Naama l’ammonita (נַעֲמָה, Naanàh, “piacevole”)

“Roboamo, figlio di Salomone, regnò in Giuda. Aveva quarantun anni quando cominciò a regnare, e regnò diciassette anni a Gerusalemme, nella città che il Signore si era scelta fra tutte le tribù d’Israele per mettervi il suo nome. Sua madre si chiamava Naama, l’Ammonita”. – 1Re 14:21; cfr. 1Re 14:31, 2Cron 12:13.

Naama sorella di Tubal-Cain (נַעֲמָה, Naanàh, “piacevole”)

“Zilla a sua volta partorì Tubal-Cain, l’artefice d’ogni sorta di strumenti di bronzo e di ferro; e la sorella di Tubal-Cain fu Naama”. – Gn 4:22.

Naara (נַעֲרָה, Naaràh, “ragazza”)

“Asur, padre di Tecoa, ebbe due mogli: Chelea e Naara”. – 1Cron 4:5.

   Questa donna fu una delle due mogli di Asur, della tribù di Giuda e suo pronipote (1Cron 2:4,5,24), dal quale ebbe quattro figli: “Naara gli partorì Auzam, Chefer, Temeni e Aastari”. – 1Cron 4:1,5,6.

Naomi (נָעֳמִי, Naomì, “mia delizia”)

“Al tempo dei giudici ci fu nel paese una carestia, e un uomo di Betlemme di Giuda andò a stare nelle campagne di Moab con la moglie e i suoi due figli. Quest’uomo si chiamava Elimelec, sua moglie, Naomi”. – Rut 1:1,2.

   In nome “Noemi” è una variante di Naomi. Questa donna era la suocera di Rut e fu un’antenata del re Davide, quindi di Yeshùa (Mt 1:5). Nella sua vita fece una triste esperienza.

   Moglie dell’ebreo Elimelec, durante una grave carestia all’epoca dei Giudici, emigrò con il marito e i due figli in territorio moabita. Qui Naomi trovò dolori e tristezze. Il maritò morì. I suoi figli sposarono due moabite, Orpa e Rut; poi, circa dieci anni dopo, morirono anche i figli senza lasciare discendenti. – Rut 1:1-5.

   Rimasero così tre vedove sole. Quando Naomi pensò di rientrare in Israele, le due nuore volevano accompagnarla, ma lei le incoraggiò a rimanere tra la loro gente e a risposarsi. La nuora Rut, però, non ne volle sapere e andò con lei. – Rut 1:6-17.

“Così fecero il viaggio assieme fino al loro arrivo a Betlemme. E quando giunsero a Betlemme, tutta la città fu commossa per loro. Le donne dicevano: ‘È proprio Naomi?’ E lei rispondeva: ‘Non mi chiamate Naomi; chiamatemi Mara, poiché l’Onnipotente m’ha riempita d’amarezza. Io partii nell’abbondanza, e il Signore mi riconduce spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando il Signore ha testimoniato contro di me, e l’Onnipotente m’ha resa infelice?’ Così Naomi se ne tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta dalle campagne di Moab. Esse giunsero a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo”. – Rut 1:19-22.

   A Betlemme, Naomi si prodigò molto per sua nuora Rut (si veda la voce Rut), dandole buoni consigli tanto che alla fine si sposò con il ricco proprietario Boaz (Rut 2:1-4:13). Quando i due ebbero un figlio, “Naomi prese il bambino, se lo strinse al seno, e gli fece da nutrice” (v. 16). “Le vicine gli diedero il nome, e dicevano: ‘È nato un figlio a Naomi!’ Lo chiamarono Obed”, עֹובֵד (Ovèd), che sgnifica “servitore”. – Rut 4:17.

Neusta (נְחֻשְׁתָּא, Nekhushtà, “ottone”)

“Ioiachin aveva diciotto anni quando cominciò a regnare, e regnò a Gerusalemme tre mesi. Sua madre si chiamava Neusta, figlia di Elnatan, da Gerusalemme”. – 2Re 24:8.

