Yeshùa è favorevole alle donne, anzi è rivoluzionario al riguardo. Urta e scandalizza perché esaltando la dignità di ogni essere umano, riconcilia le persone di ogni classe sociale e di ogni nazione. Yeshùa fraternizza con gli schiavi, con gli esattori di tasse; riconcilia uomo e donna. La donna non è vista da Yeshùa in funzione del maschio, come avveniva in quella società maschilista. La donna è vista da Yeshùa per se stessa. Non rifiuta di discutere con una donna: con la cananea non solo discute, ma perde nella discussione (Mr 7:24-30). Discute anche con una samaritana (Gv 4:5-29). In una parabola che riguarda un uomo, mette una donna che ne diventa la protagonista: “Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: ‘In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova’” (Lc 18:1-3). In un’altra parabola prende ad esempio un uomo, ma subito dopo introduce una donna: “Disse loro questa parabola: ‘Chi di voi [uomini] […] Oppure, qual è la donna che […]’” (Lc 15:3-10). Si noti anche l’importanza di Elisabetta, di Miryàm e di Anna che, nel Vangelo lucano, si stagliano accanto a Zaccaria, Giuseppe e Simeone.

   Per ciò che riguarda la diaconìa femminile, Yeshùa ha voluto la liberazione della donna e ha aperto la via al “servizio” femminile. Nel miracolo riguardante la suocera di Pietro, Yeshùa accetta che ella serva a tavola: “Ella si mise a servirli [διηκόνει (diekònei)]” (Mr 1:31c). Questo fatto urtava molto la sensibilità giudaica: “Non ci si può far servire da una donna”, diceva rabbi Shemuèl (Strack Billerbeck pag. 480). Yeshùa ebbe non solo dei discepoli, ma anche delle discepole che lo aiutavano e lo servivano, “molte altre che assistevano Gesù”. – Lc 8:3.

   Yeshùa associò le donne alla proclamazione della buona notizia. Yeshùa insegnava non solo agli uomini ma anche alle donne. Le donne sono vicine a Yeshùa mentre lui insegna alle folle: “Molte altre donne, che li servivano con i loro averi. Or quando si fu raccolta una grande folla […]” (Lc 8:3,4, TNM). Quando in Mr 16:7 un angelo dice a tre donne (Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome – v. 1): “Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede”, questo comando non avrebbe senso se anche loro non avessero ricevuto istruzioni alla pari degli altri discepoli. Infatti, l’angelo aggiunge: “Là lo vedrete, come vi ha detto” (v. 7): non ‘lo vedranno, come ha detto loro’, ma “lo vedrete, come vi ha detto”, donne comprese (a cui l’angelo stava parlando).

   Yeshùa preparò le donne a divenire sue testimoni. “Ecco che apparvero davanti a loro [le donne] due uomini in vesti risplendenti; tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: ‘Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand’era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare’. Esse si ricordarono delle sue parole. Tornate dal sepolcro, annunziarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri” (Lc 24:4-9). Si noti che Yeshùa aveva già parlato alle donne e che queste si ricordarono delle sue parole. Soprattutto si noti come queste donne divennero messaggere dell’annuncio della resurrezione: ἀπήγγειλαν (apèngheilan), “annunciarono”, è un verbo che ha a che fare con ἄγγελος (ànghelos), “angelo” ovvero “messaggero”. Oltre ad indicare la grande dignità di queste donne che furono le prime testimoni della resurrezione di Yeshùa e le messaggere incaricate di portare l’annuncio, si osservi anche come questo fatto renda storico e genuino il racconto. Nessuno, infatti, si sarebbe mai sognato nell’ambiente maschilista di quel tempo di affidare una testimonianza a delle donne. Si tratta perciò di avvenimenti reali, accaduti.

   Queste donne sono testimoni e credono. Gli uomini tradiscono incredulità: “Certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire” (Lc 24:22), dice un discepolo.

   Nella primitiva congregazione dei discepoli la donna era collaboratrice dell’uomo in tutti gli ambiti della vita della comunità, ad eccezione dell’“episcopato” e della direzione della congregazione. Ma su ciò non sono stati ancora condotti studi adeguati che potrebbero mostrare che si trattava di norma transitoria e non definitiva.

   Molti ritengono, a torto, che Paolo fosse un misogino. Per la verità, Paolo è l’apostolo che più di altri difese la parità dell’uomo e della donna davanti a Dio: “Nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna” (1Cor 11:11). Paolo ritiene uomo e donna complementari tra loro e pienamente responsabili del loro comportamento sessuale: “Ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.  Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto; lo stesso faccia la moglie verso il marito. La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; e nello stesso modo il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie. Non privatevi l’uno dell’altro, se non di comune accordo” (1Cor 7:2-5). Paolo annoverò varie donne come sue collaboratrici: “Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Concrea”, “Prisca e Aquila, miei collaboratori”, “Maria, che si è molto affaticata per voi” (Rm 16:1,3,6); Evodia e Sintiche, “donne, che hanno lottato per il vangelo”. – Flp 4:1,2.

