è in Egitto e data del 6 E. V.; è di un’ebrea e fu scoperta verso il 1920); sono altri i passi biblici dimostrano che Miryàm ebbe altri figli.

   Anche in Gv 19:14 (“Era circa la sesta ora”, TNM) e in Mr 15:25 (“Era la terza ora”, TNM): presso Gv Pilato presenta Yeshùa alla folla alla “sesta ora” (circa mezzogiorno), ma presso Mr alla “terza ora” (le nove del mattino) lo mettono al palo. Alcuni codici hanno cercato di assimilare le due cifre che per di più erano assai simili.

  1. Per ragioni teologiche.
  2. a) Comma giovanneo in 1Gv 5:7,8. Fu introdotto in Spagna nel 4° secolo per avvalorare il dogma trinitario (“Tre sono che testimoniano in cielo: il Padre, il Verbo o Logos e lo Spirito Santo e i tre sono una cosa sola”). Le testimonianze sono tutte tardive (a cominciare da Vgc); il passo non è citato dai cosiddetti padri e manca nei manoscritti più antichi e più importanti (אABVgSyh,p). La prima citazione si ha in un testo spagnolo del 4° secolo (nel latino Liber apologeticus 4, attribuito all’eretico Priscilliano, morto nel 385, o a un suo discepolo). Probabilmente si tratta di una glossa (o nota) marginale del testo, messa da un teologo cattolico.
  3. b) At 20:28: “Per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue”. Sarebbe facile intendere ‘con il sangue di Dio’. Qualche manoscritto, per evitare l’equivoco, ha corretto questo detto urtante mettendo: “Chiesa del Signore”. Probabilmente va lasciato come è, ma tradotto in modo diverso:

διὰ τοῦ αἵματος τοῦ ἰδίου

dìa tu àimatos tu idìu

per mezzo del sangue del suo proprio

   Presso i papiri il vocabolo idìon è usato come sostantivo per indicare “i suoi” di casa, verso i quali si ha un grande affetto. Vi è allusione ad Abraamo: “Non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo” (Gn 22:16). La traduzione corretta è quindi: “Tramite il sangue del suo proprio [figlio]”. Traduce bene TNM: “Col sangue del suo proprio [Figlio]”.

  1. c) L’ignoranza di Yeshùa che ignora l’ora e il giorno (della distruzione di Gerusalemme?) ha urtato, per cui alcuni codici (anche il testo bizantino) hanno tolto tutta la frase, che tuttavia esiste nei più importanti codici antichi: א (Sinaitico), A (Alessandrino), B (Vaticano). È più probabile che sia stata tolta per ragioni teologiche, anziché venire aggiunta per assimilazione con Mr 13:32 (“Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre”). Luca non l’ha (si veda qui la libertà degli autori sacri).
  2. d) Per il sudore di sangue (Lc 22:43,44) che manca in molti codici.
  3. e) Per Gv 5:4,5 (l’angelo che muove l’acqua della piscina).
  4. f) A questo genere di varianti per influsso teologico si riconducono tutte quelle sopra accennate, tratte dalle lezioni occidentali, derivate da un ambiente pietrino.

   Una volta ricostruito il testo originale genuino o autentico, avremo trovato il testo garantito dall’ispirazione.