   Moglie del re Ioiachim, sovrano del Regno di Giuda, che regnò per soli tre mesi, fu deportata in Babilonia con i primi prigionieri. Forse vi rimase fino alla morte. – 2Re 24:6,8,12; Ger 29:2.

Ninfa (Νύμφας, Nǘnfas, “sposa”)

“Salutate i fratelli che sono a Laodicea, Ninfa e la chiesa che è in casa sua”. – Col 4:15.

   Il nome di questa donna era usato anche al maschile. La sua etimologia lo fa risalire probabilmente ad una contrazione tra νύμφη (nǘmfe), “velata”, e δῶρον (dòron), “dono”. Di lei sappiamo che ospitava in casa sua una congregazione di discepoli di Yeshùa. Lei era di Laodicea, in Asia Minore (attuale Turchia). Alla congregazione laodicese Paolo inviò una lettera, mai giunta fino a noi. – Cfr. Col 4:16.

Nipote – definizione (una nipote di nonno/nonna: ebraico בַּת, bat, “figlia”; per una nipote di zio/zia si veda alla voce Zia – definizione)

Si noti questa traduzione (NR) di Gn 36:14: “Ana, figlia di Sibeon”. Ora la si confronti con la versione di TNM: “Ana, nipote di Zibeon”. Il testo ebraico ha עֲנָה בַּת־צִבְעֹון  (anàh bat-tsivòn), “Ana, figlia di Sibeon”. Sbaglia dunque TNM? Non esattamente. Si legga ora Gn 36:24: “Questi sono i figli di Sibeon: Aia e Ana”. La faccenda pare complicarsi: da qui risulterebbe che Ana sarebbe un maschio. Potrebbe essere che la parola “figli”, riferita ad “Aia e Ana”, includa un maschio (Aia) e una femmina (Ana)? No, perché nello stesso v. 24 è detto subito dopo: “Questo [הוּא (hu), “questo”, indubbiamente maschile] è quell’Ana che trovò le acque calde nel deserto”. Sbaglia allora la Bibbia, chiamando Ana una volta “figlia” (Gn 36:14) e una volta “figlio” (Gn 36:24)? Certo che no. Indubbiamente è sbagliata la nostra comprensione del testo, per cui occorre andare a fondo.

   Alcuni esegeti sostengono un’omonimia: si tratterebbe di due persone diverse con lo stesso nome. E si appoggiano per questo sui vv. 2,3 e 20,24 di Gn 36: “Ana, figlia di Sibeon, l’Ivveo” (vv. 2,3); “Questi sono i figli [= discendenti] di Seir, il Coreo . . . Ana . . . Questi sono i figli di Sibeon: Aia e Ana” (vv. 20,24). Ci sarebbe dunque un Ana ivveo e un Ana coreo, ambedue maschi, però; il che non risolve la questione. Comunque, il termine חֹרִי (khorì), tradotto “coreo”, indica un troglodita, un abitante delle caverne: il nome deriva da חֹר (khor), “grotta/caverna” (Strong’s Hebrew Dictionary). La traduzione più appropriata di חֹרִי (khorì) è dunque “cavernicolo”. Non possiamo quindi accettare questa ipotesi delle due persone con nome uguale.