   Quando la fede genuina dei primi discepoli andò perdendosi (già dal 2° secolo) per miscelarsi al paganesimo da cui nacque (nel 3° secolo) il “cristianesimo”, la religione (cattolica) che ne uscì fu sempre più ostile alle donne. Sia Yeshùa sia Paolo avevano riconosciuto libertà alle donne.

“Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.

 Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero;

non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. – Gal 3:27,28.

 

   Sono parole di Paolo. E anche queste: “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” (1Cor 11:1). Ciò significa che l’atteggiamento di Paolo verso le donne era quello stesso di Yeshùa, e significa che deve essere anche il nostro.

   Che dire allora di 1Cor 14:34,35? Vi si legge: “Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è vergognoso per una donna parlare in assemblea”. Questo passo è ritenuto da diversi studiosi una glossa (un’annotazione aggiunta al testo), ma non è detto che sia così. Dobbiamo ricordare che non esistono i manoscritti originali ma solo delle copie. Quando si parla di testo originale ci si riferisce sempre alla copia originale del manoscritto. Ma non abbiamo nessun documento che sia stato scritto direttamente dagli scrittori delle Scritture Greche; possediamo solo copie. D’altra parte, il passo stride con tutte le altre affermazioni paoline. Se si esamina tutto il contesto, ciò che è ritenuto una glossa si nota:

“Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione. Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo, e l’uno dopo l’altro, e qualcuno interpreti. Se non vi è chi interpreti, tacciano nell’assemblea e parlino a se stessi e a Dio. Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino; se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia. Infatti tutti potete profetare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati. Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace. Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è vergognoso per una donna parlare in assemblea. La parola di Dio è forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli? Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore. E se qualcuno lo vuole ignorare, lo ignori. Pertanto, fratelli, desiderate il profetare, e non impedite il parlare in altre lingue; ma ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine”. – 1Cor 14:26-40.

   Se tutto il brano viene letto ignorando la presunta glossa (evidenziata in rosso), si nota che il discorso è logico e coerente. Qual è il tema? L’ordine. I discepoli che si riuniscono non devono creare confusione durante le riunioni. Devono fare le cose ordinatamente, ciascuno parlando nel proprio turno senza sovrapporsi. Tuttavia, c’è la presa di posizione di Paolo (“La parola di Dio è forse proceduta da voi?”) che si spiega bene sono con le precedenti parole ritenute una glossa. Per una trattazione accurata rimandiamo allo studio intitolato Tacciano i misogini, non le donne, nella sezione La donna nella Bibbia.

   Si noti che l’invito è rivolto a tutti: “Quando vi riunite”, “ciascuno di voi”. Paolo dice: “Tutti potete profetare a uno a uno”. Anche le donne sono profetesse? Anche loro profetizzano? La Bibbia dice di sì:

“Maria, la profetessa”.

Es 15:20

“In quel tempo era giudice d’Israele una profetessa, Debora”.

Gdc 4:4

“Andarono dalla profetessa Culda”.

2Re 22:14

Quelli che il re aveva designati andarono dalla profetessa Culda”.

2Cron 34:22

14 “O mio Dio […]  ricòrdati anche della profetessa Noadia”.

Nee 6:14

“Mi unii pure alla profetessa, e lei concepì e partorì un figlio”.

Is 8:3

“Vi era anche Anna, profetessa”.

Lc 2:36

“Ogni donna che prega o profetizza”.

1Cor 11:5

   In 1Cor 11:5 Paolo non solo ammette la donna che profetizza ma anche la donna che prega pubblicamente nel culto.

   Se si legge da prima della presunta glossa saltandola e proseguendo, il discorso fila: “Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace. La parola di Dio è forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli? Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore”. Paolo dice che “gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti” e osserva: “La parola di Dio è forse proceduta da voi?”. Come dire: è Dio che dà la profezia, non siete voi ad amministrarla come vi pare e, per di più, creando confusione. Perché c’è qui un riferimento alle donne che dovrebbero (contro il pensiero di Paolo espresso altrove) stare zitte? Più che di una glossa, qui si tratta di una questione a cui Paolo da poi risposta, e in modo deciso. – Cfr. lo studio Tacciano i misogini, non le donne, nella sezione La donna nella Bibbia.

   Si noti infine l’ammonimento di Paolo a ciascuno: “Riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore”. Tra questi “comandamenti del Signore” non ce ne fu mai uno che proibisse alle donne di parlare, anzi.

   La Chiesa Cattolica chiuse sempre più le porte alle donne. Il servizio o diaconìa delle donne andò via via scomparendo. Non ci furono più “diaconesse”, come invece c’erano nella prima congregazione. Tutto il culto passò in mano ai “sacerdoti” e ai “diaconi”.

   Marta divenne così per i cattolici il prototipo della donna credente che deve ritirarsi tra i fornelli, Maria il prototipo della religiosa confinata nei monasteri femminili. – Lc 10:38-42.

  Occorre davvero ritornare alla sorgente pura di Yeshùa e di Paolo, imitatore di Yeshùa. Le religioni hanno offuscato e in parte eliminato la dottrina liberatrice della donna dalla sua condizione d’inferiorità in una società maschilista.

   Occorre ridare alle donne tutta la loro dignità.

   Negli studi seguenti saranno presi in considerazione gli incontri che Yeshùa ebbe con le donne.