“Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Gn 1:27). Qui siano al primo racconto genesiaco della creazione dell’essere umano. Si noti come dopo aver detto “lo creò”, al singolare, il testo prosegue con “li creò maschio e femmina”. Yeshùa ricordò ciò in Mr 10:6: “Al principio della creazione Dio li creò maschio e femmina”.

   Nel secondo racconto genesiaco della creazione si legge: “Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente . . . Poi Dio il Signore disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui’ . . . Allora Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: ‘Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo’”. – Gn 2:7,18,21-23.

   Iniziamo con il vedere i vocaboli. “Dio creò l’uomo” (Gn 1:27): nel testo ebraico la parola “uomo” e אָדָם (adàm). Questo adàm fu formato “dalla polvere della terra” (Gn 2:7): in ebraico “terra” è אֲדָמָה (adamàh). Tanto per capire, la relazione è come tra “terra” e “terroso” in italiano. Nel testo biblico si usa הָאָדָם (hadàm), con l’articolo: “il terroso”.  Quando però più avanti Adamo dice che la sua compagna appena creata da Dio “sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo’” (Gn 2:23), compare una nuova parola per “uomo”: אִישׁ (ysh). La dichiarazione di Adamo fornisce anche l’etimologia per il nome dato alla compagna, ovvero “donna”. In molte lingue occidentali, tra cui l’italiano, il collegamento non si coglie, perché si hanno nomi diversissimi tra loro: in italiano, uomo e donna; in inglese man e woman; in francese, homme e femme; in spagnolo hombre e mujer; in tedesco mann e frau. Nell’ebraico il collegamento è evidente perché si ha la stessa parola (al maschile e al femminile): il nome “donna” è אִשָּׁה (ishàh). Ysh e ishà: “uomo” e (se ci è consentita la licenza) “uoma”. Se vogliamo essere più precisi: uomo maschio e uomo femmina. La traduzione greca della LXX è precisa, essendo il greco una lingua molto ricca. Quando in Gn 1:27 si dice che Dio creò l’uomo (maschio e femmina), si usa la parola ἄνθρωπος (ànthropos), che indica l’essere umano, sia maschio che femmina; quando in Gn 2:23 si distingue l’uomo dalla donna, si usano le parole ἀνήρ (anèr) per “uomo” e γυνή (günè) per “donna”; da queste parole derivano le italiane antropologia (studio dell’essere umano), andrologia (studio dell’essere umano maschio) e ginecologia (studio dell’essere umano femmina).

   Se osserviamo il susseguirsi della creazione divina, notiamo che è tutto un crescendo. Dalla vegetazione si passa agli animali per giungere infine all’essere umano. L’ultima creazione di Dio è il suo capolavoro: la Donna.

   Oggi, nella condizione attuale dell’umanità, la posizione della donna è molto offuscata. Lo è da millenni, sin da subito dopo la caduta di Adamo ed Eva.

   Nel primo secolo della nostra èra, dei farisei si avvicinarono a Yeshùa “per metterlo alla prova, dicendo: ‘È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?’”. “Egli rispose loro: ‘Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi’” (Mt 19:4-6). Yeshùa richiama qui Gn 2:24: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne”. Quei maschilisti farisei replicarono: “Perché dunque Mosè comandò di scriverle un atto di ripudio e di mandarla via?” (Mt 19:7). Qui i farisei si riferiscono a Dt 24:1 in cui si legge. “Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via”. Come conciliare le parole di Yeshùa (“Quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”) con la prescrizione mosaica? Lo spiega lo stesso Yeshùa: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli” (Mt 19:8). Non va dimenticato che al tempo di Mosè la società era quella che era, come del resto lo è oggi. L’umanità, allora come oggi, non è composta da persone che seguono il bene: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5:19). Con la norma mosaica erano tutelati in un certo modo i diritti e gli interessi della moglie. La norma regolava quella che era una pratica non giusta. I motivi per cui era concesso il divorzio dovevano riguardare in origine questioni gravi. Di certo, comunque, non si trattava di adulterio, perché la Legge decretava la pena di morte per gli adulteri (Dt 22:22-24), non semplicemente in divorzio. Della possibilità di divorziare, in seguito si abusò. Al tempo di Malachia si divorziava per un nonnulla solo per sbarazzarsi semplicemente della moglie, con il permesso di sacerdoti permissivi (Mal 2:10-16). Al tempo di Yeshùa si era ormai giunti a divorziare per futili motivi, tanto che i farisei domandano a Yeshùa se “è lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi”. – Mt 19:3.