   Possiamo ipotizzare un errore del copista quando scrisse, in Gn 36:14, “Ana, figlia di Sibeon”? In effetti, la Pescitta siriaca, il Pentateuco Samaritano hanno “figlio”; così anche la LXX greca che ha Ανα τοῦ υἱοῦ Σεβεγων (Ana tu üiù Sebegon), “Ana il figlio di Sibeon”. Tuttavia, non è necessario ricorrere ad un errore dello scriba, tanto più che la lezione ebraica di Gn 36:14, “Ana, figlia [בַּת (bat)]  di Sibeon”, ricorre anche al v. 2: “Ana, figlia [בַּת (bat)] di Sibeon”. Basta tenere presente il significato più ampio che la parola “figlia” ha in ebraico (vedere la voce Figlia – definizione): può indicare una discendente non immediata, come una nipote. Si può quindi ricostruire meglio il testo, ricordando che nell’originale la punteggiatura non c’è. Si veda bene la sequenza letterale dell’ebraico così com’è nella Bibbia, ovvero senza punteggiatura:אָהֳלִיבָמָה בַת־עֲנָה בַּת־צִבְעֹון אֵשֶׁת עֵשָׂו  (Oholyvamàh bat-anàh bat-Tsivòn èshet Esaù) ovvero “Oolibana figlia di Ana figlia di Sibeon moglie di Esaù”. Ora, nessuno si sogna di riferire “moglie di Esaù” a Sibeon (che è un uomo): si riferisce ad Oolibama. Allo stesso modo “figlia di Sibeon” può essere riferito ad Ooolibama, che è l’unica figura femminile presente e a cui bene si accorda “figlia”. Come dire: Oolibama era figlia di Ana e discendente (“figlia”, in ebraico) di Sibeon ed era la moglie di Esaù. Accettabilissima quindi la versione di TNM: “Oolibama figlia di Ana, nipote di Zibeon, moglie di Esaù”, a patto d’intendere “nipote” al femminile e di riferirla ad Oolibama.

   La stessa cosa si trova in 1Re 15:2: “Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Abisalom”. Qui si parla della madre di “Abiiam” il quale “cominciò a regnare sopra Giuda” (v. 1). Prima di analizzare il passo va detto che “Abisalom” è un altro nome di “Absalom”. Tutti e due i nomi sono formati da אב (av), “padre”, e da שלום (shalòm), “pace”; vengono quindi a significare “padre [è] pace”, intendendo con “padre” Dio. Il nome Abisalom è in ebraico אבישלום (Avyshalòm): “mio padre [è] pace”; il nome Absalom è in ebraico אבשלום (Avshalòm): “padre [è] pace”. L’unica differenza è data dal suffisso י (y) che significa “mio”. Detto questo, si noti ora 2Sam 14:27: “Ad Absalom nacquero tre figli e una figlia di nome Tamar”. La figlia di Abisalom/Absalom si chiamava quindi Tamar e non Maaca. Perché allora Maaca è detta “figlia di Abisalom”? Perché, come spiegato più sopra, il termine “figlia” ha in ebraico un senso più ampio e può indicare una discendente non diretta. Ben traduce TNM il passo di 1Re 15:2: “Il nome di sua madre era Maaca nipote di Abisalom”. A questa donna, Maaca, la nipote di Abisalom, fu dato lo stesso nome della sua bisnonna: “Absalom, figlio di Maaca” (2Sam 3:3). La genealogia è quindi: Davide sposa una donna di nome Maaca e il loro figlio è Absalom/Abisalom (2Sam 3:2,3); Absalom ha una figlia (Tamar), l’unica menzionata per nome, mentre i due maschi non sono nominati, forse perché morti giovani (2Sam 14:27); evidentemente, Tamar sposò Uriel e fu la madre di “Micaia [Testo Masoretico e Vulgata; la LXX e la Pescitta Siriaca hanno “Maaca”], figlia di Uriel” (2Cron 13:2). Si ha quindi: Davide-Maaca > Absalom > Tamar (sposata con Uriel) > Maaca, nipote di Absalom e pronipote di Maaca e di Davide.

   Un’altra nipote di cui la Bibbia parla fu “Atalia, nipote di Omri, re d’Israele” (2Re 8:26). Qui anche NR si adegua, perché il testo ebraico ha בַּת־עָמְרִי (bat-omrì), “figlia di Omri”. In questo passo si narra che “l’anno dodicesimo di Ioram, figlio di Acab, re d’Israele, Acazia, figlio di Ieoram, re di Giuda, cominciò a regnare” (v. 25), aggiungendo che “sua madre si chiamava Atalia” (v. 26). Si ha quindi che Acazia era figlio di Ieoram che era a sua volta figlio di Giosafat (2Cron 21:1). Quindi la linea di discendenza è: Giosafat >  Ieoram > Acazia. Atalia era la madre di Acazia, quindi era la moglie di Ieroam. 2Re 8:18 conferma che “Ieoram, figlio di Giosafat” (v. 16) “aveva per moglie una figlia di Acab”. Atalia era dunque “figlia di Acab”. E 1Re 16:29 dice: “Acab, figlio di Omri”. Si ha quindi Omri > Acab > Atalia, da cui risulta che Atalia era nipote di Omri, il quale le era nonno.