   Lo studio dei codici ebbe luogo nel 19° secolo, in modo particolare (come quello del Sinày) ad opera del Tischendorf. Costantino Tischendorf era nato il 18 gennaio 1815 a Lipsia, dove aveva studiato, dove era professore di teologia nella facoltà protestante e dove morì il 7 dicembre 1874. Dal 1840 al 1845 viaggiò in quasi tutta l’Europa e l’Oriente in cerca di codici biblici, dei quali poi diventò il fortunato e appassionato scopritore ed editore. Questi viaggi da lui ripresi più tardi nel 1853 e 1859, sono narrati nelle due opere Reise in den Orient (“Viaggi nell’Oriente”) e Aus dem Heiligen Land (“Nella Terra Santa”). Ma il racconto interessante di come egli scoprì il celebre codice Sinaitico, è contenuto in un altro libro, stampato a Lipsia nel 1865 e dedicato alla ricerca della datazione dei Vangeli. “Iddio – racconta egli con commosse parole – ne riserbava la scoperta ai nostri giorni, così dolorosamente fecondi di attacchi anticristiani, affinché fosse una luce viva e piena per ciò che si riferisce alla parola scritta di Dio, e ci aiutasse a diffondere la Sua verità e a riaffermare la sua forma autentica”. Nel Sinày egli ritornava allora per la terza volta e, stabilitosi sul monte nell’immensa biblioteca del convento di Santa Caterina, così egli narra: “Il 4 febbraio 1844 mi disponeva a partire per il Cairo, quando una circostanza fortuita mise il colmo ai miei voti. Avevo fatto con l’economo del convento una passeggiata sopra una delle cime vicine e nel ritorno, sul calar della sera, un religioso mi pregò di accettare qualche rinfresco nella sua cella. Appena entrati mi disse: Io pure ho qui la Bibbia dei LXX. E andò a prendere in un angolo della camera un oggetto voluminoso, involto in un pannolino rosso e lo collocò davanti a me sopra la tavola. Io apro questo involto e scopro con mia grande sorpresa non soltanto l’Antico Testamento che già conoscevo e che avevo copiato quindici anni prima, ma anche il Nuovo Testamento tutto intiero, e infine la lettera di Santa Barnaba e una parte del Pastore di Erma. Ricolmo di una tale gioia che questa volta seppi nascondere e contenere all’economo e agli altri religiosi, domandai ed ottenni di portare il manoscritto nella mia camera, al fine di esaminarlo con agio. Quando fui solo, mi abbandonai agli slanci del mio entusiasmo e della mia gioia. Io sapevo di tenere nelle mie mani il più grande tesoro che si potesse trovare con la scienza della Bibbia; un documento che per l’età e l’importanza va avanti a quelli di tutti i manoscritti esistenti, di cui m’ero occupato da vent’anni. Io non saprei ritrovare l’emozione di quell’ora di rapimento con innanzi a me quel vero diamante biblico. Perciò pure al lume di una pessima lucerna e nel freddo della notte, subito mi applicai a trascrivere”.

   L’opera fu pubblicata nel 1862 in un fac-simile monumentale, e in quattro volumi in foglio. L’impressione fu immensa. Paleograficamente parlando, la copia era del 4° secolo, ma il copista, sperduto sulle cime tranquille del Sinày, non aveva neppure dubitato del lavoro di revisione che era stato comandato da Costantino, sicché aveva copiato pedissequamente un esemplare antico, e questo era di tempi più remoti. Difatti risultava in armonia completa con la Versione Siriaca e con l’antica Italica e concordava con il testo greco di cui s’era servito Ireneo. Era dunque il testo greco usato dalla congregazione in principio.

   Ma non è ancora tutto. “Per quanto questo testo greco sia vicino a quello degli evangelisti, vi rimane – scrive il Tischendorf – un piccolo spazio”. Ed ecco come questo spazio si riempie. Il testo del manoscritto sinaitico era generalmente in uso nel 2° secolo, ma già aveva davanti a sé una storia. Per giustificare questa asserzione non siamo ridotti esclusivamente al Codice Sinaitico, né al tale o tal’altro manoscritto dell’Italica e neppure a Ireneo o a Tertulliano, ma possiamo aggiungervi una quantità di documenti, di cui gli uni sono necessariamente e gli altri verosimilmente del 2° secolo. Ora da tutti questi documenti confrontati fra loro, si deduce questo fatto incontrovertibile: una ricca storia del testo li ha preceduti. Prima dell’anno 150, allorché dei Vangeli si faceva copia sopra copia, si vennero insinuando nel testo cambiamenti sia nelle espressioni sia nel senso di certi passi: vi furono addizioni attinte a sorgenti apocrife e orali; vi furono modificazioni che provenivano dal confronto di luoghi paralleli. Tutto ciò dimostra che i Vangeli erano riuniti in una raccolta canonica. Se così è e se il testo dei nostri sacri racconti ha positivamente percorso uno stadio, prima della metà del 2°, non possiamo domandare meno di 50 anni per la durata di questa storia. E allora noi siamo autorizzati a collocare verso la fine del 1° secolo non tanto la nascita o la composizione dei Vangeli, ma piuttosto la loro riunione in un “corpus” canonico.

   Una volta pubblicato il testo del Codice Sinaitico, questo divenne – come può ben immaginarsi – l’oggetto dei desideri di ogni biblioteca. Anche il governo russo desiderò di possedere il Codice Sinaitico. E questo passò dal convento romito del Monte alla Biblioteca Imperiale di Pietroburgo, perché il convento, essendo ortodosso, fu costretto a vendere il prezioso codice per 9000 rubli allo Zar nel 1862. Ora si trova al British Museum di Londra.