   Yeshùa si rifà al disegno divino originale: “Non avete letto che il Creatore, da principio . . .” (Mt 19:4). “L’Eterno, il Dio d’Israele, dice che egli odia il divorzio”. – Mal 2:16.

   Vediamolo, dunque, il disegno divino originale per la donna.

   Riferendosi al primo uomo, Dio dice: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui” (Gn 2:18, ND). Questa dichiarazione è molto importante, per cui non ci accontentiamo della prima traduzione. “Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”, traduce CEI. TNM preferisce: “Gli farò un aiuto, come suo complemento”; Con: “Gli farò un aiuto degno di lui”; NR: “Un aiuto che sia adatto a lui”. Pare che i traduttori siamo almeno d’accordo su una parola: “aiuto”. Vediamo la Bibbia, ora:

 

עֵזֶר כְּנֶגְדֹּו

èser kenegdò

 

   Èser. La Bibbia s’interpreta con la Bibbia, per cui vediamo il senso che la parola ebraica èser (עֵזֶר) assume nella Scrittura. In Ger 47:4 ha indubbiamente il senso di aiuto; vi si parla di “ogni superstite che prestava aiuto” (TNM). In Ez 31:21 appare una nuova sfumatura quando vi si parla di “quelli che gli davano soccorso”. In Sl 10:14 èser si arricchisce di significato; di Dio vi si dice: “Tu sei il sostegno”. “Dio è il mio aiuto”, recita Sl 54:4. Così in Sl 30:10: “O Signore, sii tu il mio aiuto!”.

    La donna fu creata come “aiuto / soccorso /sostegno”. Oggi si dice che l’uomo deve sostenere la donna e aiutarla. All’origine dell’umanità era il contrario.

   Kenegdò. Si tratta di tre parole: כְּ (ke) sta per “come”; la ו (o) finale significa “lui”; la parola נֶגְדּ (nèghed) è quella che ci interessa.

   Nèghed. Letteralmente significa “di fronte a”. Questa parola è usata, ad esempio, riferita all’atteggiamento che i conquistatori ebrei di Gerico dovevano tenere mostrando la loro decisione nell’avanzare verso la vittoria: “Ciascuno diritto davanti a sé” (Gs 6:5). L’innamorato della bella sulammita le dice: “Allontana gli occhi da me, il tuo sguardo mi turba” (Cant 6:5, PdS); letteralmente: “Allontana i tuoi occhi d’innanzi a me”. Il senso non quello arido e spoetizzante di TNM: “poiché essi stessi mi hanno allarmato” (sic), ma quello di turbamento suscitato dal femminile sguardo della sulammita.

   Eva era per Adamo non un “complemento” (TNM) e neppure semplicemente “un aiuto che sia adatto a lui” (NR). La donna era “come una che gli sta di fronte” (כְּנֶגְדֹּו, kenegdò).

   Il fatto che Adamo avesse bisogno di un “aiuto” (èser, עֵזֶר) indica che di per sé l’uomo da solo non ce la faceva. La donna costituiva il “soccorso” (èser, עֵזֶר) e il “sostegno” (èser, עֵזֶר).

   Il fatto che la donna era “come una che gli sta di fronte” (כְּנֶגְדֹּו, kenegdò) non indica affatto la sua sottomissione all’uomo. Al contrario, indica la sua totale parità con l’uomo. Parità, ma con una marcia in più data da quell’ èser (עֵזֶר), “aiuto/soccorso/sostegno”. Questa condizione femminile di parità con l’uomo, stabilita da Dio all’inizio, sarà di nuovo quella della donna escatologica: “Non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. – Gal 3:28.

   Perché da quella condizione iniziale di parità si giunse al maschilismo? Per il peccato. Per ciò che riguarda la donna, le conseguenze della caduta di Adamo ed Eva furono tre:

 

1

“Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli;

2

i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito

3

ed egli dominerà su di te”.

(Gn 3:16)

 

   Nei rapporti uomo-donna le due conseguenze sono: il desiderio di un uomo da parte della donna e il dominio dell’uomo sulla donna. Da quel giorno ad oggi, tutto il resto è storia. L’aspetto che rende ancora più triste il tutto è che non solo l’uomo è misogino, ma lo è la donna stessa, purtroppo. È infatti più facile che una donna disistimi le altre, piuttosto che ne stimi qualcuna.

   Abbiamo dunque due prospettive: quella umana, in cui l’uomo domina la società, che è maschilista. E quella divina, in cui la donna è il capolavoro di Dio.