Noa (נֹעָה, Noàh, “tremante”)

“Selofead, figlio di Chefer, non ebbe maschi ma soltanto delle figlie; e i nomi delle figlie di Selofead erano: Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa”. – Nm 26:33.  

   Noa era la seconda delle cinque figlie di Selofead. Non essendoci figli maschi, l’eredità di Selofead fu divisa fra le cinque figlie. Unica condizione fu che dovevano sposarsi con uomini della loro stessa tribù (Manasse), cosicché l’eredità paterna non si disperdesse in altre tribù. – Nm 36:1-12;26:33;27:1-11; Gs 17:3,4.

   Il cap. 26 di Nm narra del censimento, ordinato da Dio, della popolazione ebraica prima dell’ingresso nella Terra Promessa. Alla sua conclusione è detto: “Questi sono i figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Eleazar fecero il censimento nelle pianure di Moab presso il Giordano di fronte a Gerico. Fra questi non vi era alcuno di quei figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Aaronne avevano fatto il censimento nel deserto del Sinai. Poiché il Signore aveva detto di loro: Certo moriranno nel deserto!” (Nm 26:63-65). Si noti che nella popolazione censita “non vi era alcuno” della vecchia generazione che era stata disubbidiente nel deserto e che non poteva entrare nella Terra Promessa (Nm 14:19; Eb 3:17). Selofead, padre delle cinque ragazze menzionate in Nm 26:33, era discendente di Manasse (Nm 26:29-33) ed era morto durante i 40 anni di peregrinazione nel deserto, ma “non stava in mezzo a coloro che si adunarono contro il Signore” (Nm 27:3). Queste cinque battagliere ragazze si resero conto che senza un fratello maschio che ereditasse, la loro famiglia non avrebbe ricevuto una porzione di terreno. “Allora si fecero avanti . . . esse si presentarono davanti a Mosè, davanti al sacerdote Eleazar, davanti ai capi e a tutta la comunità” per presentare il loro caso. – Nm 27:1,2.

   Queste donne ebbero il coraggio di reclamare il loro diritto non solo davanti a Mosè, ma davanti a Dio stesso tramite il sacerdote. “Mosè portò la loro causa davanti al Signore. E il Signore disse a Mosè: ‘Le figlie di Selofead dicono bene. Sì, tu darai loro in eredità una proprietà’”. – Nm 27:5-7.

   E non solo. La loro causa (vinta) divenne un precedente legale, tanto che Dio fece inserire delle deroghe nella sua Legge, così che “per i figli d’Israele una norma di diritto, come il Signore ha ordinato”. – Nm 27:8-11. 

Noadia (נֹועַדְיָה, Noadyàh, “Yàh convoca”)

“O mio Dio, ricòrdati di Tobia, di Samballat, e di queste loro opere! Ricòrdati anche della profetessa Noadia e degli altri profeti che hanno cercato di spaventarmi!”. – Nee 6:14.

   Noadia era una profetessa. Tentò di fermare la riedificazione delle mura di Gerusalemme cercando di intimidire Neemia.

Noemi: vedere Naomi

Nonna – definizione (ebraico: non presente nella Bibbia; greco: μάμμη, màmme)

Si noti questa traduzione (NR) di 1Re 15:10: “Sua madre si chiamava Maaca”. Ora si noti lo stesso identico passo tradotto da TNM: “Il nome di sua nonna era Maaca”. Qui si sta parlando di “Asa” che “cominciò a regnare sopra Giuda” (v. 9). Ma questa Maaca era la madre o la nonna di Asa? Intanto possiamo stabilire che era la moglie preferita di Roboamo re di Giuda (2Cron 11:21). Maaca “gli [a Roboamo] partorì Abiia” (2Cron 11:20; cfr. 1Re 15:1,2). In 2Cron 12:16 si legge che “Roboamo si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella città di Davide. E Abiia, suo figlio, regnò al suo posto”. È chiaro, fin qui, che Abiia era figlio di Roboamo e di Maaca. Ora si consideri Mt 1:7: “Roboamo generò Abia; Abia generò Asa”. Ciò è confermato da 1Cron 3:10: “Il figlio di Salomone fu Roboamo, che ebbe per figlio Abiia, che ebbe per figlio Asa”. Quindi, Asa era figlio di Abiia che era a sua volta figlio della coppia Roboamo-Maaca. Non ci sono dubbi: Maaca era la nonna e non la madre di Asa. Sbaglia dunque NR a tradurre “madre”? Non esattamente. Il testo ebraico di 1Re 15:10 ha proprio אִמֹּו (imò), “sua madre”. Maaca, durante il regno di suo nipote Asa, continuò a essere la regina madre finché non fu destituita per la sua idolatria dal nipote. – 1Re 15:13.

   La spiegazione della confusione madre-nonna sta nel fatto che la parola ebraica per “madre” (אֵם, em) può indicare la nonna, come visto sopra. La stessa cosa vale per il termine ebraico “padre” che può indicare un nonno oppure un antenato. – Gn 28:13; 2Sam 9:7.

   Nelle Scritture Greche si parla di Loide, la nonna di Timoteo, menzionata in 1Tm 1:5, in cui Paolo scrive: “Ricordo infatti la fede sincera che è in te, la quale abitò prima in tua nonna Loide”.

   Paolo è attento pure ai bisogni delle nonne sole, chiamando in causa anche i loro nipoti: “Se una vedova ha figli o nipoti, imparino essi per primi a fare il loro dovere verso la propria famiglia”. – 1Tm 5:4.

Nubile – definizione (la parola non compare nella Bibbia)

A differenza della mentalità cattolica che innalza il valore del nubilato delle suore, in Israele il nubilato non era affatto un valore, anzi. Nella vita degli ebrei il matrimonio non solo costituiva la norma, ma era benedetto. Ciò era in perfetta armonia con il desiderio di Dio che ‘l’uomo si unisse a sua moglie per essere una stessa carne’ (Gn 2:24). Tutte le donne ebree aspiravano al matrimonio e alla maternità. È nella natura umana voluta da Dio che la donna tenda all’uomo e viceversa.

   Nelle Scritture Ebraiche non esiste neppure un termine per “nubile”. Certo nella Bibbia si parla di donne nubili, ma sono donne in attesa di sposarsi. Non c’è nella Bibbia un caso in cui una donna avesse fatto voto di verginità, cosa che sarebbe contraria al disegno di Dio. Il presunto caso della figlia di Iefte non ha alcunché a che fare con il voto di castità (si veda al riguardo la voce Figlia di Iefte).

   Comunque, Paolo parlò dei benefici del nubilato e del celibato. Ciò non era affatto, però, qualcosa che era richiesto ai discepoli e alla discepole di Yeshùa. Paolo scrive: “Ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto; lo stesso faccia la moglie verso il marito. La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; e nello stesso modo il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie. Non privatevi l’uno dell’altro, se non di comune accordo, per un tempo, per dedicarvi alla preghiera; e poi ritornate insieme, perché Satana non vi tenti a motivo della vostra incontinenza. Ma questo dico per concessione, non per comando; io vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io [scapolo]; ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio; l’uno in un modo, l’altro in un altro. Ai celibi e alle vedove, però, dico che è bene per loro che se ne stiano come sto anch’io. Ma se non riescono a contenersi, si sposino; perché è meglio sposarsi che ardere. Ai coniugi poi ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito (e se si fosse separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito); e che il marito non mandi via la moglie” (1Cor 7:2-11). E aggiunge: “La donna senza marito o vergine si dà pensiero delle cose del Signore, per essere consacrata a lui nel corpo e nello spirito; mentre la sposata si dà pensiero delle cose del mondo, come potrebbe piacere al marito. Dico questo nel vostro interesse; non per tendervi un tranello, ma in vista di ciò che è decoroso e affinché possiate consacrarvi al Signore senza distrazioni. Ma se uno crede far cosa indecorosa verso la propria figliola nubile [παρθένον (parthènon), “vergine”] se ella passi il fior dell’età, e se così bisogna fare, faccia quello che vuole; egli non pecca; la dia a marito”. – Ibidem, vv. 34-36.

   Yeshùa disse: “Vi sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; vi sono degli eunuchi, i quali sono stati fatti tali dagli uomini, e vi sono degli eunuchi, i quali si sono fatti eunuchi da sé a motivo del regno dei cieli” (Mt 19:12). Questo principio può valere anche per le donne. Se una donna sta bene sola, è una sua decisione personale rimanerlo. Quindi, al massimo, il nubilato può essere visto come un dono che offre il vantaggio della libertà. Ma deve rimanere una decisione personale della singola donna, certamente non fatta per un voto. Il nubilato religioso imposto alle suore cattoliche o alle donne da altre denominazioni religiose non ha alcuna base biblica. Gli apostoli erano sposati (1Cor 9:5). Anzi, a ben vedere, si potrebbe rammentare la profezia fatta da Paolo sotto ispirazione: “Lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza. Essi vieteranno il matrimonio”. – 1Tm 4:1-3.

Nuora – definizione (ebraico; כַּלָּה, kalàh; greco: νύμφη, nǜnfe; “sposa”)

La parola ebraica כַּלָּה (kalàh), oltre che a “sposa”, può indicare anche una nuora, come in Rut 1:6: “[Naomi] si alzò con le sue nuore [כַלֹּתֶיהָ (chalotàyàh)]”. – Cfr. Os 4:13,14.

   Così, “Sarai sua nuora” (Gn 11:31) è nel testo ebraico “Sarai כַּלָּתֹו”, “Sarai kalatò”, “Sarai sposa di lui”. Ovviamente è il contesto che stabilisce il senso della parola. Qui si dice: “Tera prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio, e Sarai sua nuora [כַּלָּתֹו (kalatò) “sposa/nuora di lui”], moglie d’Abramo suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei”. Così in tutti i passi delle Scritture Ebraiche in cui nelle traduzioni italiane compare “nuora”.

   Nelle Scritture Greche accade lo stesso fenomeno: la parola per “nuora” è νύμφη (nǜnfe), che significa “sposa”. Così, in Mt 10:35, dove Yeshùa dice: “Sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera”, il testo greco ha νύμφην κατὰ τῆς πενθερᾶς αὐτῆς (ninfe katà tes pentheràs), letteralmente: “sposa dalla suocera”.

   La Legge di Dio proibiva i rapporti sessuali con la propria nuora, pena la morte. – Lv 18:15;20:12; Ez 22:11.

   La nota difficoltà del rapporto nuora-suocera si verificava anche ai tempi biblici. Rut ebbe uno stupendo rapporto con sua suocera (Rut 1:6-17,22;4:14,15), mentre quello delle mogli di Esaù con la loro suocera Rebecca fu un disastro. – Gn 26:34;27:46.

Nuore di Ibsan (בָּנֹות, banòt, “figlie”)

“Dopo di lui fu giudice d’Israele Ibsan di Betlemme, che ebbe trenta figli, fece sposare le sue trenta figlie con gente di fuori, e fece venire da fuori trenta fanciulle per i suoi figli. Fu giudice d’Israele per sette anni.  Poi Ibsan morì e fu sepolto a Betlemme”. – Gdc 12:8-10.